Era chiaro che il processo che ha portato all’inizio dello sciopero generale, ed il clima che l’ha preceduto, lasciavano propendere per una riuscita dello sciopero, delle mobilitazioni ad esso connesse e di un solido appoggio dell’opinione pubblica in generale.
Ma la riuscita è stata molto più rosea delle più ottimistiche aspettative e costituisce un ulteriore stimolo per la sua continuazione ed estensione con un effetto domino che “rischia” di abbattersi sull’esecutivo.
Secondo i dati “ufficiali”, non degli organizzatori, e quindi senz’altro notevolmente al ribasso, sono stati censiti 510.000 manifestanti in 70 città fuori Parigi, secondo il decryptage di Le Monde...
Per darvi un idea della sproporzione, il quotidiano francese – che comunque dichiara di aver compiuto una stima non esaustiva sul totale – parla di 25.000 a Marsiglia, mentre la CGT del dipartimento di Marsiglia fornisce la cifra di 150.000 persone. Lo stesso a Tolosa: 33.000 per la Prefettura, 100.000 per gli organizzatori!
E rileva comunque una presenza significativa anche nei centri minori oltre a Parigi, Marsiglia, Bordeaux, Lione, Tolosa, comunque molto inferiore alle stime fornite dai cronisti di testale locali che conoscono meglio le città di cui scrivono...
Le nombre jaune, pagina creata durante la marea gialla per fornire una contabilità precisa, date le cifre diffuse ufficialmente dall’Esecutivo al limite del ridicolo, parla di 1.143.450 partecipanti!
Il sito di informazione indipendente Mediapart è quello che ha dato il quadro più esaustivo della giornata, assemblando i servizi dei propri cronisti insieme a praticamente tutto ciò che è uscito sui differenti canali d’informazione.
Prossimamente e più a freddo potremmo fornire un quadro più esaustivo e fare una valutazione che si approssimi il più possibile alla realtà.
Se usiamo i sondaggi come indicatori, per quanto approssimativi, dell’umore popolare, possiamo affermare che nel corso della settimana il consenso nei confronti dello sciopero è aumentato, e non di poco, attestandosi – a seconda degli istituti di ricerca – al 68% per Odoxa-Dentsu, 69% Harris Interactive, 58% per Elabe, 56% per Ifop-Fiducial...
La maggioranza dei francesi quindi sostiene lo sciopero.
Altri sondaggi ci rivelano un altro dato interessante: sebbene i francesi condividano in genere la necessità di una “riforma pensionistica”, non si fidano affatto di Macron per realizzarla; e sono ben più del 60% degli intervistati.
La maggioranza dei francesi quindi non sostiene Macron in questa riforma.
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La quasi totalità dei lavoratori nei trasporti come le ferrovie e la metro parigina faranno “sciopero ad oltranza”.
È circolato un treno su dieci ed i tre quarti dei macchinisti hanno fatto sciopero, mentre 11 linee della metro parigina (la RAPT) sono rimaste chiuse. Hanno funzionato regolarmente solo le linee automatizzate 1 e 14. Questo venerdì la situazione si annuncia simile con 1 treno su 2 sulla Linea A della RER, e uno su tre della linea B, ovvero le metro che collegano il centro con la periferia parigina.
Per la metro della Capitale l’inizio dello sciopero generale è stato più impattante della fermata precedente, il 13 settembre di quest’anno, che aveva paralizzato Parigi e che di fatto ha costituito l’incipit questi mesi di mobilitazioni sociali.
Questo venerdì la circolazione ferroviaria sarà perturbata allo stesso modo, così come la metro parigina.
I lavoratori della RAPT continueranno lo sciopero almeno fino a lunedì.
In maniera minore, ma comunque molto penalizzato, è stato il trasporto aereo; nell’arco della giornata hanno potuto decollare solo 1/3 dei voli interni di Air France ed il 15% di quelli a media percorrenza, mentre Easyjet ha annullato un totale di 233 voli, stando ai dati forniti mercoledì dalle compagnie.
