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06/06/2016

Libia - Sarraj rifiuta l'intervento militare occidentale

“E’ vero, abbiamo bisogno del sostegno della comunità internazionale per combattere il terrorismo ed è vero che qualcosa abbiamo già ricevuto. Tuttavia, noi non stiamo parlando di un intervento militare internazionale: la presenza di truppe straniere [in Libia] sarebbe contraria ai nostri principi”. Parola del premier libico Fayez al-Sarraj. In una intervista pubblicata ieri dal quotidiano francese Journal du Dimanche, Al-Sarraj ha provato a spegnere definitivamente le voci di un (nuovo) intervento occidentale nel suo Paese ribadendo che quello di cui ha bisogno Tripoli sono “immagini satellitari, intelligence, aiuto tecnico piuttosto che bombe”. Una dichiarazione che contrasta però con quanto starebbe avvenendo di fatto sul terreno: secondo alcuni media occidentali, infatti, militari britannici, statunitensi e italiani starebbero già operando da mesi in Libia. Un articolo de “la Repubblica” dello scorso 24 maggio ha rivelato che Roma ha nello stato africano un contingente formato da una quarantina di uomini che collabora non solo con Tripoli ma anche con l’ambiguo generale Khalifa Haftar.

Per mesi i governi occidentali hanno ripetuto ufficialmente che le loro truppe avrebbero partecipato alle missioni contro l’autoproclamato “Stato islamico” (Is) in Libia solo se “invitati” dal governo d’accordo nazionale (Gna). A due mesi dalla formazione del Gna, la dichiarazione di ieri del premier libico sembrerebbe suggerire che “l’invito” di Tripoli non sarà recapitato (almeno per il momento) alle cancellerie europee e statunitense. Galvanizzato dai recenti successi militari dei suoi uomini, al-Sarraj si è detto sicuro che riuscirà ad avere la meglio sull’Is nella città di Sirte controllata da mesi dai jihadisti. “La vittoria è vicina – ha detto il premier – saremo capaci di riprendere il controllo di tutte le zone occupate. Speriamo solo che questa guerra contro il terrorismo possa unire la Libia”. “Una guerra lunga – ha aggiunto il primo ministro – ma questo la comunità internazionale lo sa bene”.

Le parole di al-Sarraj giungono il giorno dopo che brigate fedeli al suo governo hanno ripreso il controllo di una base aerea a 20 chilometri da Sirte. Un “successo significativo” dal punto di vista strategico, ha spiegato il portavoce delle unità combattenti Mohammed al-Gasri, perché “taglia i rifornimenti allo Stato islamico e li blocca all’interno la città”. Le milizie vicine al Gna, per lo più provenienti da Misurata, stanno avanzando recentemente verso est: nelle ultime tre settimane hanno scacciato gli uomini del “califfato” nelle aree periferiche di Sirte. Ma la battaglia è solo agli inizi: secondo Ziad Hadia, rappresentante del parlamento di Tobruq che è rivale a quello di Tripoli ed è situato nell’est del Paese, l’Is può ancora disporre di 2.000 uomini, principalmente di nazionalità tunisina e sub sahriana. Dichiarazioni che non possono essere verificate e che devono essere lette anche tenendo presente l’accesa rivalità tra Tripoli e Tobruq che, oltre a due differenti parlamenti, dispongono anche di due propri eserciti.

La situazione libica è costantemente monitorata con preoccupazione dagli europei sia per ciò che riguarda la questione immigrazione (133 cadaveri sono stati rivenuti solo negli ultimi giorni sulle coste di Zuwara), ma anche perché l'instabilità cronica in cui versa il Paese, lo stato d’insicurezza, aggravato da gruppi che si dichiarano affiliati al “califfo” al-Baghdadi, rappresenta un grave problema per gli affari delle compagnie petrolifere occidentali che, di fronte ai loro investimenti a rischio, pretendono maggiori certezze da Tripoli. E’ in questa ottica che si deve leggere la prima visita a Tripoli dal luglio 2014 dell’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi. In una nota, l’impresa italiana ha detto che l’Ad ha incontrato sabato il premier al-Sarraj e, dopo averlo rassicurato circa le intenzioni del suo gruppo a continuare ad operare nel Paese, lo ha esortato a sostenere gli sforzi della Società nazionale del petrolio per incrementare la produzione.

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