La sentenza sulla strage di piazza della Loggia a Brescia, riapre un capitolo della storia recente del nostro paese che, almeno sul piano della verità storica e politica, merita di essere riportato alla luce in moltissimi dei suoi aspetti attinenti alla storia negata, a quegli anni che devono essere in ogni modo o rimossi o maledetti.
Il 17 dicembre 1981 un commando delle Brigate Rosse sequestrava clamorosamente un generale statunitense della base militare Ftase di Verona. Venne liberato il 28 gennaio 1982 da un gruppo operativo dei Nocs (corpi speciali della Polizia). Per raggiungere questo obiettivo non furono risparmiate torture ai militanti delle Br – sia uomini che donne – arrestati prima e dopo il sequestro. Il caso esplose nei mesi successivi e portò all'arresto di un giornalista de L'Espresso, Buffa, che aveva reso pubblici i casi di tortura.
Un anno e mezzo prima, c'era stata la strage con la bomba nella stazione di Bologna nell'agosto del 1980. Non fu l'ultima, perché tre anni dopo – dicembre 1984 – ci fu quella del treno 904. Insomma la stagione delle stragi di stato ancora non aveva esaurito le sue code velenose e sanguinose.
Nessuno, all'epoca come oggi, si è mai posto la domanda del perché l'obiettivo di quell'azione fosse un generale statunitense della base Ftase di Verona. Si trattava di una operazione complessa e rischiosa sia per le caratteristiche del bersaglio sia per il contesto politico dell'epoca. Insomma tirarsi addosso non solo la reazione degli apparati repressivi italiani ma anche quelli statunitensi – nel quadro della seconda guerra fredda – significava alzare il tiro ben al di là di quanto fosse avvenuto fino ad allora nel paese. Un comandante della base militare Ftase di Verona, non poteva non sapere che cosa avessero combinato i suoi uomini nei dieci/dodici anni precedenti.
Verona è il comando delle forze terrestri Usa e Nato. In quella fase storica, Verona era il perno del comando degli operativi militari statunitensi e Nato nella frontiera del Nordest, quella di confine con la cortina di ferro dei paesi del Patto di Varsavia, anche se il “nemico” alle frontiere era la Repubblica Federale Jugoslava che con quel patto aveva rotto già dalla fine degli anni Quaranta.
Ma Verona era e resta molte cose. Era e resta il “cuore nero” di questo paese. Non solo perché era la capitale della Repubblica fascista di Salò ma perché anche nei decenni successivi è dalle strutture operative in questa città – e nel Triveneto in particolare – che la collaborazione tra fascisti, servizi segreti italiani e statunitensi, carabinieri e forze armate statunitensi produrrà la stagione delle stragi.
Ce lo confermano l'inchiesta del giudice Salvini sulla strage di Piazza Fontana ed ora anche la sentenza sulla strage di Brescia.
Le indagini hanno portato direttamente alla pista degli “amerikani” nel nostro paese come nucleo ideatore della stagione delle stragi e questi agenti statunitensi, almeno quelli emersi dalle indagini, erano tutti in servizio alla base militare Ftase di Verona. Il quadro che ne emerge chiama direttamente in causa nella strategia delle stragi i servizi segreti militari USA (non la Cia), soprattutto quelli di stanza nella base del comando FTASE di Verona, i quali attraverso i loro agenti italiani (Digilio, Minetto, Soffiatti) agivano in modo coordinato con le cellule neofasciste di Ordine Nuovo e con gli apparati dello stato italiano nella “guerra sul fronte interno” contro i comunisti, i sindacati e i settori della DC recalcitranti a trasformare la “guerra fredda in guerra civile”.
L’americano supervisore della rete degli uomini neri ha un nome e un cognome: Joseph Luongo ed è l’agente che cooptò nella guerra di bassa intensità anche alcuni criminali nazisti come Karl Hass (con cui Luongo si fa fotografare insieme in un matrimonio). Gli “uomini neri” cioè gli autori delle stragi non erano più di venticinque/trenta persone organizzate su cinque cellule collocate una a Milano e quattro nel Nordest. Ma il perno del sistema operativo era proprio a Verona, lì dove tutto è cominciato ed è difficile dire che sia tutto finito. La morte biologica o l'età avanzata di molti protagonisti non consente oggi di mettere tutte le caselle al proprio posto e ricavarne una verità anche giudiziaria che renda giustizia su quanto accaduto nel nostro paese negli anni Settanta, ma che almeno si abbia il coraggio di affrontare la verità storica e politica, senza pagine rimosse o “maledette” che impediscano alle nuove generazioni di comprendere pienamente cosa e perché è accaduto.
In Italia si è combattuta per anni una guerra di bassa intensità che ha fatto molte vittime, ha dispensato secoli di galera per alcuni (i militanti dei gruppi rivoluzionari della sinistra) ma coperture e carriere per altri (i fascisti e gli uomini degli apparati). Un doppio standard che andrebbe ammesso e demolito, almeno dal punto di vista della ricostruzione storica.
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