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05/12/2019

Il MES apre la stagione della “frane finanziarie mirate”

L’Eurogruppo ha confermato che il testo del trattato Mes è inemendabile. Il ministro dell’economia, Gualtieri, è tornato dicendo che “abbiamo ottenuto cambiamenti significativi”. Indovinate chi mente?

L’Eurogruppo è istituzione potente (riunisce i ministri dell’economia), ma non è prevista da nessun trattato. Praticamente è illegale, ma prende decisioni sulla vita di mezzo miliardi di persone. Lì dentro, come in tutte le altre istituzioni, comandano gli ordoliberisti tedeschi.

In pratica, la “riforma” del Meccanismo europeo di stabilità sarà firmata così com’era stato contrattata durante il governo gialloverde e come non poteva certo essere criticato dal Pd.

Come si sia arrivati ancora una volta a firmare un trattato con su scritto “depredare l’Italia” non è un mistero. Lo ricostruisce con esperienza Luca Ricolfi, studioso ed editorialista ormai settantenne, una vita a La Stampa, Panorama e ora per Il Messaggero.

Ma la cosa più interessante è che conferma anche lui l’analisi che abbiamo proposto fin dal primo momento: quel dispositivo non serve a prevenire o tamponare una crisi finanziaria di un qualsiasi paese dell’Eurozona, serve a provocarla.

Il meccanismo, in combinazione con la definizione di “rischiosità” per i titoli di Stato (contenuta nella bozza di unione bancaria presentata dalla Germania e di fatto contenuta anche negli stress test condotti dalla Bce), invita infatti “i mercati” ad aprire il fuoco della speculazione finanziaria contro i titoli di Stato dei paesi con più alto debito, perché garantisce preventivamente agli speculatori che otterranno il risultato fin qui solo sognato: la ristrutturazione del debito dei paesi sottoposti ad attacco. E quindi guadagni favolosi ottenuti con poco sforzo.

In secondo luogo, poiché a detenere i titoli di Stato di quei paesi – come l’Italia – sono soprattutto le banche nazionali, gli speculatori potranno assalire anche gli istituti di credito, costringendoli a dure perdite e svendite a prezzi di saldo.

Al contrario, le banche europee più in crisi perché riempite di “titoli illiquidi” – prodotti finanziari derivati, alla base della crisi del 2008, che non hanno mercato e sono invendibili – potranno in parte risanare i propri bilanci speculando sui titoli di Stato (italiani, spagnoli, greci, ecc) e puntando all’acquisizione dei grandi quote del sistema bancario dei relativi paesi.

Non per caso le banche che beneficeranno di questa possibilità speculativa sono principalmente francesi e tedesche (e olandesi). Messo a punto il meccanismo, se necessario, si potrà fare altrettanto con qualche altro sistema-paese...

Di fatto, siamo da anni in una situazione di crisi-stagnazione, simile a una frana incombente sul fianco di una montagna. È logico che si cerchi di farla cadere nel modo più controllato possibile. Ma sulle montagne in genere non mancano spazi disabitati disponibili, mentre sui mercati finanziari il vuoto non esiste. Se c’è una crisi (se si stacca una frana), qualcuno si farà male di sicuro. In questo caso, insomma, chi gestisce il Mes può scegliere un percorso che salvi qualcuno uccidendo qualcun altro. A Bruxelles hanno confezionato e posizionato le cariche esplosive in modo che la frana cada su di noi, invece che sui “maestri” del Grande Nord.

Il governo gialloverde – con la Lega sul punte di comando, ma senza cervello strategico – si è fatto confezionare su misura una ghigliottina. Ora i due vecchi contraenti strepitano, cercano di passare per ignare verginelle. Complici, subordinati e un po’ cretini, come tutta la classe politica che ha gestito l’ultimo trentennio, dagli accordi di Maastricht in poi.

*****

Noi e l’Europa/Quel Trattato nasconde troppi rischi per il Paese

Luca Ricolfi – Il Messaggero

Credo che, sulla questione della riforma del Mes (il Meccanismo Europeo di Stabilità), sia essenziale tenere distinte tre domande.

Domanda 1: è pericoloso per l’Italia? O meglio: l’Italia, con il nuovo Mes, corre più o meno rischi che con il vecchio?

