Con la Conferenza dei Servizi di martedì è giunta l’approvazione definitiva allo stadio della Roma.
In un rarissimo episodio di coesione istituzionale, Movimento 5 Stelle e
Partito Democratico hanno messo da parte polemiche politiche ed
elettorali per dare a quest’opera il via libera finale, salutato dal
plauso pressoché totale dei media e dal giubilo irrefrenabile della
tifoseria giallorossa.
In questo modo si chiude una vicenda dalla lunghissima gestazione.
Primo proponente di uno stadio di proprietà dell’ASRoma fu infatti Dino
Viola, indimenticato Presidente della Roma scudettata 1982-83, ma anche
imprenditore degli armamenti e senatore della Democrazia Cristiana fra
il 1983 e il 1987. Ne parlò nel 1985, ma non se ne fece nulla. Arriviamo
così al settembre 2014, quando l’attuale Presidente James Pallotta e il
Sindaco Marino raggiungono un accordo definitivo per realizzare il
nuovo stadio presso l’ex ippodromo di Tor di Valle. La scelta dell’area
non è un caso: essa appartiene a Luca Parnasi, ultimo erede di una delle
più importanti famiglie di costruttori romani, partner di Pallotta nel
progetto stadio nonché esposto per oltre 450 milioni di euro verso
Unicredit – va da sé che l’istituto bancario è uno dei più grandi
sponsor dell’operazione.
Il progetto viene gestito
dall’assessore all’urbanistica Giovanni Caudo, che autorizza da un parte
il cambio di destinazione d’uso dell'area (da parco attrezzato a luogo
in cui sorgeranno, insieme allo stadio, centri commerciali e uffici) e
un fortissimo incremento delle cubature; dall’altra, però, vincola
Pallotta e soci al finanziamento di opere pubbliche per oltre 200
milioni di euro (circa il 30% dell’investimento totale) da realizzare
prima dell’apertura dello stadio. Da questo punto di vista, questa
operazione rappresenta un enorme passo avanti rispetto gli ultimi 30
anni di urbanistica romana, in cui i privati si accordavano in maniera
informale con il Comune per limitare le opere pubbliche da finanziare a
meno del 10% dell’importo totale dell’opera, da realizzare solo
successivamente al completamento degli edifici privati. Certo, anche in
questo caso la giunta Marino è rimasta fedele alla sua
impostazione legalista e liberale, non rinunciando a delegare al privato
l’iniziativa urbana e lasciando nelle sue mani la gestione e i profitti
del bene pubblico. Nonostante ciò, il Movimento 5 Stelle è riuscito nell’ardua impresa di farcela rimpiangere!
Quando nel 2016 arriva in Campidoglio, il Movimento 5 Stelle promette discontinuità e cambiamento. E all’inizio un cambiamento sembra esserci davvero, con il neo-assessore all’urbanistica Paolo Berdini che denuncia l’operazione stadio come un’enorme speculazione edilizia, utile solo agli interessi del capitalismo finanziario e immobiliare. Ma
come sappiamo dopo pochi mesi Berdini viene allontanato dalla Giunta, e
lo stadio viene rilanciato in pompa magna dalla Sindaca, che
nel febbraio 2017 presenta il nuovo progetto, in cui a furor di popolo
sono stati eliminati i tre edifici più alti. In questo modo la
Raggi riesce a tagliare le cubature del 40% circa, ma insieme a queste
riduce anche le infrastrutture che il privato si era impegnato a
realizzare di oltre il 70%.
Ovviamente l’ASRoma non
poteva che gioire di questo cambiamento, che la alleggeriva di oneri di
costruzione per oltre cento milioni di euro; ma questa modifica
non costituisce solo un gigantesco favore all’ASRoma, ma anche un
drammatico problema per l’urbanistica cittadina: infatti, anche
un bambino capisce che riducendo le cubature destinate ad uffici, non
si riducono le infrastrutture di cui ha bisogno uno stadio moderno.
Esattamente come nella prima versione del progetto, più di 50.000 tifosi
si riverseranno tutti insieme e nell’arco di poche ore nell’area di Tor
Valle; ma mentre nel primo caso Pallotta era obbligato a costruire, fra
le altre cose, il prolungamento della Metro B, lo svincolo
dell’autostrada Roma-Fiumicino e l’unificazione della vie del
Mare-Ostiense, nel progetto del M5S il suo contributo è limitato a una
mancetta di circa 50 milioni di euro, da spendere in nuovi treni per la
Roma-Lido e poco altro.
Di fronte a una visione così miope, in
cui a vincere sono solo Pallotta, Parnasi e Unicredit, inizialmente il
gruppo PD regionale, capeggiato da Nicola Zingaretti, aveva bloccato il
progetto M5S per l’evidente carenza di infrastrutture; per una volta,
sembrava che il PD potesse schierarsi dalla parte della cittadinanza,
non tanto per credo politico quanto almeno per convenienza elettorale. Ma purtroppo i nostri eroi proprio non ce l’hanno fatta a dire no al grande capitale del nostro paese;
anzi è stato proprio il Ministro dello Sport Luca Lotti, renziano della
prima ora, a sbloccare la situazione, impegnandosi a finanziare insieme
al Ministro dei Trasporti Graziano Del Rio con circa 100 milioni di
euro di soldi pubblici il secondo ponte previsto nel progetto della
Roma, alla cui creazione il PD regionale aveva vincolato il proprio
assenso. E così, senza nuove linee metro ma con due nuovi ponti
entrambi a carico dell’erario statale, si conclude una vicenda
istituzionale in cui vediamo ancora una volta come anche in Italia,
quando c’è una precisa volontà politica, esista la possibilità di
sfondare il vincolo del debito e finanziare opere strategiche; peccato
che questo processo sia sempre a vantaggio di poche aziende, e mai di
chi ne ha veramente bisogno.
Oggi tutti festeggiano, il
capitalismo, la politica, l’informazione ma anche la
maggioranza dei tifosi della Roma, convinti che il nuovo stadio
spalancherà loro le porte del successo sull’onda del tanto decantato
modello inglese. Ma in cosa consiste questo modello inglese? Se lo
stadio di proprietà è diventato l’unico strumento possibile per
mantenere in attivo i bilanci di una società sportiva e garantirne la
competitività internazionale, bisognerebbe allora farsi una domanda:
come si produrranno, concretamente, questi nuovi introiti? Basta
guardare l’Inghilterra per scoprire la risposta: a pagare saranno i tifosi stessi, quelli che vivono il calcio come uno sport popolare, con passione e attaccamento.
Quest’anno chi vuol vedere una partita del Chelsea o dell’Arsenal, paga
per biglietti “economici” circa 100 €: quanti dei giallorossi che oggi
celebrano il nuovo stadio se lo potrebbero permettere? Dietro il
modello inglese c’è quindi un preciso progetto di sostituzione sociale,
che mira a fare degli stadi dei luoghi di divertimento a cui solo la
classe medio-alta può permettersi l’accesso. Sciaguratamente i tifosi
della Roma, i più grandi promotori di quest’opera, sono anche le prime
vittime di questo raggiro.
Forse l’aspetto più
inquietante di tutta questa storia è l’ennesima dimostrazione che oggi
in Italia il modello economico, sociale, ambientale e sportivo sia
sempre lo stesso, un modello per cui imprenditori, costruttori e banche
fanno profitti milionari pagati dalla collettività. In questo
senso lo stadio dell’ASRoma non è così diverso dalle più famose vicende
di cronaca di questi anni, in cui si privatizzano le risorse e si socializzano i debiti attraverso la progressiva distruzione di
diritti, comunità e territorio.
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