Il dato è stato confermato dallo sciopero e questo venerdì la situazione sarà simile.
In Francia la legislazione non prevede l’esercizio di un “servizio minimo” nei trasporti pubblici, ma impone ai lavoratori solo la comunicazione dell’adesione allo sciopero 48 ore prima, per riorganizzare il servizio.
È stato annichilito sul nascere qualsiasi tentativo di limitare l’impatto nel sistema dei trasporti nella regione parigina, dove vivono un quarto dei francesi, utilizzando bus di ditte private – tra cui Flixbus –, mentre l’utilizzo gratuito delle piattaforme private di “condivisione del viaggio” è stato di fatto annichilito dalla congestione del traffico automobilistico che ha caratterizzato la capitale già da mercoledì nel tardo pomeriggio, con ben 550 chilometri di coda, tornando alla normalità solo in serata.
Come ha dichiarato al canale televisivo BMFTV, prima dell’inizio dello sciopero, il segretario generale della CGT delle ferrovie – l’organizzazione più rappresentativa nel settore: “Se deve durare tutto il mese di dicembre, durerà tutto il mese di dicembre”. Segno della determinazione nel volere bloccare a tutti i costi il progetto macroniano.
Alcuni dipartimenti, come quello delle Bocche del Rodano, per esempio, cioè la regione marsigliese, hanno conosciuto una paralisi dell’attività economica quasi totale – comprese le raffinerie – da ieri; questo per impulso soprattutto dell’UD 13 della CGT, l’unione Dipartimentale che aderisce alla FSM.
In generale, non solo le principali città francesi, che hanno conosciuto dalla mattinata manifestazioni oceaniche, ma tutto l’Esagono è stato invaso da un maremoto, segno di una partecipazione massiccia ed oltre le più rosee aspettative.
L’adesione degli insegnanti era prevista al di sopra del 50% alle materne ed elementari; è stata poco meno dell’80% nella sola Parigi, secondo i calcoli del Ministero dell’Interno.
Almeno 245 istituti su 652 nella sola Capitale hanno dovuto essere chiusi, secondo fonti ufficiali.
Anche nell’istruzione secondaria “il movimento si annuncia molto forte, con una forte probabilità di raggiungere più del 70% dei professori che dichiarano lo sciopero, compresi insegnanti che non hanno mai fatto sciopero” aveva dichiarato Frédérique Roleta – segretario del Snes-FSU, organizzazione maggioritaria nel corrispettivo delle medie inferiori e superiori – a Mediapart in una interessante inchiesta scritta a più mani dal titolo “Retraits: les paris du 5 décembre”.
Quella degli insegnanti contro le riforme scolastiche è una lotta che dura da tempo.
Ma anche il privato è entrato nella partita. I “chimici” della CGT sono stati i tra primi ad esprimersi per lo sciopero ad oltranza all’interno della confederazione francese, e la maggioranza delle raffinerie (sette su otto) sono state totalmente bloccate.
Come riferisce David Gistau, responsabile confederale della CGT al quotidiano L’Humanité, in un articolo pubblicato questo mercoledì: “abbiamo ricevuto più di 2.000 chiamate di sciopero nel privato. (…) Bisogna andare indietro, al più importante degli scioperi contro la legge El Khmomri o alla battaglia delle pensioni del 2010, per avere queste cifre! L’altro aspetto eccezionale della situazione, è che riceviamo molte chiamate spontanee da persone isolate”, che lavorano nelle piccole imprese; desiderano prendere coscienza dei propri diritti e conoscere i luoghi delle manifestazioni.
Insomma, come rilevato da più parti, tirava una aria da '68...
