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23/07/2015

Burundi - Tra sparatorie e boicottaggi, si contano i voti

Si contano i voti in Burundi, dove la tensione resta alta in questa tornata elettorale imposta dall’attuale presidente Pierre Nkurunziza in cerca del terzo mandato consecutivo, nonostante il limite costituzionale sia di due.

Il voto è stato segnato dalle violenze: sparatorie ed esplosioni. Nella notte prima dell’apertura delle urne, martedì, sono stati uccisi due poliziotti a Bujumbura e il corpo senza vita di un funzionario dell’opposizione è stato trovato in strada sempre nella capitale. Ci sono stati scontri con gli oppositori del presidente che dallo scorso aprile hanno protestato contro la ricandidatura di Nkurunziza, gridando al golpe. Almeno cento i morti nelle violenze (la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti) e il leader di un partito di opposizione, Zedi Feruzi, è stato assassinato a maggio mentre faceva jogging.

L’opposizione ha boicottato le elezioni, giudicandole irregolari, e il presidente sembra non avere avversari. I suoi rivali più temibili, tra cui Agathon Rwasa, si sono ritirati, anche se la commissione elettorale ha mantenuto i loro nomi sulla scheda. Meno di tre quarti degli aventi diritto (3,8 milioni) si sono recati alle urne, ma tra chi ha votato si è diffusa la paura di rappresaglie: la Bbc ha raccontato di persone che hanno cercato di cancellare l’inchiostro indelebile dalle dita, usato per marcare chi ha votato.

Rwasa ha parlato di una “sceneggiata” e ha ribadito che l’estensione del mandato di Nkurunziza porterà il Burundi all’isolamento. Dall’esterno questo appuntamento elettorale, più volte rinviato, è stato giudicato non trasparente e libero. Sia il Dipartimento di Stato Usa sia l’Unione europea hanno espresso preoccupazione per la correttezza dello svolgimento del voto, mentre l’Unione Africana ha deciso di non inviare osservatori. È la prima volta che prende una posizione di questo tipo contro uno Stato membro.

Dal canto suo, il presidente ha definito i suoi detrattori terroristi e a maggio ha trovato la sponda della Corte Costituzionale la quale ha deciso che “il rinnovo del mandato presidenziale per cinque anni tramite suffragio universale diretto non rappresenta una violazione della Costituzione”. L’argomento usato dal presidente per ricandidarsi, a quanto pare accolto dai giudici, è che nel 2005 fu eletto capo di Stato dal Parlamento e non in elezioni dirette, quindi quel mandato non conterebbe. Ma su questa decisione si staglia l’ombra delle pressioni e delle intimidazioni: quattro giudici hanno lasciato il Paese e uno di loro ha denunciato minacce.

Ne è seguito un fallito tentativo di golpe, che ha giustificato una stretta del governo su ogni forma di dissenso, soprattutto sulle radio indipendenti, unica fonte di informazione per una grossa fetta della popolazione che vive senza elettricità. Inoltre, soltanto il 2 per cento dei burundesi ha accesso a internet. La chiusura, spesso violenta (sedi incendiate o vandalizzate) delle stazioni radio ha di fatto impedito ai pochi sfidanti di Nkurunziza di fare campagna elettorale. L’opposizione è stata silenziata e dallo scorso aprile molti suoi esponenti, tanti giornalisti e anche diversi membri del partito del presidente, CNDD-FDD, hanno lasciato il Paese.

E sono fuggiti anche circa 150mila burundesi. Un esodo quotidiano, soprattutto verso la Tanzania, causato dal timore che l’instabilità provocata dalla decisione di Nkurunziza di ricandidarsi faccia riesplodere le tensioni etniche (tra la maggioranza Hutu e la minoranza Tutsi) che negli anni Novanta costarono la vita di centinaia di migliaia di persone (alcuni dicono 800mila, altri 500mila), massacrate a colpi di machete nel giro di cento giorni. La dimensione etnica al momento non sembra prendere il sopravvento, ma la crisi politica in cui è piombato il Paese alla lunga potrebbe riaccendere l’odio etnico e le ripercussioni travalicherebbero i confini burundesi. È il Rwanda a preoccuparsi maggiormente, sul suo territorio sarebbero presenti milizie vicine sia partito di governo burundese sia agli Hutu del FDLR, esecutori del genocidio del 1994, allora fuggiti nella Repubblica democratica del Congo. Milizie che avrebbero già compiuto rapimenti, torture e omicidi in questi mesi.

Nkurunziza, però, ostenta sicurezza (è andato a votare in mountain-bike e si fa ritrarre mentre gioca a calcio) e non pare temere le conseguenze del voto. Lo scrutinio è in corso e domani potrebbero arrivare i risultati.

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