di Roberto Prinzi
Chi aveva dubbi sulla
serietà dell’Onu come istituzione internazionale giusta e imparziale
oggi dovrà necessariamente ricredersi. A distanza di 5 giorni dal
rapporto delle Nazioni Unite che inseriva la coalizione araba a guida
saudita in una black list per aver violato i diritti dei bambini nella
guerra in corso nello Yemen, il Palazzo di Vetro fa un clamoroso
dietrofront e rimuove il nome del blocco sunnita dalla lista nera.
Come vi abbiamo raccontato qualche giorno fa, un
rapporto dell’Onu pubblicato giovedì aveva denunciato l’alleanza
anti-houthi per aver causato il 60% delle morti e dei feriti tra i
bambini dello Yemen (510 vittime sulle 785 totali). “La
situazione dello Yemen è particolarmente preoccupante ed è elevato il
numero di violazioni attribuibili ad entrambe le parti: gli houthi e la
coalizione a guida saudita sono responsabili delle uccisioni e di
attacchi contro bambini e ospedali” aveva denunciato in modo categorico e
inequivocabile il rapporto. Il Segretario generale delle Nazioni Unite,
Ban Ki-Moon, si era detto “preoccupato” per le condizioni umanitarie
del Paese sottolineando come rispetto al 2014 “il numero dei bambini
uccisi e mutilati è cresciuto di sei volte nel 2015 [anno in cui è
scoppiata la guerra, ndr]”.
Nulla di nuovo, del resto: da tempo l’Onu attraverso le sue
agenzie (Unicef, Ocha) prova a mandare segnali di allarme alla comunità
internazionale circa la situazione devastante in cui versa il Paese.
Un’impresa che, per quanto meritoria, si è rivelata assai inutile visto
e considerando i tanti sbadigli che, nel migliore dei casi,
accompagnano il nome Yemen in sede internazionale. Da 15 mesi, infatti,
non bastano le morti dei civili, né il fatto che la quasi totalità della
popolazione sia malnutrita, né gli oltre 2 milioni di rifugiati che
scappano dalle violenze, né perfino i danni allo straordinario
patrimonio artistico yemenita per scuotere occidentali e statunitensi e
obbligarli a porre fine alla mattanza in corso nello Yemen soprattutto
(ma non solo, sia chiaro) a opera del blocco sunnita (ovvero i nostri
alleati).
Nonostante dunque l’Onu non scoprisse nulla di così
imperscrutabile, il suo documento aveva destato qualche stupore perché
aveva posto sul banco degli imputati gli intoccabili paesi “moderati”
arabi, in particolar modo l’Arabia Saudita a cui ogni violazione è
consentita. Una notizia imperdibile, stupefacente, da ricordare
e da custodire gelosamente come si fa con le cose preziose: qualcuno
aveva finalmente deciso di criticare il suo operato, soprattutto in
Yemen dove da 15 mesi le viene data luce verde per fare quello che
vuole. Per carità, si legga bene, nessuno si era illuso che lo studio
potesse avere conseguenze pratiche. Tuttavia, vedere tra i “cattivi” il
nome dei regimi “moderati” era stato un momento imperdibile.
Ma le gioie, si sa, sono spesso effimere: e così – solo dopo cinque
giorni – l’Onu fa marcia indietro e cancella i loro nomi dalla blacklist
promettendo però un “controllo congiunto con la coalizione” (giusto per
restare imparziali) sui casi elencati nel rapporto. Del resto errare è
umano, ma perseverare è diabolico. E quando si parla della
religiosissima Arabia Saudita è meglio essere il più lontani possibili
da Satana. Ban si è pure premurato di consigliare a Riyad di mandare “al
più presto possibile” a New York un team saudita per compiere
“discussioni dettagliate” prima che il report venga esaminato ad agosto
dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ma di fronte a tanta gentilezza, la
risposta dei sauditi, per bocca del rappresentante del regno alle
Nazioni Unite Abdullah al-Muallimi, è stata di tutt’altro tono: “la
decisione della rimozione dalla blacklist è irreversibile e
incondizionata”. “Noi siamo stati inseriti per errore sulla lista per
cui sappiamo che questa cancellazione è definitiva”.
Come mai l’Onu ha rivisto la sua decisione? I suoi
ricercatori sul campo non sono tanto preparati e hanno preso qualche
cantonata? Tutto è possibile visto quanto abbiamo potuto apprendere tre
mesi fa quando ufficiali del Dipartimento di stato Usa hanno ammesso
pubblicamente che i volontari della hotline che avrebbero dovuto
registrare gli attacchi sulla Siria non sapevano parlare arabo.
Tuttavia, il caso volle, che l’improvviso “cambiamento” giunga dopo
appena un giorno di proteste da parte di una indignata Arabia Saudita
(come non darle torto visto i soldi che ci fa fare) di essere inserita
tra i cattivi. A Riyad proprio non è andato giù quel “60%” di morti tra i
fanciulli che l’Onu attribuiva a sua Maestà Salman e company.
“Numeri estremamente esagerati” li ha definiti uno
stizzito al-Muallimi. “Se ci sono vittime causate dalla coalizione, sono
molto, molto più basse” ha giurato. Perché? “Perché [stiamo usando] gli
strumenti [militari] più avanzati per colpire gli obiettivi”. Sono
bastate poche parole e apriti cielo: l’Onu si è accorta che il calcolo
di morti attribuiti al blocco sunnita va rivisto. Quelli degli
houthi, amici degli iraniani, invece va bene. Loro continuano a
primeggiare nella classifica del reclutamento in guerra dei bambini e
sono gli unici ad assediare le aree del Paese. Su di loro i ricercatori
hanno fatto un lavoro impeccabile.
Di fronte a tanta rettezza morale delle Nazioni Unite che
verifica i propri (eventuali) errori per offrire notizie quanto più
precise a noi cittadini stonano davvero le proteste di Human Rights
Watch che ha addirittura (con quale insolenza?) detto che l’ufficio
dell’Onu “ha toccato un nuovo punto basso [del suo operato]”
denunciandone “la manipolazione politica”. “Dopo aver dato una
simile concessione a Israele lo scorso anno, il Segretario generale
dell’Onu è capitolato di fronte alle sfacciate pressioni dell’Arabia
Saudita rimuovendola dalla lista della vergogna” ha detto indignato
Philippe Boloppion, il vice direttore del gruppo negli Stati Uniti. Come
osa Boloppion attaccare Israele e Arabia Saudita? Per di più
contemporaneamente? Chi è dopo tutto costui di fronte a sua Eccellenza
Salman?
Fonte
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