di Michele Giorgio – Il Manifesto
È una stupenda giornata di sole e i
riflessi argentati del mare illuminano una decina di piccole barche
pronte a prendere il largo. Pochi shekel assicurano a famiglie in cerca
di svago un breve tour nelle acque intorno al porticciolo di Gaza city.
Alle spalle i pescatori sistemano le reti e le casse di legno con il
pesce. Poco lontano, sdraiati sulle panchine, alcuni ragazzi
approfittano del tepore primaverile per sonnecchiare accanto al mare. È
una giornata bella e amara allo stesso tempo. Il mare di Gaza vuol dire
Vittorio Arrigoni. Su alcune di queste barche e pescherecci Vik era
salito tante volte con l’intento di proteggere, con la sua presenza, i
pescatori costretti a fare ogni giorno i conti con i limiti imposti
dalla Marina israeliana davanti alle coste di Gaza.
Samah, una giovane attivista, invece, Vittorio l’aveva conosciuto nelle campagne a ridosso delle barriere di confine con Israele.
«Avevo notato la sua presenza durante un’iniziativa a Shujayea a
sostegno dei contadini che non potevano recarsi nei campi all’interno
del raggio di tiro dei soldati israeliani», ricorda «all’inizio ero
stata molto cauta nei confronti di questa presenza, poi, ad un certo
punto, i militari hanno cominciato a sparare e lui ha fatto un salto in
avanti per proteggermi. In quel momento ho compreso che quello
straniero, Vittorio, teneva più alla vita dei palestinesi che alla sua».
Cinque anni fa, nella notte tra il 14 e il 15 aprile, una
gang di assassini, che si proclamava una “cellula salafita” fuoriuscita
dal gruppo Tawhid wal Jihad, uccideva Vittorio Arrigoni strappandolo
alla gente di Gaza, alla sua famiglia, agli amici palestinesi e a tanti
italiani che lo seguivano sui social e sul manifesto. I motivi
per i quali l’attivista e reporter italiano fu sequestrato e brutalmente
ucciso sono stati chiariti solo in minima parte al processo. Due dei
suoi killer, Abdel Rahman Breizat e Bilal Omari, peraltro rimasero uccisi pochi giorni dopo l’omicidio in uno scontro a fuoco con la polizia di Hamas. Un terzo carnefice, Mahmud al Salfiti,
qualche mese fa, approfittando di un permesso delle autorità
carcerarie, è fuggito da Gaza per andare a morire in Siria, pare nelle
fila del Califfato. Khader Jram, condannato in primo
grado a 10 anni, pena scesa a cinque anni in appello, sarebbe uscito
definivamente dal carcere e di lui ora non si sa più nulla, la famiglia
rifiuta qualsiasi contatto con i giornalisti. In prigione rimarrebbe
solo Tamer Hasasnah, il quinto componente della cellula
salafita. Ma nessuno può affermarlo con certezza perchè dalle autorità
di Gaza non giungono risposte alle nostre domande.
«Vittorio aveva un rapporto speciale con i ragazzi di Gaza –
ricorda Samah – in particolare con quelli del gruppo Gybo (Gaza Youth
Breaks Out) che sei anni fa denunciò assieme all’assedio
israeliano, la politica di divisione portata avanti dai principali
partiti (Hamas e Fatah) contro il desiderio di unità di tutti i
palestinesi. Li ascoltava, discuteva con loro e spesso riportava i contenuti di quei discorsi in rete per farli conoscere agli italiani».
Vittorio, aggiunge la palestinese, «ha saputo raccontare la vita di
Gaza in ogni suo aspetto, oltre ai crimini commessi da Israele». Molti ricordano Vik anche per la sua semplicità, per la capacità di sentirsi a suo agio con tutti, ovunque.
«Amava scherzare, faceva battute, era piacevole stare in sua compagnia.
Da questo punto di vista era imbattibile soprattutto quando guardavano
insieme le partite di calcio in tv. Lo faceva di proposito, tifava
sempre per la squadra avversaria della nostra solo per prenderci in
giro», ricorda Samah, che poi tace e, con lo sguardo perso nel vuoto,
abbozza un sorriso forse ripensando all’amico italiano.
La voglia di vivere assieme ai palestinesi, di vivere la realtà di Gaza è il tratto di Vik che ricorda di più Khalil Shahin, vicedirettore del Centro Palestinese dei Diritti umani e uno degli amici più stretti di Vittorio.
«Di lui apprezzavo la semplicità, il desiderio di conoscere le persone
comuni, di ascoltare le loro storie, la loro vita. Era diventato parte
integrante di alcune famiglie contadine qui a Gaza», racconta. «A me
manca anche l’attivista, il Vittorio politico, scrittore, blogger»
prosegue Shahin «Ieri sera, rileggendo il suo libro “Restiamo Umani” ho
pensato alle offensive israeliane subite da Gaza negli ultimi otto anni
ed ho notato la differenza per ciò che riguarda la comunicazione tra la
prima (Piombo Fuso, 2008) raccontata così bene da Vittorio, anche sul
vostro giornale, e le altre due (Colonna di Difesa 2012 e Margine
Protettivo, 2014) senza di lui. Era impareggiabile la sua capacità di cogliere gli aspetti più veri dell’esistenza dei civili sotto attacco. Sapeva scrivere».
Vittorio, continua Shahin, «è stato una fonte di ispirazione per tanti
attivisti stranieri, non solo italiani, che sono poi venuti qui con
l’intento di proseguire almeno in parte il suo lavoro. Il suo modo di
raccontare Gaza, la sua costanza nel riferire gli eventi, sono stati un
modello per tanti, stranieri e palestinesi».
Oggi il quinto anniversario dall’assassinio di Vik sarà ricordato a
Gaza con varie iniziative. Dalle 10 alle 12, pescatori, studenti,
comitati di donne, tanti palestinesi e alcuni italiani si riuniranno al
Mina Sayadeen, il porticciolo, per le commemorazioni organizzate dal Centro Culturale Italiano “Vittorio Arrigoni” di Gaza city.
E’ previsto un collegamento via internet con Casalecchio di Reno
(Bologna). Nel pomeriggio al centro culturale Meshal è in programma la
proiezione di un documentario su Vittorio oltre a danze e canti
popolari. «Ci saranno tanti ragazzi palestinesi», annuncia Meri Calvelli, cooperante e responsabile del Centro Culturale Italiano,
«a conferma che la figura di Vittorio, la sua umanità e il suo impegno,
restano impressi nella memoria collettiva di Gaza. Perché Vik era
Gaza».
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento