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22/07/2015

Perché la Grecia non può permettersi l’Euro

I sostenitori oltranzisti di Tsipras sostengono che il successo ottenuto dal loro beniamino è stato quello di mantenere la Grecia nell’Euro. Una uscita, immaginano, sarebbe stata rovinosa, mentre, restando nel club delle “monete forti” la Grecia ha più possibilità di riprendersi, per la convinzione un po’ sempliciotta che  si è un po’ più ricchi se sia appartiene al clan di una moneta forte. Cosa c’è di vero in queste idee?

Facciamo un minimo di analisi. La Grecia è un piccolo paese, con scarso sviluppo economico, vive di turismo e (prima della cura Troika) di una modesta esportazione di prodotti prevalentemente agricoli. I governi che si sono succeduti nel decennio scorso, hanno alimentato il debito con una spesa pubblica obiettivamente fuori misura (sino ad assorbire nel pubblico impiego il 10% della popolazione totale). Essi hanno “comperato” il consenso dei greci con massicce assunzioni nella pubblica amministrazione e con una politica pensionistica che autorizzava prepensionamenti anche in età molto bassa e con reversibilità, in caso di morte del pensionato, anche a favore delle figlie nubili. E’ palese come una simile spesa pubblica non potesse essere retta che indebitando il paese.

Nei primi anni del decennio scorso, i governanti del tempo, con l’assistenza della Goldman Sachs, falsificarono i bilanci per nascondere la situazione debitoria ed essere accolti nella moneta unica. Questo permise di emettere buoni del tesoro a tassi irrisori grazie alla credibilità della moneta unica. La falsificazione resse anni, ma con l’esplodere della crisi del 2008, inevitabilmente venne a galla. Già dal 2009 si pose il problema del se salvare la Grecia e del se tenerla nell’Euro, la questione fu risolta con un mix di continui salvataggi misti a richieste di misure di austerità fiscale. Di fatto, gli altissimi interessi sul debito (che hanno raggiunto punte del 17%) furono affrontati con continui prestiti del Fmi e della Bce, per essere subito girati alle banche tedesche e francesi, sino a quando esse non si disfecero dei titoli ellenici che vennero riacquistati dagli stessi enti che erogavano i prestiti e agli stessi interessi: in questo modo, in cinque anni, il debito ellenico è più che triplicato, senza che al popolo greco arrivasse un solo Euro.

Quanto alla politica di austerità, non ha intaccato minimamente il debito che ha continuato a crescere, ma ha abbassato di un quarto il Pil greco e causato la chiusura di gran parte delle poche imprese manifatturiere.

Un problema a sé stante è quello della tassazione di una delle poche attività che producono profitti: la flotta mercantile greca che è la più importante d’Europa (e forse del Mondo) e che, sin qui, è praticamente esente da ogni prelievo. Ma tassarla espone al rischio che in breve gli armatori cambino la bandiera ai loro natanti e la flotta vada persa a favore di un qualche paradiso fiscale. Lasciamo per ora la questione da parte.

Dunque, si deduce  che:

a- la Grecia non potrà mai pagare un debito che ormai è il doppio del suo Pil annuale (e questo ormai lo sostiene anche il Fmi) e, quindi, deve ristrutturarlo o ripudiarlo in toto o rivedendo radicalmente interessi e scadenze (ad es. rimborsandolo in 30 o 40 anni ad interessi bassissimi);

b- deve rivedere la sua politica pensionistica eliminando i prepensionamenti e riconsiderando le reversibilità (ovviamente per il futuro);

c- ridurre il numero degli impiegati pubblici, anche se occorre dire che questo in parte è stato fatto, riducendo di un quarto i dipendenti, fra prepensionamenti e licenziamenti. Peraltro è difficile scendere al di sotto di una certa soglia, soprattutto tenendo conto di una particolarità geografica del paese che ha oltre 6.000 isole, di cui circa 250 abitate, per cui occorre assicurare un minino di strutture in ciascuna di quelle abitate  (posto di polizia, sevizi sanitari, scolastici, anagrafici, di trasporto ecc.) e la sorveglianza di quelle disabitate, il che, ovviamente, gonfia gli organici. Dunque, la pubblica amministrazione continuerà ad essere una voce di spesa notevole, ma, a maggior ragione, questo impone che ci sia un solido Pil per reggerne il peso;

d- soprattutto, deve creare nuova occupazione per riassorbire la massiccia disoccupazione attuale e compensare i posti che ancora si perderanno nel pubblico impiego;

e- dato che non è pensabile farcela con il solo turismo e, tantomeno, con nuovi debiti, alla Grecia occorre sviluppare un solido impianto di imprese manifatturiere e di servizi, per le quali occorre trovare il capitale di avvio.

E questo è il primo punto di attrito con l’appartenenza all’Euro. La Grecia ha scarsissimi capitali di investimento, per cui deve sperare in capitali stranieri, ma nessuno delocalizza in un paese a moneta forte, perché sarebbe un evidente non senso. Per rendere conveniente una localizzazione di imprese straniere occorre giocare sui cambi (e questo significa una valuta debole), offrire condizioni fiscali convenienti (e questo la Grecia non può farlo per le condizioni capestro imposte proprio da Ue e Bce) e offrire gratuitamente o quasi il terreno per gli impianti. Delle tre cose la Grecia può fare solo l’ultima che è troppo poco.

In secondo luogo c’è il problema della flotta mercantile che, sin qui, rende poco e nulla allo stato Greco per le esenzioni ed abbiamo detto che gli armatori minacciano di cambiare bandiera non appena la convenienza fiscale si sposti da un’altra parte. Una moneta debole attenuerebbe molto il problema: gli armatori svolgono il loro lavoro facendosi pagare in monete forti dai loro clienti (essenzialmente Dollaro, Euro, Sterlina eventualmente Yen), pagando tasse in Euro potrebbero trovare conveniente spostarsi nel solito paradiso fiscale, che offre condizioni vantaggiose (ma pur sempre con qualche imposta). Se gli armatori dovessero pagare in moneta “debole”, la convenienza a spostarsi in un altro paese diminuirebbe molto e lo stato ellenico potrebbe, in questo modo, trovare un gettito importante per sostenere l’onere del pubblico impiego e delle pensioni.

In terzo luogo, la moneta debole, insieme alla vicinanza ai mercati europei, (che elimina gran parte dei costi di trasporto) faciliterebbe anche le esportazioni agricole ed, inoltre, se ne gioverebbe molto anche il turismo.

Insomma, la Grecia è un paese ad economia debole e non industrializzato, mentre l’Euro è pensato per una economia forte ed iper industrializzata che esporta prodotti di elevata qualità tecnologica, vi sembra credibile che un paese ad economia debole ed in crisi possa consentirsi una moneta forte?

Ovviamente, perché l’uscita dall’euro non diventi un bagno di sangue occorre che avvenga in modo controllato e concordato con la Ue e per questo occorre avere gli interlocutori e gli alleati giusti. Chi potrebbe essere questo alleato? Ma è chiaro: Schauble, che aveva fatto intendere la sua disponibilità proponendo l’uscita temporanea della Grecia dall’Euro ed opponendosi al taglio del debito, ma solo sino a quando la Grecia fosse rimasta nell’Eurozona.

Essere rimasti nell’Euro è stato il più grave errore di Tsipras che, per di più, ha pagato un prezzo catastrofico per poterlo ottenere: come dire che ha pagato moltissimo per poter essere buggerato. Non credo che lo abbia fatto perché è un traditore, ma più semplicemente per totale insipienza. Anche se talvolta, sul piano oggettivo, le due cose sono indistinguibili.

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