Ebbene, qui la mia riposta è netta. Prima di leggere il testo non ero eccessivamente preoccupato, dopo averlo letto attentamente lo sono moltissimo. Il trattato è pericoloso per l’Italia, e aumenta il rischio di una crisi finanziaria che ci costringa a una pesante “ristrutturazione del debito” (eufemismo per non dover dire: perdite patrimoniali e relativa catena di conseguenze). Questo giudizio non è solo dell’opposizione ma è condiviso da numerosi politici e tecnici di sicura fede europeista e progressista, che hanno messo in evidenza i molti punti deboli dell’accordo: dall’eccesso di potere del Mes (a scapito della Commissione Europea) alla pericolosità delle Clausole di Azione Collettiva (le cosiddette Cacs) che dal 2022 renderanno più facile costringere gli Stati a ristrutturare il debito, per non parlare dello scudo penale a favore dei membri del Mes (articoli 32 e 35 del trattato).

A minimizzare più o meno convintamente i rischi restano solo l’ex ministro Tria (che ha negoziato le modifiche), il ministro Gualtieri (che ha ereditato la patata bollente), la maggioranza degli esponenti del Pd, nonché i più acritici fra gli “europeisti a prescindere”.

Domanda 2: di chi è la colpa se ci troviamo in questa situazione, ossia a dover firmare un trattato che ci danneggia?

A mio parere la colpa principale è del governo giallo-verde, anche se la ripartizione delle responsabilità fra Conte-Tria-Salvini-Di Maio è impossibile da valutare per un osservatore esterno come me (se volessi scoprirlo proverei a sapere qualcosa da Giorgetti). L’idea che mi sono fatto è più o meno questa. Tria negozia quel che può, e non può molto perché il governo vuole flessibilità, e non può certo permettersi la procedura di infrazione per debito eccessivo. Poi dice a Conte (che è un avvocato, e di economia non si intende) che è un buon accordo.

Conte non spiega a Salvini e Di Maio che, in realtà, quel che lui e Tria stanno negoziando – oltreché bruttino – è quasi definitivo. Salvini e Di Maio, che preferiscono i bagni di folla (gratificanti) allo studio dei dossier (noiosissimi), fra un comizio e un salto in discoteca non si rendono conto né di quel che sta passando, né del fatto che quel che sta passando è sostanzialmente irreversibile. Personalmente sono più arrabbiato con Salvini e Di Maio che con Tria.

Domanda 3: e adesso? Adesso che l’Eurogruppo, nella riunione di ieri, ha detto chiaramente che il testo del trattato è sostanzialmente inemendabile, che cosa dovrebbe fare l’Italia?

La mia risposta è: non lo so. Perché ci sono gravi rischi sia se si rifiuta di firmare il trattato, sia se lo si accetta. In entrambi i casi la nostra vulnerabilità alla speculazione e alle crisi finanziarie è destinata ad aumentare considerevolmente.

C’è una domanda, però, cui mi sento di abbozzare una risposta. La domanda non è «che cosa dobbiamo fare?» ma «che cosa effettivamente faranno i nostri politici?».

Ed ecco la mia previsione. Conte e Gualtieri pregheranno in ginocchio l’establishment europeo di concedere almeno una piccola modifica al trattato, in modo da consentire al governo giallo-rosso di salvare la faccia e farlo approvare in Parlamento (già si parla di eliminare, attenuare o ritardare l’entrata in vigore della cosiddette Cacs, ossia delle clausole che – dal 2022 – renderanno più facile la ristrutturazione del debito). Le autorità europee concederanno qualche ritocco marginale, e magari qualche promessa sugli altri due tasselli del pacchetto che include il Mes (unione bancaria, budget europeo).

Il governo rassicurerà gli italiani, dicendo che già avevamo ottenuto molto (nel testo attuale la ristrutturazione del debito non è automatica), e abbiamo ancora “migliorato” il trattato che era stato chiuso a giugno. Poi l’attività di governo riprenderà, con questo o con altro governo. Ma chiunque prenderà il timone della politica economica continuerà sulla strada di sempre: richiesta di flessibilità, deficit tra il 2 e il 3%, nessuna sostanziale diminuzione del rapporto debito/Pil. Perché su una cosa destra e sinistra, giallo-rossi e giallo-verdi sono sempre d’accordo: il risanamento dei conti pubblici, ossia l’unica cosa che ci metterebbe al riparo da crisi future, «è un obiettivo strategico». Così strategico che ci penseremo domani, anzi ci penseranno quelli che verranno dopo di noi.

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