Un'inchiesta di Le Monde di questo martedì, basata su una serie di interviste a sindacalisti ed esperti del settore, dal titolo significativo – “Avant la grève du 5 décembre, les syndicats face à la radicalisation de leur base – mostra come sia cambiato il clima nel mondo della rappresentanza sindacale, con un comune denominatore: “la pressione della base e la sua radicalizzazione”. Forme di organizzazione autonoma dentro e a lato delle rappresentanze sindacali sono un altro segnale come il coordinamento degli ospedalieri, o “La Base” nella RAPT…
In generale i “corpi intermedi” marginalizzati da Macron, dopo anni di dure sconfitte sono diventati i vettori della collera delle classi subalterne fortemente influenzate dalle modalità d’azione e dai risultati ottenuti dai GJ in questo anno.
Non è il sindacalismo combattivo aperto alle molteplici forme in cui si esprime il conflitto sociale ad essere “superato”, ma la sua versione che agisce “dentro le compatibilità” ad essere morto e sepolto...
Erano previste, e si sono svolte, circa 250 manifestazioni in tutta la Francia; la mobilitazione non ha riguardato solo i sindacati e le organizzazioni giovanili studentesche.
I 600 delegati della quarta Assemblea delle Assemblee dei Gilets Jaunes, riunitisi a Montpellier, a novembre avevano approvato una mozione che chiamava allo sciopero, mentre le figure storicamente più in vista delle giacche gialle – come Eric Drouet, Priscilla Ludosky ,“Fly Rider” e Jèrome Rodrigues – hanno fatto un video-appello per lanciare la mobilitazione e per fare di questa data: “un nuovo momento della storia del nostro Paese”.
Pensiamo che l’obiettivo sia stato raggiunto.
Un bilancio chiaro, quello fatto dalle figure mediaticamente più influenti dei GJ, su un anno di mobilitazioni: “nessuna delle nostre rivendicazioni, che fossero su un aspetto ecologico, democratico, sociale e fiscale ha portato a qualche riforma. La nostra lotta non è terminata”.
Neanche il mondo della cultura è stato a guardare.
Più di 180 intellettuali ed artisti, tra cui la scrittrice Annie Ernaux, il regista Robert Guédiguian e l’economista Thomas Piketty, in una Tribune pubblicata su Le Monde, sostengono lo sciopero.
L’appello è stato lanciato per iniziativa della rivista Regards e vede nei movimenti sociali che si esprimono da tempo in Francia una speranza ed un alternativa e cui invita a partecipare e si conclude così: “che giovedì 5 dicembre e i giorni che seguono, la rabbia legittima, ma soprattutto la speranza ritrovata, cantino in tutte le vie di Francia, perché il nostro avvenire è alla portata delle nostre intelligenze collettive.”
Quanti settori sociali verranno coinvolti nello sciopero, quale sarà la durata e se sarà in grado di sviluppare un rapporto di forza tale da far cedere la compagine governativa sulla riforma delle pensioni che vuole attuare, non è dato sapere; ma la prima giornata di sciopero fa ben sperare.
Saranno i fatti a dirci se è ancora valida per la Francia l’affermazione fatta nel 2003 dall’allora primo ministro Jean-Pierre Raffarin, nel bel mezzo di un conflitto sulle pensioni per cui: “Non è la strada a governare”.
Appare abbastanza consolidato comunque quanto ha affermato Danielle Tartakowsky, storico dei movimenti sociali, in una intervista su Le Monde di questo mercoledì: “La messa in discussione di ciò che rimane dello Stato Sociale, cioè essenzialmente le pensioni e i servizi pubblici, crea uno spazio comune che cristallizza tutta una serie di rivendicazioni e di esigenze.”
Uno spazio comune che ha una profondità storica.
La paralisi economica in Francia ha illustri precedenti vittoriosi: la conquista delle otto ore lavorative nel 1919, le mobilitazioni iniziate nel 1934 che hanno portato al “Fronte Popolare” ed alle sue conquiste (tra l’altro le ferie pagate), gli scioperi “insurrezionali” degli anni ’50 che fecero rientrare l’austerità, il maggio ‘68 che ha portato a notevoli aumenti salariali e al riconoscimento della rappresentanza sindacale in azienda...
