“Il governo annuncia la liberazione della provincia di Aden”: con
queste parole, scritte stamattina su Facebook il vice presidente del
governo ufficiale yemenita ha siglato la peggiore sconfitta del
movimento Houthi dallo scorso settembre, quando i ribelli sciiti
occuparono la capitale yemenita Sana’a.
Le forze militari fedeli al presidente Hadi, coperte dai
bombardamenti sauditi, hanno ripreso la città costiera meridionale di
Aden, trasformata in capitale provvisoria dopo la caduta di Sana’a.
Subito dopo la riconquista dello strategico porto cittadino, una
delegazione ministeriale è stata inviata da Hadi in esilio da tre mesi
in Arabia saudita.
Ad Aden sono atterrati in elicottero funzionari dell’intelligence e
rappresentanti del governo (il ministro degli Esteri, quello dei
Trasporti, l’ex ministro degli Interni e il vice presidente del
parlamento) per «garantire stabilità prima del ritorno delle istituzioni
dello Stato», ha detto una fonte locale alla Reuters. E se oggi il vice
presidente dichiarava Aden “liberata”, la battaglia non pare del tutto
cessata: ancora ieri proseguivano gli scontri tra forze
governative e miliziani Houthi, lasciando dietro di sé – dicono fonti
mediche – decine di vittime. Il movimento sciita ha risposto
con un fitto lancio di razzi Katiusha contro la raffineria a ovest della
città e contro il porto. L’aviazione saudita, da parte sua, ha
intensificato i raid contro veicoli blindati Houthi che tentano di
portare rinforzi.
Secondo testimonianze dei residenti, stamattina si registravano
ancora scontri di più ridotte dimensioni nel distretto di Tawani, a
ovest della città, ultimo quartiere in mano Houthi. Una cocente
sconfitta per il movimento ribelle che per mesi ha resistito
all’operazione militare saudita e agli attacchi di tante forze
contrarie, da quelle governative a quelle islamiste (Isis e al Qaeda).
Senza il fondamentale sostegno dell’aviazione saudita e dei 100
veicoli blindati inviati da Riyadh (altri 45 dagli Emirati Arabi) è
difficile che le forze governative potessero da sole cacciare il
movimento da Aden, sebbene il presidente Hadi continui a dire di aver
gestito direttamente l’operazione, ribattezzata “Freccia Dorata”. La
potenza di fuoco immessa in tre giorni dall’Arabia Saudita è forse la
risposta militare e simbolica all’accordo sul nucleare iraniano: Riyadh
c’è e non intende piegarsi ad un nuovo super potere regionale.
La cosiddetta guerra civile prosegue ormai da 100 giorni e i più
colpiti sono, ovviamente, i civili. Nel conflitto dimenticato dai media
hanno perso la vita 3.500 persone, oltre la metà delle quali civili. Un
milione sono gli sfollati interni, mentre oltre l’80% della popolazione
(circa 20 milioni di persone) ha necessità immediata di aiuti umanitari.
Nei giorni scorsi l’Onu è tornata ad appellarsi al mondo perché si
muova, ultimo richiamo di una lunga serie di dichiarazioni inascoltate.
Stephen O’Brien, coordinatore Ore per il Soccorso d’Emergenza, mercoledì
ha parlato di “situazione umanitaria catastrofica”:
“Milioni di donne, bambini e uomini stanno affrontando violenza
terrificante, fame estrema e scarsa assistenza medica mentre i
combattimenti e i bombardamenti da parte di tutti gli attori non danno
segno di volersi fermare”.
Un appello che giunge dopo il fallimento del cessate il fuoco
umanitario che l’Onu era riuscito a siglare dopo settimane di tentativi
a vuoto: venerdì scorso poche ore dopo l’inizio della tregua
raid sauditi hanno colpito il paese. Riyadh si è giustificata: era la
risposta ad un attacco Houthi. Intanto lo Yemen muore.
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