23/07/2015
Lo stragismo è di Stato
Quarantuno anni sono sempre troppi, per avere una sentenza su una strage che ha fatto 8 morti e 102 feriti. Se poi questa arriva a sancire quel che già si sapeva, a carico di due persone già indagate, processate e incredibilmente assolte, è necessario concluderne che lo Stato – in prima persona e ai massimi livelli – ha fatto di tutto per far arrivare questa sentenza fuori tempo massimo, nella speranza che tutti gli imputati passassero a miglior vita.
Invece ne erano rimasti due. Maurizio Tramonte, all'epoca della strage di Brescia appena 21enne, ma già fascista militante e informatore dei servizi segreti, e Carlo Maria Maggi, 81 enne medico veneto, a suo tempo “ispettore politico” di Ordine Nuovo.
Scomparso invece il “pentito”, quel Mario Digilio che confezionò personalmente quasi tutte le bombe delle stragi di stato degli anni '70, da Piazza Fontana in poi, fascista e agente dei servizi segreti italiani e statunitensi (dipendeva dal comando Nato-Ftase di Verona), che vuotò il sacco solo quando scoprì d'essere ormai in punto di morte.
Morto anche Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo e poi segretario del Movimento Sociale Italiano, appena prima che Gianfranco Fini promuovesse la “svolta di Fiuggi”. Ma aveva fatto in tempo ad essere assolto, come Franco Freda e Giovanni Ventura, poi scomparso in Argentina. Morto il generale dei carabinieri Francesco Delfino, poi dirigente del Sismi, naturalmente assolto per aver lungamente depistato le indagini sulla strage (dov'era in servizio nel 1974). E' invece ancora vivo Delfo Zorzi, autore materiale della strage di Piazza Fontana, ma assolto per quella come per Brescia, fatto rifugiare in Giappone, dove ha fatto successo come imprenditore, col nome di Hagen Roi, senza che ne sia mai stata chiesta l'estradizione.
Si potrebbe andare avanti a lungo, ma ci basta rinviare alla sterminata documentazione esistente in materia, quasi interamente ascrivibile alle contro inchieste del movimento rivoluzionario di quegli anni, riprese e trasformate in indagini dal giudice Guido Salvini.
Dopo tanto tempo, non ci sono parole che non siano state dette.
Questo Stato, quello di allora in perfetta continuità con quello di oggi, ha ordinato stragi, le ha fatte eseguire a gruppetti di fascisti quasi sempre arruolati come “informatori”, infiltrati o semplici agenti dei servizi di intelligence. Questo Stato ha poi protetto – a volte goffamente, come avviene a chi si sente troppo potente per curarsi di non lasciare troppe tracce nei reati che commette – gli autori delle stragi depistando le non molte indagini che puntavano a scoprire gli assassini. Questo Stato ha protetto i depistatori, consentendo loro notevoli carriere, secondo il classico schema dell'esecutore che ha molto da dire sul proprio mandante.
Si potrà dire che questo era il frutto della “guerra fredda”, del mondo diviso in due in cui non poteva proprio accadere che un paese chiave della Nato – e viceversa, del Patto di Varsavia – fosse governato da forze politiche non perfettamente allineate con la superpotenza di riferimento.
Ma non si può dire che ora vigono altre regole. Cambiano gli strumenti, forse. Anche in considerazione dell'assoluta minorità delle soggettività comuniste e rivoluzionarie.
E allora una sentenza che arriva così clamorosamente fuori tempo, che non serve più a punire nessuno, può servire a molti scopi meno nobili della scrittura della verità storica. A partire dalla patina di belletto che certamente il potere sta provando a stendere sulle sue rughe più orrende.
E invece sarebbe importante che questa verità giudiziaria, solo oggi giunta a conferma della verità storica, servisse da stimolo, per un paese disorientato, per fare il punto seriamente sul proprio recente passato. Ovvero dal dopoguerra a oggi.
Possiamo però star certi – e ce lo dimostrano le prime pagine dei giornali di oggi, compreso addirittura il manifesto – che così non sarà. La struttura infame del potere italico si vede proprio da queste cose...
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