Se qualcuno ancora non ha capito la differenza tra il referendum per l’indipendenza in Catalogna e quello per l’autarchia fiscale nel Lombardo-Veneto, ora può cominciare a ragionare su fatti concreti anziché sulle parole al vento.
Ci dice stamattina l’Ansa:
Il Consiglio regionale del Veneto ha approvato con 32 voti favorevoli e 9 contrari un progetto di legge statale che mira a modificare il Codice penale e ad introdurre il delitto di “terrorismo tramite piazza”. Un reato, ha spiegato il relatore, Marino Finozzi (Lega), volto a punire chiunque, nel corso di manifestazioni in luogo pubblico, causi lesioni personali ad un pubblico ufficiale in servizio di ordine e sicurezza pubblica, anche con il lancio di oggetti pericolosi o atti ad offendere, mentre questi impedisce che venga messo in pericolo l’ordine pubblico, la sicurezza dei cittadini o la commissione di reati. Atti violenti che, con l’introduzione di questa nuova fattispecie di reato, non verrebbero più trattati come meri problemi di ordine pubblico. Con la proposta approvata dal Consiglio veneto verrebbe introdotto anche l’arresto ‘differito’, entro le 48 ore, per chi venisse inequivocabilmente individuato come l’autore di atti violenti.
Nella discussione pseudo-politica italiana, da oltre 40 anni, l’abisso logico e giuridico che separa “terrorismo” e “opposizione politica” è andato progressivamente assottigliandosi. In buona parte, in alcuni momenti storici di conflitto molto aspro, avevano compiuto la stessa operazione gente come Cossiga, Pecchioli, Caselli... Lo facevano dentro una logica di “emergenza”, che fingeva di essere momentanea ma andava a modificare strutturalmente – dunque sul lungo periodo – l’impianto giuridico che regolava il conflitto sociale e politico, in senso profondamente autoritario.
La situazione è drasticamente e definitivamente peggiorata grazie a un ceto politico degradato a bar sport dopo “la discesa in campo della società civile”. Una società così incivile da ignorare i fondamenti costituzionali, istituzionali, giuridici della Repubblica, nonché il “patto sociale” alla base della Costituzione.
In realtà questa “discesa in campo” è stata socialmente unilaterale. Non abbiamo visto molti operai, disoccupati, precari, semplici pensionati entrare nel Parlamento o nelle assemblee elettive degli enti locali. C’è stato un profluvio di imprenditori, avvocati, professionisti impegnati nelle opere in subappalto, bottegai, ecc. E’ insomma scesa in campo quella media borghesia che sentiva tremare le fondamenta sistemiche del proprio benessere e provava a gestire fettine di potere politico residuo (le grandi scelte di bilancio sono da tempo sotto il controllo dell’Unione Europea e dei “mercati”) nel tentativo di mantenere o incrementare le proprie entrate individuali. I “cambi di casacca” sono figlie di questa individualizzazione senza progetti, di questa disperazione che pretende la sopravvivenza a scapito degli altri.
L’autoritarismo nazista evidente nella proposta del consiglio regionale veneto è figlio dell’assoluta debolezza di questo “potere politico” locale. Che dunque teme qualsiasi contestazione perché sa di non avere strumenti – di bilancio e intellettuali – per affrontarli, gestirli, addomesticarli.
Ci si potrebbe chiedere in base a quali “eventi eclatanti” i consiglieri venti abbiano ritenuto urgente impegnarsi in una pensata così profonda. Non risultano infatti, da quelle parti, scontri di piazza di una qualche rilevanza almeno da 40 anni a questa parte. Anzi, a ben vedere non ne risultano in alcuna parte d’Italia, visto che il massimo che le cronache riescono offrire da molti anni non va oltre “qualche raro bancomat danneggiato o in sassaiole da distanze siderali; oppure ancora in un paio di file di ragazzi che camminano verso la polizia fino a essere travolti dalle manganellate (e dalle denunce, che spesso sconsigliano un ulteriore impegno politico)”.
Un contesto concreto in cui parlare di “terrorismo di piazza” non potrebbe venire in mente neppure al più ottuso dei pagliacci...
Come sempre, però, una pagliacciata rivela un clima. La proposta è troppo rozza, giuridicamente, per andare avanti in quella forma. Ma in quanto sintomo ed “esigenza” di un potere impotente troverà certamente orecchie attente a livello nazionale ed europeo.
I due “decreti Minniti”, in fondo, si trovano già su questa strada. La reazione di Rajoy e del monarca fantoccio di Spagna, idem. Il consiglio regionale veneto, insomma, ragiona come quei due, non certo come la Generalitat o il popolo catalano. E’ l’esatto opposto.
Il sostegno pieno dell’Unione Europea, a Minniti e Rajoy, sta lì a dimostrare che questa “cultura dell’assenza di mediazioni” sgorga dal cuore di una classe dominante europea criminale, spaventata da dieci anni di crisi senza soluzione e che sente montare rotture sistemiche senza mai poterle prevedere.
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