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17/02/2016

Accordo per la Siria: cosa si muove?

Sarà un caso, ma a pochi mesi dall’intervento aero-missilistico dei russi in Siria si è mossa la macchina diplomatica che sembrava paralizzata ed è stato trovato un pur fragile accordo per arrivare al cessate il fuoco. E, sempre per pura combinazione, sauditi e turchi hanno deciso che manderanno truppe di terra per combattere l’Isis. Ma non mi dire!

E i russi hanno mandato subito a dire che è meglio che turchi a sauditi restino dove sono stati sinora, mentre la parte più filo turca dei ribelli siriani dichiara di sentirsi tradita dagli alleati e lascia intendere che non rispetterà la tregua.

Insomma, è chiaro che il ritorno di Mosca sullo scenario mediorientale ha scosso gli equilibri e fatto inclinare il piatto della bilancia dalla parte di Assad (per il quale non nutro alcuna simpatia, ma ne ho anche meno per i suoi avversari) ed ha coinciso con una offensiva delle forze governative che sono arrivate alle porte di Aleppo. L’improvvisa disponibilità della diplomazia americana a negoziare (oltre che alle pressioni degli europei, terrorizzati dall’idea di nuove ondate di profughi in primavera) è stata prodotta dal timore di una vittoria sul campo di Assad o, quantomeno, di un sensibile spostamento di rapporti di forza per cui la trattativa sarebbe poi avvenuta in condizioni peggiori per i ribelli.

In questo complicato gioco si sono infilati sauditi e turchi per ragioni in parte diverse fra loro. Nella prospettiva neo ottomana di Erdogan una tregua che lascia al suo posto il regime siriano è una sconfitta intollerabile: una Siria ostile alle porte ed un nuovo protagonismo dei curdi, altro che sogno neo ottomano. E così Ankara decide di mettere piede in Siria, con il trasparente pretesto dell’Isis, per dare man forte ai suoi alleati e sabotare la tregua, E comunque, per precedere la proclamazione di uno stato curdo, che si sta sempre bene dal loro punto di vista.

Quanto ai Sauditi, è altrettanto evidente che hanno interesse alla prosecuzione della guerra in Siria e ad evitare un consolidamento dell’asse sciita fra Damasco e Teheran, quindi, anche loro vanno per dare una mano ai rispettivi alleati.

Quanto all’Isis, ovviamente, non solo i sauditi non pensano affatto di combatterlo (salvo qualche sceneggiata ad uso e consumo degli americani), ma, anzi, vanno lì per proteggere la loro creatura, rifornirli, avvisarli delle azioni militari contro di loro ed, al bisogno, aiutarli ad evacuare salvando la pelle.

La rogna del Califfato non si cura lì: si cura pestando sauditi e turchi. E non mancano i mezzi per farlo, non necessariamente sul piano militare, ma, nel caso, anche sul piano militare.

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