di Mario Lombardo
Quando
nell’estate del 2013 il Parlamento di Londra fu chiamato a esprimersi
sulla richiesta del governo Cameron di autorizzare l’aggressione
militare contro il regime di Bashar al-Assad in Siria, il voto si
risolse in una clamorosa sconfitta per il gabinetto
conservatore-liberaldemocratico. I deputati britannici, riflettendo il
diffusissimo sentimento anti-bellico nel paese, contribuirono di fatto a
impedire un nuovo conflitto in Medio Oriente.
Ma a distanza di due anni è emerso come il governo abbia deciso di
agire in maniera illegale e nella quasi totale segretezza, autorizzando
la partecipazione delle proprie forze aeree alla campagna di
bombardamenti guidata dagli Stati Uniti in territorio siriano.
Com’è
noto, meno di un anno dopo la marcia indietro di Obama sulla guerra in
Siria, il cui lancio doveva basarsi su accuse infondate rivolte a
Damasco di avere utilizzato armi chimiche contro i “ribelli”, Washington
avrebbe ugualmente avviato la propria offensiva nel paese
mediorientale. La giustificazione, in questo caso, era stata il dilagare
dello Stato Islamico (ISIS).
Nel settembre del 2014, il
Parlamento britannico avrebbe dato a sua volta il via libera alla
partecipazione delle proprie forze armate alla guerra aerea, ma solo ed
esclusivamente in territorio iracheno. Il provvedimento approvato a
Londra affermava, in maniera difficilmente equivocabile, che non veniva
concessa alcuna autorizzazione a bombardare la Siria ma, per fare ciò,
il governo avrebbe dovuto passare attraverso “un voto separato del
Parlamento”.
La rivelazione che un certo numero di piloti
britannici sono stati e continuano a essere coinvolti nella campagna di
bombardamenti in Siria è giunta in seguito all’accoglimento di
un’istanza presentata dall’organizzazione umanitaria Reprieve in base
alla legge sulla libertà di informazione. Il Ministero della Difesa di
Londra ha dovuto così ammettere che i propri uomini fin dall’autunno
dello scorso anno avevano iniziato a partecipare a missioni di guerra
ufficialmente proibite per le forze britanniche.
Inizialmente,
una portavoce del premier aveva cercato di minimizzare la vicenda,
sostenendo che fin dagli anni Cinquanta è “pratica comune” per il
personale militare britannico partecipare a operazioni di guerra con
paesi alleati. Dopo queste dichiarazioni era giunta però la conferma che
Cameron era a conoscenza del fatto che soldati del Regno erano
impegnati segretamente in operazioni aeree in Siria.
Lunedì,
poi, il ministro della Difesa conservatore, Michael Fallon, è apparso
alla Camera dei Comuni per rispondere alle domande dell’opposizione
sulla questione dell’impiego di militari britannici in Siria. Nonostante
le azioni del governo siano state palesemente ingannevoli nei confronti
del Parlamento e dei cittadini, non solo Fallon ha potuto chiudere il
suo intervento senza troppe difficoltà, ma ha rilanciato le intenzioni
del suo gabinetto di intensificare l’impegno in Siria.
Il
ministro ha ammesso che cinque piloti britannici hanno partecipato ai
bombardamenti aerei in Siria contro l’ISIS e altri 75 soldati hanno
preso parte a diverse operazioni militari in questo paese assieme agli
alleati.
Fallon ha assicurato che le operazioni erano state
preventivamente approvate dal governo e che sono rimaste segrete per
“ragioni di sicurezza”. Se, però, al governo fossero state chieste
informazioni in proposito da parte dei membri del Parlamento, ha
aggiunto Fallon, “ogni dettaglio sarebbe stato certamente fornito”.
Le
ragioni suggerite dal ministro della Difesa per avere preso una
decisione illegale di estrema gravità sono state molteplici nel corso
del suo intervento di lunedì, anche se nessuna legittima. Ad esempio,
Fallon ha sostenuto che il voto contrario al governo nell’agosto del
2013 si riferiva a operazioni belliche contro le forze di Assad e non
contro l’ISIS.
La campagna contro quest’ultima organizzazione
sarebbe inoltre un altro motivo dell’impiego segreto di piloti
britannici in Siria, visto che la Gran Bretagna – in questo caso con un
voto favorevole del Parlamento – è parte integrante della coalizione
messa assieme dagli Stati Uniti per combattere un nemico che opera in
buona parte in questo paese.
Inevitabile è stato anche il
riferimento alla recente strage in una località turistica della Tunisia,
commessa da seguaci dell’ISIS, nella quale sono stati uccisi una
trentina di cittadini britannici. Il colpo di genio di Fallon e del
governo Cameron, però, è stato la giustificazione che le operazioni
aeree a cui hanno partecipato i propri piloti non erano di iniziativa
britannica, bensì delle forze alleate americane o canadesi, e ciò non
comportava quindi la necessità di un’autorizzazione parlamentare.
Nonostante
il fatto di avere agito in contravvenzione di ben due risoluzioni del
Parlamento, né Fallon né tantomeno Cameron sono stati sfiorati da
ipotesi di dimissioni. Gli stessi membri dell’opposizione, pur avendo
espresso critiche più o meno deboli nei confronti del governo, non hanno
sostanzialmente messo in discussione la posizione del ministro della
Difesa.
La docilità dell’opposizione ha così contribuito al
contrattacco del governo, intenzionato a non fare nessuna marcia
indietro. Quando lunedì alla Camera è stato chiesto ad esempio a Fallon
se la Difesa intendeva sospendere la partecipazione dei piloti
britannici alle operazioni militari in Siria finché il governo non
avesse ottenuto un voto favorevole del Parlamento, il ministro ha
escluso categoricamente questa possibilità.
Anzi, il governo
appare “determinato a impiegare tutte le forze a disposizione per fare
ancora di più per combattere l’ISIS” in Siria. Secondo i media
britannici, Cameron e Fallon potrebbero chiedere al Parlamento già in
autunno l’autorizzazione per condurre incursioni militari “dirette” –
ovvero interamente sotto il comando di Londra – contro l’ISIS anche in
Siria.
Il primo ministro, parlando domenica al network americano
NBC, ha ribadito la necessità di “distruggere il Califfato” in Iraq e in
Siria ma, per quanto riguarda le operazioni in quest’ultimo paese, con
l’accordo del Parlamento.
Il
gabinetto conservatore è ben consapevole di avere agito nella completa
illegalità e, pur affrontando la vicenda con un mix di arroganza e
ostentata sicurezza, intende ricomporre la relativa frattura creatasi
con il Parlamento per timore che altre decisioni unilaterali nell’ambito
della guerra in Medio Oriente alimentino ulteriori sentimenti
anti-bellici nella popolazione.
Il vero obiettivo del governo
Cameron, in ogni caso, coincide con quello degli alleati americani in
Iraq e in Siria, vale a dire l’intensificazione dello sforzo militare
per rovesciare il regime di Assad, anche se dietro il paravento della
lotta all’ISIS.
La classe dirigente di Londra, così come quella
di Washington, non intende perciò accettare vincoli legali né l’opinione
della popolazione nell’avanzamento dei propri interessi, tanto che
alcune voci all’interno dell’establishment della sicurezza in Gran
Bretagna già prospettano un’ulteriore escalation del conflitto in atto.
L’ex
comandante delle forze armate del Regno, Lord Richards, solo qualche
giorno fa ha ad esempio affermato in un’intervista alla BBC che una
strategia efficace per sconfiggere l’ISIS dovrà prima poi includere il
dispiegamento di truppe di terra.
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