Per giungere più vicino a noi, gli scioperi del 1995, che dopo tre settimane di mobilitazione portarono al ritiro della riforma pensionistica di A. Juppé.
Questo ultimo esempio è lo spettro che inquieta di più il governo, nonché l’ultimo precedente vittorioso del movimento dei lavoratori, che combinò efficacia forme di lotta e consenso popolare: ai tempi si parlò di “sciopero per procura”.
Solo le mobilitazioni contro il CPE nel 2006 sono state di fatto, prima dei GJ, l’ultima esperienza di retro-marcia di un progetto governativo.
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La riforma delle pensioni non è stata presentata nel dettaglio, ma solo nelle sue linee guida; rimangono incerte modalità e tempistiche della sua eventuale applicazione.
Il 12 dicembre, il primo ministro Edouard Philippe potrebbe precisare il progetto atteso in Parlamento per l’inizio dell’anno nuovo.
Nelle ultime settimane non sono state date delucidazioni in merito, e quindi sul tavolo non vi è nulla di certo, se non una pervicace volontà di andare avanti nell’agenda politica intrapresa nonostante la prevista mobilitazione popolare e le accuse di “corporativismo” ai settori sociali – come i trasporti – che ne sono stati i primi promotori, con il solito giro di valzer di interlocuzioni di facciata con le parti sociali.
Tale provvedimento nasce da alcune idee-forza quali: la fine dei “regimi speciali” in un livellamento verso il basso della condizione pensionistica, l’allungamento dell’età pensionabile stabilendo una età anagrafica che, come in Italia, faccia da pivot per la godibilità della pensione piena.
Prevede inoltre l’introduzione di un sistema che scollega ciò che è stato effettivamente versato rispetto a ciò che verrà percepito, e annuncia il cambiamento del sistema di calcolo, riparametrato non sulla migliore condizione retributiva conosciuta durante la vita attiva, ma spalmandola su più ampia porzione di questa, penalizzando di fatto le donne che hanno avuto accesso ai congedi di maternità e coloro che hanno vissuto una condizione precaria ed “intermittente”.
Macron vuole di fatto mettere mano all’ultimo tassello dello Stato Sociale francese che non è riuscito ancora a modificare, riuscendo dove i suoi predecessori hanno parzialmente fallito, e portare a compimento il programma neo-liberale a tutto tondo che è la mission affidatagli dalle élite che l’hanno creato.
L’attuale esecutivo che si basa su una coalizione avente come perno LREM, il movimento politico creato da Macron con il suo “big Bang” per le ultime elezioni presidenziali e legislative di due anni e mezzo orsono. En Marche! non è riuscita a sviluppare una solida base di radicamento, dimostrandosi solo una macchina di marketing elettorale, mentre Macron ha piuttosto velocemente dilapidato il suo consenso, prima in calo e poi precipitato dall’inizio della “marea gialla” circa un anno fa. Non ha trovato corpi intermedi da cooptare nel progetto di ri-legittimazione del suo consenso, nonostante gli sforzi profusi, di fatto aumentando lo iato tra “il Presidente dei Ricchi” ed il corpo sociale complessivo.
Una parte del personale politico di LREM da un anno a questa parte teme la propria sovra-esposizione, segno che la delegittimazione avvenuta con l’approfondirsi della crisi attraverso la mobilitazione dei GJ si è approfondita, ed è estremamente preoccupata per i possibili esiti catastrofici nelle elezioni amministrative locali di quest’anno in tutta la Francia.
E più prosaicamente ha proprio paura a girare per strada...
Per quanto riguarda l’attuale riforma delle pensioni, essa è sostenuta solo dalla dirigenza della CFDT di Laurent Berger, ma la categoria dei ferrovieri aderente a questa centrale sindacale partecipa allo sciopero “ad oltranza”. Oltre alla CFDT, la direzione di uno principali sindacati degli agricoltori, la FSNA – resasi protagonista della “pacifica” invasione della capitale con i trattori contro l’ “agri-bashing” del governo – nonché da una delle due maggiori organizzazioni sindacali dei controllori di volo, sono convinte della bontà della riforma...
