Ieri, la guerra contro i poveri inaugurata dal governo PD col decreto
Minniti, ha fatto la sua prima vittima. Nian Maguette, un lavoratore
ambulante senegalese di 54 anni, è morto mentre veniva inseguito dagli
agenti in borghese dell’”Unità Operativa Sicurezza Pubblica ed
Emergenziale”, una squadraccia messa in piedi dall’attuale
vicecomandante dei Vigili Urbani, Antonio Di Maggio, e che da alcuni
mesi viene impiegata per fare il “lavoro sporco” in città.
Sfratti, sgomberi, caccia all’ambulante... a Roma chiunque vive nel
“mondo di sotto” sa bene come lavora questo “corpo d’elite” della
municipale composto da mancati poliziotti frustrati. Non fatichiamo
quindi a credere ai racconti degli altri lavoratori sugli inseguimenti
per le vie di Trastevere. Sono scene abituali, così come i pestaggi o le
minacce o le “scoattate” davanti ai picchetti antisfratto. Dunque,
mentre i media già provano a ridimensionare tutto, a parlare di “tragica
fatalità”, una cosa deve essere chiara: che Nian sia morto perché
investito da una moto guidata dagli agenti in borghese, come raccontano
alcuni ambulanti, o perché colpito da un infarto, come invece sostiene
la Questura, cambierà forse l’aspetto penale della vicenda, ma non certo
quello politico e sociale. Senza la retata per il decoro urbano, senza
la caccia all’uomo delle squadracce di Di Maggio, Nian sarebbe ancora
vivo e potrebbe tornare a casa dalle sue due figlie. Crediamo sia
arrivato il momento per una campagna cittadina unitaria che chieda alla
Sindaca Raggia la rimozione di Di Maggio e lo scioglimento del GSSU e
dello SPE. I vigili devono tornare ad occuparsi di multe, traffico e
viabilità e smettere di giocare a fare i pistoleri.
Il filo insanguinato delle responsabilità va però srotolato fino in
fondo e seguendolo si arriva dritti nelle stanze dell’attuale governo a
guida PD. L’operazione messa in campo ieri mattina per le vie del centro
fa il paio con il rastrellamento su base razziale messo in piedi a
Milano il giorno prima, ed è figlia dei due decreti Minniti-Orlando
(recentemente convertiti in legge) e della filosofia classista e
razzista che li ispira. Una vera e propria “legge contro i poveri”,
degna dell’Inghilterra vittoriana, che individua nella marginalità e
nell’esclusione sociale, e non nelle sue cause strutturali, un elemento
deturpatore del decoro e della quiete pubblica, assegnando ai sindaci
poteri d’intervento straordinari per contrastarla. Nel tentativo di
aggirare per via amministrativa i vincoli imposti dal diritto penale,
considerato evidentemente troppo “garantista”.
Vale la pena ricordare a chi vorrà ripulirsi la coscienza con qualche
frase di cordoglio che ad entrambe i provvedimenti il Governo Gentiloni
ha assegnato la massima priorità invocando per essi il “carattere
d’urgenza”, assolutamente ingiustificato stando alle statistiche sui
reati, e ponendo la fiducia. Di fatto blindando l’iter legislativo ed
esautorando il Parlamento da ogni possibilità di discuterli ed
emendarli. Così come vale la pena di sottolineare che in tema di
sicurezza urbana la legge Minniti si è posta in assoluta continuità con
il decreto Maroni (il leghista Maroni!) del 2008 estendendone i
dispositivi di controllo e repressione sociale. Nello specifico sempre
grazie al PD è stata introdotta una sanzione amministrativa pecuniaria
da 100 a 300 euro per chi “pone in essere condotte che limitano la
libera accessibilità e fruizione delle infrastrutture ferroviarie,
aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed
extraurbano, in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione
di spazi ivi previsti” ovvero per gli ambulanti, per chi è
colpevole di essere senza fissa dimora, di dormire per strada o di
essere costretto a mendicare per sopravvivere. E “al trasgressore è fatto ordine di allontanamento dal luogo in cui è stato commesso il fatto” per 48 ore (mini Daspo). Il sindaco, a tutela della città vetrina, potrà d’ora in poi individuare “aree
urbane su cui insistono musei, aree e parchi archeologici, complessi
monumentali o altri istituti e luoghi della cultura interessati da
consistenti flussi turistici, ovvero adibite a verde pubblico, alle
quali si applicano le disposizioni precedenti”. La trasgressione
dell’ordine di allontanamento comporterà il raddoppio della pena
pecuniaria e la segnalazione ai servizi socio-sanitari. In caso di
reiterazione, il questore, potrà disporre, con provvedimento motivato e
per un periodo che va dai 6 mesi ai 2 anni, il divieto di accesso ad una
o più delle aree di cui sopra (Daspo Urbano). Sul piano della
repressione delle lotte sociali sono poi state estese alla “piazza”
misure securitarie che in queste anni avevano visto la loro
sperimentazione nelle curve e negli stadi. Tra gli emendamenti al testo
approvati c’è infatti quello che prevede la possibilità dell’arresto in
flagranza differita (48 ore) “se il reato con violenze alla persone o
alle cose avvenga durante o in occasione di manifestazioni pubbliche e
sia ripreso da telecamere e in immagini fotografiche”.
Contestualmente vengono messe fuori dai vincoli dal patto di stabilità
le spese sostenute per la videosorveglianza. Ai comuni viene dunque
permesso di spendere 7 milioni in telecamere nel 2017, 15 nel 2018 e
altrettanti nel 2019, mentre per assumere lavoratori e internalizzare i
servizi ovviamente i soldi non ci sono mai. Si va così sempre più
imponendo un’idea di città duale, classista e razzista. Da una parte la
“citta-vetrina”, quella interessata dalla rendita, dai flussi finanziari
e abitata dai ceti abbienti, a cui dev’essere assicurata la sicurezza e
il decoro anche a costo di ammazzare qualche miserabile, dall’altra una
“città-discarica” in cui riversare le contraddizioni sociali, una città
sempre più abbandonata a se stessa e in cui lo Stato entra
esclusivamente per reprimere e mantenere l’ordine pubblico. Non stiamo
dicendo che sia già così, ma ci pare evidente che sia questo l’orizzonte
a cui guardano le classi dominanti con la crisi irreversibile del
welfare-state.
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