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06/06/2016

Qualcosa si è rotto, picchiamo lì

Nel caos post-primo turno, alcuni cose diventano chiarissime.

a) Renzi prende molte bastonate sui denti, ovunque;

b) Napoli diventa ufficialmente la prima “città derenzizzata”;

c) il Movimento Cinque Stelle sfonda a Roma e Torino;

d) esistono molte Italie, ma la differenza primaria è tra metropoli e provincia;

e) il sistema di potere allineato lungo la filiera Troika-Unione Europea-Renzi-clientele locali non riesce più a convogliare il consenso di una “maggioranza silenziosa”;

f) vere alternative di sistema per ora non ci sono, o possono trovare progressivamente forma solo a partire da quelle alleanze sociali, per quanto disomogenee e vaghe, che si sono chiaramente coagulate in un voto antigovernativo e antidestra.

Al vertice della banda renziana hanno decisamente ragione ad essere fortemente preoccupati. Si è rotto il presunto incantesimo che doveva elevare Matteo Renzi assolutamente al di sopra della scena politica nazionale. La forza del contafrottole di Rignano sull’Arno sta tutta nel monopolio dei media mainstream (la coalizione dei loro proprietari), schierati a suo sostegno dalla filiera di comando multinazionale. Ma non ha più presa efficace su una coalizione sociale interclassista, com’era stato solo due anni fa, in grado di sostenere credibilmente un rovesciamento costituente e reazionario condensato nelle “riforme” di questo governo.

Il contenimento dei danni non è riuscito. Il “patto del Nazareno 2.0”, a Roma, riuscirà a portare Giachetti al ballottaggio, ma il distacco dalla pentastellata Raggi è abissale. Berlusconi ha smontato consapevolmente il vecchio centrodestra, convogliando le sue clientele sul candidato Pd molto più che sul “palazzinaro di bella presenza” che ufficialmente sosteneva. L’obiettivo sembrava già da mesi chiarissimo: concentrare le forze malate del vecchio potere capitolino per provare a stoppare, al ballottaggio, l’ascesa della “forza antisistema”, pur priva di qualsiasi progetto che vada oltre il minimo sindacale dell’”onestà”, dopo l’abisso svelato da mafia capitale (curioso come, sui media di regime, l’espressione sia scomparsa a favore di una colpevolizzazione del solo Ignazio Marino).

Un disegno razionale, perché è certamente più facile dirottare sul candidato renziano i voti delle clientele di destra che non portare su una fascista come Meloni parti consistenti del residuo voto d’opinione che si considera “progressista” e moderato. Ma è un disegno paradossalmente indebolito proprio dalle politiche di taglio della spesa pubblica (lungo la filiera che si articola dalla Ue fino alle città), che riducono ai minimi termini i margini di bilancio con cui nutrire proprio le clientele, le “cooperative” e gli interessi da subappalto.

Napoli esibisce una coalizione sociale vera, opposta e vincente. Una vera e propria speranza di disarticolazione generale del sistema dominante, sul piano politico e sociale, perché riesce a precisare sempre meglio i contorni di una rivolta dal basso, dalle periferie metropolitane. Anche qui si dimostra come, interrotte le linee di finanziamento che nutrivano clientele e servilismi, diventa impossibile mantenere una consenso elettorale per quanto drogato – tuttora – da voti comprati (a basso prezzo), da minacce e veri e propri brogli, dal voto di scambio.

Torino e Bologna misurano la crisi del sistema di potere in due roccaforti che avrebbero dovuto garantire un rapido disbrigo della pratica elettorale.

L’eccezione italiana è dunque Milano, vera capitale del blocco dominante, con due competitor fotocopia e la sostanziale debolezza dei movimenti sociali (che spiega la debolezza locale delle proposte politiche “antisistema”, e non viceversa).

C’è comunque da tenere nel dovuto conto che le metropoli mostrano una dinamica sociale e politica in rapidissimo movimento, mentre i piccoli centri di provincia – che hanno certamente un peso sul piano nazionale, come massa di voti giostrabili nel referendum di ottobre – vivono logiche assai diverse, frutto di una struttura sociale meno polarizzata sul piano reddituale.

Ma il dato centrale è politico: qualcosa si è rotto nel rapporto tra potere e “popolo”. La presa che sembrava ferrea sull’immaginario e sulla rappresentanza politica si va sfaldando. E la velocità cresce col passare dei mesi. Il vecchio – non è affatto paradossale, Renzi rappresenta proprio questo, nonostante le chiacchiere – sta morendo, ma il nuovo ancora non è nato. Anche se Napoli fa sperare.

Attenzione, però. Nella Storia non si danno “vuoti di potere” che durino a lungo, specie se non ci sono poteri alternativi in grado di sostituire quello declinante. L’antagonismo può giocare la partita solo se smette di pensare nelle dimensioni del cortile e accetta di battersi nella società, in campo aperto, nelle condizioni date e non in quelle che ci piacerebbero. E proprio da Napoli, vogliamo ancora rammentarlo, arriva la lezione del migliore antagonismo oggi esistente. Quello che è in grado di innervare e organizzare settori sociali (non solo “soggettività antagoniste”), di presidiare spazi fisici e politici, di selezionare nuovi protagonisti della politica e di sorvegliare la regolarità del voto, sfruculiando poteri che oggi appaiono assai meno forti di prima.

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