Poca cosa quindi per raccogliere consenso attorno ad una riforma, o a pensare ad una “mobilitazione reazionaria di massa” in grado di controbilanciare la piazza. I precedenti tentativi di Macron di dare vita a piazze anti-GJ sono naufragati in mobilitazioni in cui i peggiori “bobo” hanno fatto la caricatura di loro stessi; una manciata di Briatore per intenderci...
Persino l’organizzazione sindacale che rappresenta i “quadri”, solitamente conciliativa, ha aderito su pressione della base allo sciopero anche in ragione delle elezioni sindacali che si terranno di qui a breve, e che l’avrebbero penalizzata alquanto. Anche FO sembra avere messo in soffitta, con il Congresso tenutosi quest’estate, la sua tradizionale moderazione ed ora partecipa allo sciopero inter-categoriale del 5 febbraio (le sue federazioni categoriali dei trasporti sono organiche a questo settore centrale della protesta), mentre la tradizionalmente moderata centrale cattolica, la CFDC, ha lasciato libertà di scelta ai suoi aderenti.
La narrazione governativa prodotta dello sciopero corporativo, per il mantenimento del privilegio di pochi a detrimento del resto della popolazione, più che attecchire ha gettato ulteriore benzina sul fuoco.
Un articolo di France.info che raccoglie numerose testimonianze di lavoratori del pubblico e del privato che sciopereranno, sintetizza il senso comune delle dichiarazioni a partire dal titolo al pezzo: “non ci battiamo per noi, ma per tutti”.
L’ipotesi di applicare i principi della riforma pensionistica tendenzialmente solo a coloro che conosceranno il mondo del lavoro con la sua entrata in vigore, cercando così di contrapporre fasce di lavoratori di età diversa, non ha fatto altro che radicalizzare la componente studentesca, già vessata da una pletora di riforme peggiorative della propria condizione.
I giovani saranno uno dei pilastri della collera sociale che si esprimerà in questi giorni.
A conti fatti, all’establishment politico non rimangono che alcune risorse tattiche, di cui ha già fatto abbondantemente uso in quest’anno di inedita mobilitazione politico-sociale: il condizionamento dell’opinione pubblicata tramite “editocrati” organici all’oligarchia e ai media-mainstream, la repressione poliziesca e la “provocazione” fascista e il logoramento dei soggetti mobilitati.
Non da ultimo, è fondamentale l’appoggio senza falle dell’Unione Europea in questo ennesimo affondo.
Proprio il Presidente francese, con una Angela Merkel in fase crepuscolare ed una Brexit alle porte – senza ancora sapere quali forme e tempi avrà – è il centro gravitazionale delle sfide dell’Unione nell’immediato futuro e driver del progetto franco-tedesco di “Europa carolingia”.
Una miriade di vertenze prolungate, per quanto circostanziate, ha avuto un esito vittorioso nell’Esagono e costituiscono dei precedenti positivi anche a livello d’immaginario e di pratiche di sussistenza solidale, per “resistere un minuto in più del padrone”. Ad un altro ordine di grandezza, l’esecutivo ha dovuto cedere ad una parte delle richieste delle “giacche gialle” e, più recentemente, fare una parziale inversione di rotta di fronte all’inedita mobilitazione di tutto il personale ospedaliero, rivedendo le proprie politiche d’austerità.
Nonostante le inchieste giudiziarie e gli scandali che hanno riguardato uomini e donne del Presidente – di cui il più famoso è l’affaire Benalla – le non poche dimissioni di peso conosciute dall’Esecutivo, Macron – complice l’assetto istituzionale francese presidenzialista – ha conosciuto una certa capacità di resilienza che gli ha permesso di governare senza consenso in presenza del più longevo ed esteso movimento sociale a livello continentale.
