“E’ vero, abbiamo bisogno del sostegno della comunità internazionale per
combattere il terrorismo ed è vero che qualcosa abbiamo già ricevuto.
Tuttavia, noi non stiamo parlando di un intervento militare
internazionale: la presenza di truppe straniere [in Libia] sarebbe
contraria ai nostri principi”. Parola del premier libico Fayez al-Sarraj. In una intervista pubblicata ieri dal quotidiano francese Journal du Dimanche, Al-Sarraj ha provato a spegnere definitivamente le voci di un (nuovo) intervento occidentale nel suo Paese
ribadendo che quello di cui ha bisogno Tripoli sono “immagini
satellitari, intelligence, aiuto tecnico piuttosto che bombe”. Una
dichiarazione che contrasta però con quanto starebbe avvenendo di fatto
sul terreno: secondo alcuni media occidentali, infatti, militari
britannici, statunitensi e italiani starebbero già operando da mesi in
Libia. Un articolo de “la Repubblica” dello scorso 24 maggio ha rivelato
che Roma ha nello stato africano un contingente formato da una
quarantina di uomini che collabora non solo con Tripoli ma anche con
l’ambiguo generale Khalifa Haftar.
Per mesi i governi occidentali hanno ripetuto ufficialmente
che le loro truppe avrebbero partecipato alle missioni contro
l’autoproclamato “Stato islamico” (Is) in Libia solo se “invitati” dal
governo d’accordo nazionale (Gna). A due mesi dalla formazione
del Gna, la dichiarazione di ieri del premier libico sembrerebbe
suggerire che “l’invito” di Tripoli non sarà recapitato (almeno per il
momento) alle cancellerie europee e statunitense. Galvanizzato dai
recenti successi militari dei suoi uomini, al-Sarraj si è detto sicuro
che riuscirà ad avere la meglio sull’Is nella città di Sirte controllata
da mesi dai jihadisti. “La vittoria è vicina – ha detto il premier –
saremo capaci di riprendere il controllo di tutte le zone occupate.
Speriamo solo che questa guerra contro il terrorismo possa unire la
Libia”. “Una guerra lunga – ha aggiunto il primo ministro – ma questo la
comunità internazionale lo sa bene”.
Le parole di al-Sarraj giungono il giorno dopo che brigate
fedeli al suo governo hanno ripreso il controllo di una base aerea a 20
chilometri da Sirte. Un “successo significativo” dal punto di vista
strategico, ha spiegato il portavoce delle unità combattenti Mohammed
al-Gasri, perché “taglia i rifornimenti allo Stato islamico e li blocca
all’interno la città”. Le milizie vicine al Gna, per lo più
provenienti da Misurata, stanno avanzando recentemente verso est: nelle
ultime tre settimane hanno scacciato gli uomini del “califfato” nelle
aree periferiche di Sirte. Ma la battaglia è solo agli inizi: secondo
Ziad Hadia, rappresentante del parlamento di Tobruq che è rivale a
quello di Tripoli ed è situato nell’est del Paese, l’Is può ancora
disporre di 2.000 uomini, principalmente di nazionalità tunisina e sub
sahriana. Dichiarazioni che non possono essere verificate e che devono
essere lette anche tenendo presente l’accesa rivalità tra Tripoli e
Tobruq che, oltre a due differenti parlamenti, dispongono anche di due
propri eserciti.
La situazione libica è costantemente monitorata con
preoccupazione dagli europei sia per ciò che riguarda la questione
immigrazione (133 cadaveri sono stati rivenuti solo negli ultimi giorni sulle coste di Zuwara), ma anche perché l'instabilità cronica in cui versa il Paese, lo stato d’insicurezza, aggravato da gruppi che si dichiarano affiliati al “califfo” al-Baghdadi, rappresenta un grave problema per gli affari delle compagnie petrolifere occidentali
che, di fronte ai loro investimenti a rischio, pretendono maggiori
certezze da Tripoli. E’ in questa ottica che si deve leggere la prima
visita a Tripoli dal luglio 2014 dell’amministratore delegato dell’Eni,
Claudio Descalzi. In una nota, l’impresa italiana ha detto che l’Ad ha
incontrato sabato il premier al-Sarraj e, dopo averlo rassicurato circa
le intenzioni del suo gruppo a continuare ad operare nel Paese, lo ha
esortato a sostenere gli sforzi della Società nazionale del petrolio per
incrementare la produzione.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento