La scadenza elettorale del 4 marzo incombe inesorabile. Nessuno degli scenari plausibili per il post-elezioni appare particolarmente piacevole; nessuna delle combinazioni di partiti e liste che potrebbero formare un Governo è qualificabile come meno che disastrosa per lavoro e diritti. Con ogni probabilità, da qui ad un mese ci ritroveremo con una riproposizione stantia di una qualche variante delle maggioranze di governo che tormentano il paese dal 2011, con un programma elettorale scritto a Bruxelles e Francoforte e tristi figuranti a recitare la parte di ministri di un paese sovrano. In questo scenario fosco, un osservatore superficiale potrebbe essere tentato di considerare come elementi di rottura, di cambiamento, di alternativa tre forze politiche che, alla prova dei fatti, altro non sono che tre false varianti del blocco di potere dominante. Per cercare di chiarire questo, a dir la verità inspiegabile, equivoco, un piccolo promemoria.
Abbiamo sempre ritenuto il Movimento 5 Stelle un elemento di stabilizzazione dell’attuale sistema economico e politico, una forza politica che, al di là delle dichiarazioni tonitruanti e ribelliste, ha creato il suo consenso solleticando gli istinti più bassi dell’elettorato, con un misto di invidia sociale, rancori piccolo-borghesi, moralismi ed una pericolosa venatura autoritaria. Ma in uno scenario desolato come quello italiano, non era incomprensibile come una fetta consistente dell’elettorato potesse comunque considerare i 5 Stelle quanto meno come un’alternativa a Renzi e Berlusconi.
Questi ultimissimi giorni di campagna elettorale stanno finalmente operando una utile operazione di disvelamento. Vi ricordate quando Di Maio ci raccontava come la Legge Fornero fosse da abolire senza pietà, accusando per di più Salvini di essersi venduto per un piatto di lenticchie (cosa indubbia, d’altronde) per avere cambiato idea al riguardo? Beh, evidentemente avevamo capito male, perché il ministro dell’Economia in pectore ci rassicura che invece “Non miriamo a un’abolizione tout court della riforma Fornero ma a un suo superamento”. Purtroppo le leggi sbagliate ed anti-popolari si cancellano, si abrogano; il superamento è un concetto vuoto e privo di significato, che serve a rassicurare il benpensante che all’ultimo minuto ha la tentazione di provare il brivido e votare i grillini. E che dire di quando Di Maio ci raccontava che “la riforma Renzi (i.e. la Buona Scuola) non ha nulla di buono. La smantelleremo”. Anche in questo caso, niente da fare. La legge non va abolita, al massimo migliorata e superata (aridaje). Poche altre note sparse: in una intervista al Sole 24 Ore, sempre il ministro in pectore dell’Economia con una mano promette stimoli keynesiani, con l’altra si chiede stupito come mai nessuna forza politica abbia dato applicazione al Piano Cottarelli, di fatto un progetto di attacco ai servizi pubblici in Italia. A quanto pare, ci penseranno i ragazzi del Movimento a fare il lavoro sporco.
Che dire del rapporto con i vincoli europei, che strozzano il nostro paese e l’Europa tutta? Anche qui, il messaggio deve essere rassicurante e trasudare ragionevolezza. Il vincolo del 3% al rapporto deficit/PIL? “È un feticcio che non trova nessuna giustificazione nella teoria macroeconomica”. La realtà bussa però presto alla porta, perché nella frase immediatamente seguente, scopriamo che “Va quindi rispettato, ma in maniera flessibile”. (Secondo il dizionario Treccani, alla voce quindi: Con valore causale, perciò, per tal motivo).
Per finire, è educativo provare a non perdersi in tanti fronzoli ed andare al cuore delle questioni, ai tre punti dirimenti che Di Maio ha identificato nelle sue ultime apparizioni televisive come elementi fondamentali di ogni governo che vedesse la partecipazione dei 5 Stelle: a) introduzione del vincolo di mandato, cioè misura autoritaria, anticostituzionale ed antidemocratica; b) dimezzamento degli stipendi dei parlamentari, per generare qualche briciola con cui poter fare un po’ di elemosina, nel migliore dei casi, o da regalare alle imprese, come la storia dei 5 Stelle ci insegna; c) aiuti economici alle famiglie che fanno figli (amen). Passiamo oltre, dunque.
Avere votato praticamente ogni misura proposta dal Governo Monti in poi dovrebbe essere ragione più che sufficiente per mettere Liberi e Uguali nella giusta prospettiva: cosa ci possiamo aspettare da chi ha votato il Fiscal Compact e la Legge Fornero? Il Governo Renzi è verosimilmente stato, nel dopoguerra, uno dei più schiacciati sugli interessi dei pochi, a scapito della stragrande maggioranza della popolazione: jobs act, abolizione dell’art. 18 e altri disastri che stiamo pagando caro. Uno dei tanti effetti collaterali di ciò è stata una generalizzata alterazione della percezione di ciò che c’era prima di Renzi ed il subdolo diffondersi di una narrativa secondo la quale il PD di Renzi è brutto e cattivo, mentre prima era un partito tutto sommato niente male, erede di grandi tradizioni politiche ed altre amenità.
Rinfreschiamoci la memoria: durante la campagna elettorale per le Elezioni Politiche del 2013, Bersani, padre nobile ed uno dei principali azionisti di Liberi e Uguali, così prefigurava la sua azione di Governo: “La mia ricetta? Quella di Monti più qualcosa.” Brividi. Per poi chiarire: “Ci vuole rigore e austerità ma anche lavoro ed equità”. L’attuale programma elettorale, ammantato da buoni sentimenti, quando si trova ad affrontare le questioni più dirimenti, non a caso, si limita a sognare “una Europa più giusta, più democratica e solidale”. Aspettiamo ancora di vedere una qualche forza politica, di ogni colore, che ci proponga una Europa ingiusta, antidemocratica ed egoista. Stranamente, l’arco costituzionale di tutti i paesi europei ripete esattamente le stesse parole, con i risultati che viviamo quotidianamente.
Con queste premesse, risulta francamente di difficile comprensione l’appello lanciato da un nutrito gruppo di intellettuali, i quali lucidamente riconoscono che “LeU non ha dato precisi segnali di discontinuità rispetto al processo che ha portato i partiti tradizionali della sinistra a convertirsi alle idee del “pensiero unico” e alle scelte che questo ha comportato, prima fra tutte quella di disegnare un’organizzazione sociale funzionale ai desideri (non alle “necessità”) del mercato, subordinando ad essi le istanze di promozione sociale che la Costituzione pone come scopo della Repubblica”. Purtroppo non si fanno discendere da questa riflessione condivisibile le ovvie conseguenze. Liberi e Uguali è parte del problema, non c’è da chiedere nessun chiarimento in merito alle loro posizioni su Europa e neoliberismo, posizioni che hanno la sola virtù di essere trasparenti nell’aderenza alla stessa ideologia che ha informato il PD di Renzi.
La Lega (non più) Nord è un partito razzista, e questo già ci basterebbe per considerarli un nemico politico. Matteo Salvini ha commentato i fatti di Macerata – dove un fascista candidato della Lega ha sparato indiscriminatamente su tutte le persone di colore che incontrava sulla sua strada – dando la colpa a chi “ci riempie di clandestini” e razionalizzando di fatto un’azione che non può che definirsi terrorista. Salvini è la stessa persona che si presentò in televisione vestito di tutto punto e con ai piedi dei doposci, cercando di sottolineare la sua vicinanza alle popolazioni terremotate del centro Italia e facendo la figura dello sciacallo fatto e finito. Salvini ha percorso un lungo tratto di cammino con i fascisti di Casa Pound, che tutt’ora considerano Salvini e la Lega un interlocutore privilegiato.
Uno solo di questi elementi sarebbe più che sufficiente per ricordare come la Lega svolga un ruolo storico preciso, determinato, il ruolo che fascisti e para-fascisti hanno sempre ricoperto e per il quale sono nati: fomentare la divisione tra sfruttati e subalterni; incanalare e controllare la rabbia proletaria, dirigendola verso nemici immaginari e distogliendola dalle reali cause di sfruttamento e disuguaglianze; dare legittimità ed una patina di politicizzazione ai rutti dei padroncini (un tempo del Nord Est e ora di tutta Italia) che non vogliono pagare le tasse e sguazzano nel lavoro nero, se possibile di migranti irregolari ricattabili. Tutto questo dovrebbe essere risaputo, tutto questo dovrebbe essere abbastanza.
La Lega è tuttavia di più e peggio, la Lega strepita contro l’Europa per fornire copertura politica a Berlusconi mentre in realtà propone un pacchetto di misure ultraliberiste perfettamente funzionali all’architettura europea, la sua ideologia ed i suoi vincoli più asfissianti: dalla Flat Tax al condono fiscale passando per i minibot, una sottospecie di moneta alternativa all’euro disegnata stando attenti a rispettare tutti i vincoli europei – dunque una vera e propria pantomima per raccattare voti sulla giusta rabbia di chi vorrebbe rompere la gabbia dell’Europa. Non solo un argomento del tipo “ok, sono razzisti ma almeno sono contro l’austerità/l’Euro/i Trattati europei etc.” è ingiustificabile ed inammissibile. È semplicemente falso.
E quindi? Che fare? Abbandonarsi allo sconforto? Turarsi il naso e votare il meno peggio? Quale è il meno peggio? Fare ragionamenti machiavellici e votare qualcosa a prima vista inaccettabile ma con la speranza di cambiarlo dall’interno? No. Il 4 marzo si può votare senza vergognarsi, per chi dice o prova a dire le cose giuste su lavoro, Europa, immigrazione, economia, diritto all’abitare, sanità. Il 4 marzo si può votare per chi, pur tra molte difficoltà e contraddizioni, prova a proporre una visione di società alternativa e cerca di rompere vincoli politici ed istituzionali che ci stanno lentamente soffocando. Il 4 marzo si può votare Potere al Popolo.
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