di Chiara Cruciati – Il Manifesto
L’escalation militare
contro lo Stato Islamico tra Siria e Iraq ha un effetto immediato sul
flusso di nuovi rifugiati che scappano dalle città chiave, teatro degli
scontri più duri: Raqqa, Aleppo, Fallujah alimentano il dramma dei
civili. Allo stesso modo intensificano le pressioni militari sull’Isis.
Tra venerdì e sabato per la prima volta dal 2014 l’esercito
del presidente Assad è entrato nella provincia di Raqqa: coperta da
pesanti raid russi, Damasco ha varcato il confine della provincia di
Hama penetrando in quella simbolo del potere del “califfato”, portandosi a 40 km da Taqba, sede di una base aerea e di una diga sull’Eufrate.
Aumenta la pressione sulla “capitale” dello Stato Islamico, la città
siriana che come Mosul in Iraq rappresenta le ambizioni statuali di
al-Baghdadi. La scorsa settimana a lanciare la controffensiva su Raqqa,
da nord, sono state le Forze Democratiche Siriane (Sdf), federazione di
gruppi assiri, arabi e turkmeni guidata dai kurdi di Rojava e dalle loro
Unità di Protezione Popolare, Ypg.
La strada è ancora lunga, ma Raqqa è virtualmente circondata. E
se a terra si muovono truppe siriane e combattenti kurdi, dal cielo la
copertura è garantita dall’aviazione russa, nel primo caso, e da quella
statunitense nel secondo. Una cooperazione, quindi, seppur indiretta tra
le due super potenze è in essere. Eppure Washington prosegue
sulla via dell’azione solitaria dopo aver rifiutato la proposta di Mosca
di un coordinamento militare.
Che la pressione sull’Isis stia crescendo è chiaro. In Iraq Baghdad è
sempre più vicino a Fallujah: sebbene l’avanzata sia stata rallentata
per permettere a quanti più civili possibile di mettersi in salvo e le
milizie sciite siano state fatte arretrare in seconda linea per timore
di rappresaglie contro la comunità sunnita, ieri l’esercito iracheno ha
ripreso il ponte meridionale che collega al cuore della città.
Per questo continuano a circolare indiscrezioni riguardo una
presunta lettera inviata dal leader islamista al-Baghdadi ai suoi
comandanti: secondo il presidente del Consiglio Supremo Islamico
iracheno, Ammar al-Hakim, il “califfo” avrebbe ordinato di tenersi
pronti alla ritirata da Siria e Iraq per rifugiarsi in altre roccaforti,
la Libia in primis. Conferma arriverebbe dal partito del
presidente kurdo Barzani: un funzionario del Kdp, Wahid Bazoki, ha detto
di aver visionato una copia della lettera.
Isis o no, in Siria la guerra civile morde ancora. La tregua è
collassata da tempo e i civili muoiono senza sosta. Ieri l’ennesimo
massacro: 29 persone sono state uccise in raid contro Aleppo. Secondo le
opposizioni la responsabilità è del governo siriano e dell’alleato
russo. Da parte sua il governo accusa i gruppi di opposizione di aver
ripetutamente colpito le zone della città sotto il controllo di Damasco
provocando morti e feriti.
Aleppo resta teatro centrale del conflitto siriano: da qui
fuggono ancora migliaia di civili, che si trasformano in nuovi rifugiati
alle porte della Turchia, e qui governo e opposizioni tentano di
guadagnare i punti necessari da sfruttare ad un futuro, seppur lontano,
tavolo del negoziato. Ed è qui che si intensifica il braccio di ferro
tra Usa e Russia: Mosca vuole intensificare i raid contro i
qaedisti di al-Nusra, Washington chiede tempo per poter separare le
opposizioni considerate legittime dal gruppo terrorista.
Al-Nusra ne approfitta ed avanza: altri mille uomini si
sarebbero uniti ai 2mila già presenti, pronti ad una nuova offensiva
nella zona sud della città. L’assalto è cominciato con
attacchi kamikaze contro le postazioni governative. Vi prende parte
anche Ahrar al-Sham, milizia salafita che l’Onu ha accettato al tavolo
di Ginevra. Tra i suoi principali sostenitori c’è la Turchia, la stessa
che approfitta del caos per proseguire nella sua personale guerra al
Pkk: i giorni scorsi sono stati segnati da pesanti bombardamenti contro
il nord dell’Iraq, ma anche contro il sud est della Turchia. Secondo
Ankara almeno 27 combattenti kurdi sono stati uccisi al confine con
Iraq e Iran, a Semdinli, e nella provincia di Diyarbakir.
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