Il ping pong che si è svolto la scorsa settimana sulle pagine del Corriere Della Sera
fra il sindaco di Milano Giuseppe Sala e l’ineffabile duo Alesina -
Giavazzi, in merito al dilemma se il capoluogo lombardo debba rallentare
o accelerare, è stato, al tempo stesso, surreale (il sommo Totò non
avrebbe saputo inventare paradossi più spassosi di quelli sciorinati dai
due comici bocconiani) e significativo del mefitico clima culturale che
stiamo vivendo in questa fase storica.
Sala – personaggio certamente non sospetto di velleità antisistema –
ha aperto le danze denunciando un dato di fatto evidente: Milano è una
città soffocata (in senso letterale e non metaforico) da livelli di
traffico e inquinamento al limite dell’invivibilità. Di conseguenza ha
sommessamente – non è nemmeno personaggio che ama i toni arroganti e
perentori – consigliato i suoi concittadini a darsi una calmata, rallentando i
propri ritmi di lavoro e di vita (scanditi, avrebbe potuto aggiungere,
ove fosse stato di animo più radicale, da un infoiata voglia di
arricchimento e da un anfetaminica brama di consumi e godimenti).
Non si fosse mai permesso! I dioscuri del libero (anzi liberissimo)
mercato gli sono balzati alla gola accusandolo di oscurantismo
antimoderno. Vogliamo forse invitare i milanesi a lavorare e correre
meno? Vogliamo fargli perdere la medaglia di unica città davvero
internazionale? (sesquipedale corbelleria: 1) perché associa la internazionalità di Milano ai peggiori difetti di altre
metropoli europee che viceversa sono assai più vivibili; vedere Berlino,
Monaco e Barcellona, per fare solo tre esempi); 2) perché in Italia
esistono città, come Roma e Napoli, altrettanto se non più
internazionali – anche se in ragione di caratteristiche diverse – di
Milano). Sala vuole forse far rallentare la crescita di Milano e quindi
dell’Italia tutta (sempre a proposito di Totò: mi figuro Alesina e
Giavazzi che ripetono estasiati crescita e aggiungono che bella
parola).
A Milano si crepa di smog e frenesia? Si migliorino i servizi per
farla correre di più e meglio, invece di rallentare. E qui scatta
l’elemento surreale di cui sopra: con quali soldi, visto che i nostri
sono fra i primi assertori di draconiani tagli alla spesa pubblica?
Qualcuno gli ha spiegato che le risorse delle amministrazioni locali
languono a causa dell’austerità imposta dalle politiche della Ue? Ma
affidando il compito ai privati, che diamine! E qui arriva il solito
peana a Uber, paradigma di un’economia low cost che garantisce servizi a
basso costo supersfruttando i dipendenti e riducendo la sicurezza dei
consumatori (finché non collassa: vedi il caso Ryanair).
La controreplica – benché io non condivida le idee politiche del
sindaco meneghino – devo ammettere che ha il merito di centrare un punto
cruciale: Sala non rinfaccia all’ineffabile duo l’adorazione per la
crescita (né potrebbe farlo, visto che ne condivide sostanzialmente la
fede), ma fa cortesemente notare che si tratta di una visione
novecentesca di tale fede, la visione di una modernità fatta di fumi,
fabbriche e ciminiere e di folle anonime che marciano a passo di carica
come nel film di Fritz Lang Metropolis. Insomma Milano
come la inquinatissima Pechino (che vive oggi la fase di accumulazione
primitiva che l’Occidente ha attraversato quasi due secoli fa). Giusto,
anche se chi scrive non ama nemmeno la frenesia virtuale ed ecologicamente sostenibile delle metropoli postmoderne e
ritiene che ci serva un rallentamento ben più radicale di quello
auspicato da Sala, tanto radicale da farci fuoruscire dal capitalismo,
con buona pace del futurismo totoista di Giavazzi e Alesina.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento