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06/06/2016

Siria/Iraq - Escalation contro l'Isis, migliaia di civili in fuga

di Chiara Cruciati – Il Manifesto

L’escalation militare contro lo Stato Islamico tra Siria e Iraq ha un effetto immediato sul flusso di nuovi rifugiati che scappano dalle città chiave, teatro degli scontri più duri: Raqqa, Aleppo, Fallujah alimentano il dramma dei civili. Allo stesso modo intensificano le pressioni militari sull’Isis.

Tra venerdì e sabato per la prima volta dal 2014 l’esercito del presidente Assad è entrato nella provincia di Raqqa: coperta da pesanti raid russi, Damasco ha varcato il confine della provincia di Hama penetrando in quella simbolo del potere del “califfato”, portandosi a 40 km da Taqba, sede di una base aerea e di una diga sull’Eufrate.

Aumenta la pressione sulla “capitale” dello Stato Islamico, la città siriana che come Mosul in Iraq rappresenta le ambizioni statuali di al-Baghdadi. La scorsa settimana a lanciare la controffensiva su Raqqa, da nord, sono state le Forze Democratiche Siriane (Sdf), federazione di gruppi assiri, arabi e turkmeni guidata dai kurdi di Rojava e dalle loro Unità di Protezione Popolare, Ypg.

La strada è ancora lunga, ma Raqqa è virtualmente circondata. E se a terra si muovono truppe siriane e combattenti kurdi, dal cielo la copertura è garantita dall’aviazione russa, nel primo caso, e da quella statunitense nel secondo. Una cooperazione, quindi, seppur indiretta tra le due super potenze è in essere. Eppure Washington prosegue sulla via dell’azione solitaria dopo aver rifiutato la proposta di Mosca di un coordinamento militare.

Che la pressione sull’Isis stia crescendo è chiaro. In Iraq Baghdad è sempre più vicino a Fallujah: sebbene l’avanzata sia stata rallentata per permettere a quanti più civili possibile di mettersi in salvo e le milizie sciite siano state fatte arretrare in seconda linea per timore di rappresaglie contro la comunità sunnita, ieri l’esercito iracheno ha ripreso il ponte meridionale che collega al cuore della città.

Per questo continuano a circolare indiscrezioni riguardo una presunta lettera inviata dal leader islamista al-Baghdadi ai suoi comandanti: secondo il presidente del Consiglio Supremo Islamico iracheno, Ammar al-Hakim, il “califfo” avrebbe ordinato di tenersi pronti alla ritirata da Siria e Iraq per rifugiarsi in altre roccaforti, la Libia in primis. Conferma arriverebbe dal partito del presidente kurdo Barzani: un funzionario del Kdp, Wahid Bazoki, ha detto di aver visionato una copia della lettera.

Isis o no, in Siria la guerra civile morde ancora. La tregua è collassata da tempo e i civili muoiono senza sosta. Ieri l’ennesimo massacro: 29 persone sono state uccise in raid contro Aleppo. Secondo le opposizioni la responsabilità è del governo siriano e dell’alleato russo. Da parte sua il governo accusa i gruppi di opposizione di aver ripetutamente colpito le zone della città sotto il controllo di Damasco provocando morti e feriti.

Aleppo resta teatro centrale del conflitto siriano: da qui fuggono ancora migliaia di civili, che si trasformano in nuovi rifugiati alle porte della Turchia, e qui governo e opposizioni tentano di guadagnare i punti necessari da sfruttare ad un futuro, seppur lontano, tavolo del negoziato. Ed è qui che si intensifica il braccio di ferro tra Usa e Russia: Mosca vuole intensificare i raid contro i qaedisti di al-Nusra, Washington chiede tempo per poter separare le opposizioni considerate legittime dal gruppo terrorista.

Al-Nusra ne approfitta ed avanza: altri mille uomini si sarebbero uniti ai 2mila già presenti, pronti ad una nuova offensiva nella zona sud della città. L’assalto è cominciato con attacchi kamikaze contro le postazioni governative. Vi prende parte anche Ahrar al-Sham, milizia salafita che l’Onu ha accettato al tavolo di Ginevra. Tra i suoi principali sostenitori c’è la Turchia, la stessa che approfitta del caos per proseguire nella sua personale guerra al Pkk: i giorni scorsi sono stati segnati da pesanti bombardamenti contro il nord dell’Iraq, ma anche contro il sud est della Turchia. Secondo Ankara almeno 27 combattenti kurdi sono stati uccisi al confine con Iraq e Iran, a Semdinli, e nella provincia di Diyarbakir.

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