La partita che si apre in Francia sulla riforma delle pensioni va oltre, quindi, la riforma in sé e oltrepassa per il suo peso effettivo i perimetri dell’Esagono.
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Formuliamo schematicamente alcune ipotesi, partendo dalla consapevolezza che se lo sciopero non perdurasse e non attecchisse – ma così non sembra – sarebbe gioco facile per l’Esecutivo procedere già all’inizio del prossimo anno verso una formulazione più definita della riforma e la sua messa in calendario, senza avere una opposizione di piazza che l’incalza.
Si tratterebbe dell’ultima tappa di un percorso con circa 25 anni di sconfitte del movimento operaio, e ridarebbe ossigeno a Macron.
Allo stesso tempo, se il 5 fosse realmente solo un inizio di una lotta prolungata e si configurasse uno scenario di mobilitazione sociale inedito per ampiezza, intensità e durata, si aprirebbe un processo di lotta di classe senza precedenti nella UE, costringendoci a considerare ciò che fin qui è successo in Francia da metà del novembre dello scorso anno come un lungo preambolo. Se vogliamo usare una metafora sportiva, il riscaldamento pre-partita.
Partiamo da qui, dunque.
Se lo sciopero s’inscrive nella durata nei settori strategici fin qui coinvolti, esonda in ampi strati di salariati anche del privato, rinvigorisce il movimento delle “giacche gialle” e stimola le mobilitazioni di varia natura che hanno caratterizzato l’Esagono anche di recente, si apre una partita importante, di cui non possiamo essere semplici spettatori.
Quel “muro” che un anonimo personaggio politico della maggioranza ha evocato si concretizzerebbe, come sembra.
In questo caso l’esecutivo avrebbe tre opzioni.
Prima: continuare con la sordità rispetto alle istanze avanzante, criminalizzando e reprimendo il movimento “oltre misura”, e giocando tutto sul logoramento e l’appoggio incondizionato della UE e sulla mancata solidarietà internazionale, per imporre una sconfitta “definitiva” alle velleità di opposizione ai suoi progetti. Forse sarebbe un suicidio politico in termini di consenso per LREM non molto dissimile da quello scelto da Hollande, ma allo stesso tempo un adempimento della missione neo-liberale che gli è stata conferita.
Seconda: attuare una parziale revisione delle sue proposizioni “riformistiche” dilatandone i tempi di attuazione e diluendone alcuni aspetti per cercare di rompere il fronte sindacale, lasciando ai suoi “complici” – magari cooptati dentro una strategia sindacale neo-concertativa – la libertà di cantare vittoria per un ritiro parziale della riforma che verrà completata poi, preparando meglio le condizioni della contro-offensiva.
Terza: la maggioranza è costretta temporaneamente a fare marcia indietro sulla riforma, riformulando la propria agenda politica almeno nella tabella di marcia perché ne va della sua capacità di tenuta.
La fiducia nell’efficacia dell’azione diretta e collettiva farebbe proseliti e le forze politiche che volessero dare rappresentanza ai subalterni ritroverebbero la forza per proporsi come una alternativa credibile agli occhi dei subordinati.
Certo non abbiamo la sfera di cristallo, ma quello che sembra prendere forma è un pezzo importante della crisi del neo-liberalismo targato UE e ci riporta alla concretezza della lotta di classe in un Paese a capitalismo maturo.
In fin dei conti è la capacità di imporre con la forza le proprie rivendicazioni ciò che conta, sapendo incanalare la legittima collera sociale covata sotto-traccia dal nostro blocco sociale di riferimento con forme adeguate allo scontro feroce con una élite che non cederà facilmente le leve del comando, e determinando un piano politico che invece di seguire, “anticipi” e accompagni il terremoto sociale.
Come proclamava un tempo un rivoluzionario francese: chi ha del ferro ha del pane...
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