di Michele Giorgio
Perché gli
israeliani preferiscono Hillary Clinton all’ebreo Bernie Sanders per la
nomination democratica? E perché Sanders piace sempre di più agli
americani di origine araba? Questi interrogativi restano ai
margini delle primarie Usa giunte due giorni fa ad un nuovo “super
Tuesday” in Florida, North Carolina, Ohio, Missouri e Illinois.
Potrebbero però diventare importanti se il senatore del Vermont riuscirà
ad insidiare concretamente la potente Hillary Clinton. Una possibilità
remota alla luce del risultato di martedì. Comunque è
interessante che il primo ebreo americano impegnato in una corsa vera
verso la nomination non raccolga le simpatie degli israeliani.
«I motivi sono diversi» ci spiega l’analista Eytan Gilboa,
docente all’Università Bar Ilan di Tel Aviv (un laboratorio politico
della destra israeliana) «Sanders sembra nascondere la sua origine
ebraica, non la manifesta con orgoglio e questo non piace alla
popolazione israeliana e ai suoi rappresentanti politici». Un altro
motivo, aggiunge Gilboa «è il suo orientamento socialista che insospettisce la maggioranza degli israeliani ormai schierata a destra». Contano anche le posizioni di Sanders su Israele, i palestinesi e il Medio Oriente.
«Sanders fino ad oggi non ha detto molto su questi temi ma non ha
mancato, in varie occasioni, di criticare lo Stato di Israele e ha
difeso i diritti dei palestinesi», sottolinea Gilboa. Perciò gli
israeliani, dice l’analista, preferiscono Hillary Clinton «esperta in
politica estera e da sempre schierata dalla parte di Israele, senza
dimenticare che suo marito Bill è stato uno dei presidenti americani più
vicini al nostro Paese».
In poche parole Bernie Sanders non mostra un particolare attaccamento
allo Stato ebraico e le sue critiche a Israele lo rendono indigesto.
Non è stato sufficiente che il senatore del Vermont, che ha avuto parte
della sua famiglia sterminata dai nazisti, si sia detto qualche giorno fa
«orgoglioso di essere ebreo» durante un dibattito, e neppure che parlerà
di fronte all’Aipac, la potente lobby filo-israeliana. Il “socialista”
Sanders pensa troppo alla working class, alla Rust Belt,
la “cintura arrugginita” della zona industriale del Midwest, colpita
duramente dalla crisi economica, e troppo poco a Israele e a come
aiutarlo a conservare la supremazia militare in Medio Oriente. Per
questo, e non solo, guadagna consensi tra gli americani di origine
araba – in maggioranza cristiani e non musulmani come molti credono –
che però sono soltanto 3.4 milioni e rappresentano appena l’1% della
popolazione Usa. Quindi non possono influenzare in modo significativo
gli esiti delle primarie e, più di tutto, delle presidenziali. Tuttavia i loro voti a inizio mese sono stati fondamentali per regalare a Sanders una importante vittoria in Michigan.
Molto cauto resta l’atteggiamento dei palestinesi, disinteressati
alle primarie Usa. Sanders nel suo programma di politica estera si
proclama contro nuove guerre e interventi militari statunitensi in Medio
Oriente ma sulla questione palestinese non va oltre un generico
sostegno alla soluzione dei “Due Stati” e al riconoscimento dei diritti
del popolo sotto occupazione israeliana. Forse è tanto per il governo
Netanyahu e un buon numero di israeliani ma poco per le aspirazioni dei
palestinesi che non nutrono alcuna fiducia verso la politica
mediorientale di Washington, sia che alla Casa Bianca ci sia un
presidente democratico o uno repubblicano. Solo gli intellettuali
palestinesi progressisti sembrano seguire, con qualche interesse, la
sfida di Sanders a Hillary Clinton.
Il sostegno a Israele è un tema centrale delle primarie e
delle presidenziali americane. I candidati di solito si sfidano a colpi
di promesse di aiuti e di politiche a favore dello Stato ebraico.
In occasione di questo ultimo “super Tuesday” in Florida, North
Carolina, Ohio, Missouri e Illinois, la questione di Israele e della sua
posizione nel Medio Oriente è stata motivo di scontro in casa
repubblicana dove il frontrunner Donald Trump è stato attaccato dai suoi
rivali Marco Rubio e Ted Cruz perché si è proposto come “mediatore
neutrale” tra israeliani e palestinesi. Peraltro in tre – Ohio, Illinois
e Florida – dei cinque Stati in cui si è votato per questo nuovo
capitolo delle primarie Usa sono presenti comunità ebraiche consistenti.
Rubio hanno puntato anche sul voto degli americani ebrei per provare a
mettere in difficoltà Trump.
«In Israele – dice Eytan Gilboa – la maggioranza della
popolazione e, con ogni probabilità, il premier Netanyahu preferirebbero
vedere un Repubblicano alla Casa Bianca. Molti credono che i
Repubblicani, almeno in questi ultimi anni, si siano dimostrati più
vicini a Israele rispetto ai Democratici. Soprattutto se
guardiamo alla presidenza di Barack Obama». Trump non genera entusiasmo,
a causa della sua «imprevedibilità», spiega l’analista, «ma alcune
delle sue posizioni sono condivise da tanti israeliani che perciò
vedrebbero con favore il suo ingresso alla Casa Bianca al posto di
Obama».
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