Le forze governative siriane sono entrate nella provincia di Raqqa, dove si trova l’omonima capitale de facto dello Stato islamico e dove l’esercito di Damasco non metteva piede dal 2014.
Secondo varie fonti i soldati siriani sono entrati dalle province confinanti di Hama e Aleppo, convergendo su una grande arteria stradale che porta a Raqqa. Il loro primo obiettivo è Taqba, una delle roccaforti dei jihadisti dello Stato islamico, particolarmente strategica perchè lì si trova una grande diga sul fiume Eufrate.
Ieri il governo di Damasco ha fatto sapere di aver deciso di lanciare un’operazione con la capitale dell’Isis nel mirino, mentre l’alleanza delle Forze democratiche siriane (Sdf, composta in gran parte dalle milizie curde del Pyd ma anche da gruppi arabi e assiri), sostenuta dagli Usa, avanza da Nord dal 25 maggio.
Queste due offensive potrebbero apparire in netta competizione, ma secondo vari analisti esercito e raid russi da una parte e forze a guida curda dall’altra sembrano piuttosto procedere secondo una logica di non dichiarato coordinamento tra Mosca e Washington. Allo stesso tempo, come sottolineato da alcuni media regionali molto vicini a Damasco – ieri il giornale libanese “Al Akhbar” – la “corsa verso Raqqa” degli uomini di Assad aiutati dai russi appare un tentativo di arrivare alla capitale dell’Isis prima che questa cada in mano alla coalizione appoggiata dagli Usa. Secondo le fonti del quotidiano, “da giorni le truppe dell’esercito siriano e delle forze alleate (Hezbollah libanesi e milizie sciite iraniane) si sono ammassate nella zona di Atharia, nella provincia di Hama, in attesa dell’ora x per la battaglia di Raqqa”. Ora x scattata l’altro ieri con un attacco “a sorpresa” sostenuto dal cielo dai caccia russi.
Il quotidiano libanese spiega che l’offensiva su Raqqa doveva partire lo scorso febbraio, ma venne rinviata da Damasco a causa del no di Mosca che aveva raggiunto un’intesa con Washington per un cessate-il-fuoco. Il cambio di posizione del Cremlino sarebbe dovuto al fatto che gli statunitensi, rifiutando in parte un coordinamento con Mosca, hanno poi dato luce verde alle Forze Democratiche Siriane per il lancio dell’offensiva sulla capitale del califfato da Nord, affiancate da 250 membri delle Forze Speciali del Pentagono.
La tv satellitare al Jazeera ha informato nei giorni scorsi che anche il presidente russo Vladimir Putin potrebbe decidere, a sua volta, di inviare forze speciali in Siria anche se fino ad ora ha sempre negato l’opportunità di inviare nel paese truppe di terra. Interpellato dall’emittente qatariota, l’analista Andrei Fyodorov, ex viceministro degli Esteri russo, ha sottolineato che Mosca potrebbe adottare tale iniziativa per assicurarsi una “vittoria decisiva”.
I due scenari – competizione e collaborazione – non sono però inconciliabili. Ieri mattina si sono verificati violenti scontri tra miliziani del Califfato e le truppe governative sostenute “dai raid dell’aviazione russa e da unità siriane addestrate da Mosca”, almeno stando alle informazioni fornite dal cosiddetto Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, basato a Londra e vicino ai ribelli antigovernativi.
Proprio ieri Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha discusso di Siria nel corso di un colloquio telefonico con il segretario di stato Usa John Kerry. La “principale priorità” per Mosca, ha detto Lavrov questa settimana in un’intervista, sono “misure più dirette, efficaci e forti” contro lo Stato Islamico e il Fronte al Nusra, quest’ultima invece difesa come possibile alternativa a Daesh da alcune potenze sunnite e occidentali in quanto considerata, a torto, più moderata (anche se è affiliata ad al Qaeda).
Il primo obiettivo dell’esercito siriano pare dunque Taqba. All’aspetto strategico della diga, per il governo si aggiunge un valore simbolico: la diga di Tabqa dà vita al Lago Assad, intitolato ad Hafez al Assad, il padre di Bashar. Costruita nel 1973, è cruciale per la fornitura di energia elettrica alla Siria e per l’irrigazione. Nei pressi di Taqba si trova poi una prigione in mano all’Isis e un aeroporto militare: quando gli uomini di Al Baghdadi presero lo scalo, “celebrarono” con l’esecuzione di 160 soldati.
In tarda mattinata le truppe siriane erano a 40 chilometri da questa città. Nella provincia di Raqqa, i jihadisti controllano quasi tutti i centri abitati di rilievo, eccetto Tall Abyad e Ain Issa, dove sono stati cacciati dalle Forze democratiche siriane.
Da parte sua la Turchia continua a minacciare una invasione del territorio siriano da parte delle sue truppe, da tempo schierate a migliaia sulla linea di frontiera e già presenti, seppure in quantità esigua e non ufficialmente, all’interno della Siria. Ankara potrebbe decidere di avviare “un’operazione di terra” in Siria per scongiurare la formazione di “un’entità curda” è tornato ad affermare l’altro ieri al quotidiano panarabo Asharq al-Awsat una fonte del regime turco, riferendo della preoccupazione di Ankara per il rafforzamento delle posizioni dei curdo-siriani nella regione di Aleppo.
“La Turchia potrebbe adottare procedure per scongiurare la formazione di qualsiasi entità separata nel Nord della Siria che possa dividerla dai propri fratelli siriani” ha affermato la fonte, esplicitando così le forti tensioni nei rapporti tra Ankara e Washington. A fronte del sostegno degli Stati Uniti alle Forze Democratiche Siriane, egemonizzate dalle Unità di Protezione Popolare curde, Ankara ha riproposto la possibilità che la Turchia opti per “un’operazione di terra” con la scusa di proteggere gli arabi siriani e le popolazioni turcomanne, strumentalizzate dal regime di Erdogan per sostenere i propri interessi nell’area.
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