Mentre la politica e le autorità tacciono, i media rilanciano notizie gravissime che rimbalzano da Washington ai comandi militari nostrani e che non lasciano alcun dubbio sul ruolo che l’Italia avrà, e che sta già avendo, nella missione militare occidentale in Libia.
Intanto abbiamo saputo che oltre alle barbe lunghe di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, un certo numero – sembra 40 – di agenti dei servizi segreti dell’Aise sono già in territorio libico concentrati a Tripoli e a guardia delle installazioni petrolifere dell’Eni a Mellita e nel Fezzan. Una sorta di testa di ponte che prepara l’arrivo di contingenti ben più consistenti.
I media indicano che nei prossimi giorni, alla volta del paese nordafricano scosso dallo scontro tra i due governi di Tobruk e Tripoli, le milizie tribali e i jihadisti dell’Isis, partiranno 50 appartenenti al 9° reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin portando il numero totale dei soldati italiani già presenti in Libia a 90. Secondo alcune indiscrezioni – ma senza che il Parlamento sia stato né coinvolto né informato – un nutrito gruppo di membri delle forze speciali di Roma sarebbe già a Tripoli da qualche tempo.
Solo ora si è inoltre scoperto, dopo le rivelazioni della stampa statunitense che hanno colto il premier in castagna, che lo scorso 10 febbraio Matteo Renzi ha emanato un decreto (subito secretato) in cui il governo ha avocato al Dipartimento per la Sicurezza del Dis (che coordina i servizi segreti operanti all’interno e all’esterno dei nostri confini) la gestione della missione in nord Africa.
Mentre le forze speciali statunitensi, francesi e britanniche già combattono in diverse località contro le milizie dell’Isis e altri gruppi affini, supportate da raid aerei, si profila un ruolo di primo piano per il dispositivo militare italiano. Che non si limiterebbe al sostegno logistico – la concessione della base di Sigonella ai droni da bombardamento statunitensi – o all’invio di qualche consigliere militare da destinare all’addestramento delle forze armate di un governo di unità nazionale più volte annunciato e mai nato. Sembra infatti che l’Italia, pressata dalle altre potenze europee e in particolare dagli Stati Uniti, sia disponibile a mobilitare nientemeno che 1000 soldati, coadiuvati da un gran numero di mezzi corazzati e velivoli da ricognizione e combattimento. In realtà, alcuni esponenti del governo e dello Stato Maggiore avrebbero addirittura discusso – non si sa però con quale esito – la possibilità di impiegare in Libia addirittura 3000 uomini di diverse armi, comprese le unità di ‘eccellenza’ del Reggimento San Marco e i paracadutisti del Battaglione Tuscania.
Del resto lunedì scorso il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Ashton Carter, aveva benedetto la formazione di una coalizione guidata proprio dall’Italia con l’obiettivo di contrastare l’avanzata dei jihadisti in Libia e di mettere in sicurezza i giacimenti petroliferi in mano alle multinazionali occidentali. Carter ha rivelato inoltre che è stato il governo Renzi ad offrirsi di assumere la guida della missione bellica in Libia. Il Wall Street Journal aveva già rivelato la scorsa settimana, citando il generale Bolduc, comandante delle forze speciali degli Stati Uniti in Africa, che nella capitale italiana è già stato inaugurato il Centro di Coordinamento della Coalizione.
Un’esposizione da parte del governo italiana che prevede ovviamente il combattimento e il coinvolgimento in un vero e proprio carnaio contraddistinto dallo scontro sul terreno tra forze locali e internazionali di diverso tipo. Un impegno in prima linea che, sembra banale ma necessario ricordarlo, espone la popolazione italiana al serio rischio di diventare obiettivo di eventuali atti di ritorsione da parte dei gruppi jihadisti. L’eventualità che lo scenario parigino – attentati che provocano stragi – si ripresenti anche a Roma e nelle altre grandi città italiane diventa a questo punto più che reale all’interno di una ennesima ‘guerra asimmetrica’ combattuta questa volta dalle potenze europee non contro governi e stati, ma contro organizzazioni combattenti di diversa natura. La responsabilità di eventuali attacchi terroristici nelle nostre città sarebbe in quel caso obbligatorio addebitarla al governo Renzi, al Pd e alle altre forze politiche che lo sostengono, oltre che al Capo dello Stato, incuranti della sicurezza del nostro territorio e preoccupati piuttosto di sedere da protagonisti al tavolo della spartizione delle risorse energetiche libiche all’indomani dell’ennesima operazione bellica.
Nonostante i dinieghi da parte delle autorità italiane, le rappresaglie jihadiste nei confronti di un’Italia che si appresta a pestare di nuovo il suolo libico con gli scarponi dei suoi soldati potrebbero già essere iniziate. Salvatore Failla e Fausto Piano, due dei quattro dipendenti della società di costruzioni “Bonatti” rapiti in Libia nel luglio del 2015, sarebbero stati uccisi durante una sparatoria tra miliziani dell’Isis e soldati libici affiancati da militari francesi nella regione di Sabrata.
La notizia diffusa dalla Farnesina non è ancora del tutto confermata ma i dettagli a sostegno dell’ipotesi sembrano essere sostanziosi: «Relativamente alla diffusione di alcune immagini di vittime di sparatoria nella regione di Sabrata in Libia, apparentemente riconducibili a occidentali – afferma il Ministero degli Esteri – da tali immagini e tuttora in assenza della disponibilità dei corpi, potrebbe trattarsi di due dei quattro italiani, dipendenti della società di costruzioni “Bonatti”, rapiti nel luglio 2015 e precisamente di Fausto Piano e Salvatore Failla. Al riguardo la Farnesina ha già informato i familiari. Sono in corso verifiche rese difficili, come detto, dalla non disponibilità dei corpi». Un testimone libico, rientrato a Tunisi da Sabrata, ha riferito all'agenzia Ansa che i due ostaggi italiani “sono stati usati come scudi umani” dai jihadisti dell'Isis e sarebbero morti “negli scontri” con le milizie di ieri a sud della città, nei pressi di Surman.
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