Lunedì 9 dicembre si è svolto a Parigi il vertice del cosiddetto Formato Normandia composto dalle massime rappresentanze di Germania, Francia, Ucraina e Russia. L’incontro ha avuto al centro delle proprie discussioni il conflitto ucraino: un conflitto tra l’esercito di Kiev e gli insorti delle province orientali di Lugansk e Doneck sostenuti da Mosca che, seppur a bassa intensità, prosegue ininterrottamente ormai da 5 anni.
Nel testo firmato dalle parti al termine dell’incontro figurano il rispetto del cessate il fuoco e lo sminamento e la demilitarizzazione di altre zone a ridosso della linea di contatto da realizzarsi entro il 30 marzo 2020, il rilascio di tutti i prigionieri di guerra entro la fine dell’anno corrente, la realizzazione di nuovi punti di attraversamento sulla linea di contatto nonché un adattamento legislativo che inserisca i presupposti della “formula Steinmeier” nell’ordinamento ucraino, ossia una modifica costituzionale che renda possibile la concessione di un’ampia autonomia alle province ribelli insorte contro Kiev nel 2014. Nel testo sottoscritto dalle rappresentanze non vi è alcuna menzione della Crimea: un fatto già in sé molto significativo.
La notizia dell’esclusione della Federazione Russa dai Giochi Olimpici, diffusa a poche ore dall’inizio dell’atteso vertice parigino, sembra non aver influenzato gli esiti dell’incontro, che si ripeterà con lo stesso formato in primavera e avrà all’ordine del giorno le modalità di svolgimento delle elezioni nelle regioni di Doneck e Lugansk.
Appena qualche giorno prima del vertice di Parigi, con una decisione definita dai propri vertici “orientata politicamente”, il Fondo monetario internazionale ha accordato all’Ucraina un nuovo prestito da 5,5 miliardi di dollari.
L’accordo tra Mosca e Kiev sul transito del gas russo attraverso l’Ucraina dovrebbe essere concluso entro la fine dell’anno: il fatto che questo non sia avvenuto prima del vertice di Parigi ha indubbiamente influito sul negoziato. Appena qualche giorno fa il Cremlino ha inaugurato il gasdotto Sila Sibiri (‘Forza della Siberia’): in attesa del prossimo completamento del North Stream 2 e del Turkish Stream i gasdotti ucraini restano – almeno per il momento – insostituibili.
L’esasperazione ideologica ultranazionalista rappresenta uno dei principali ostacoli che insidiano la possibilità di un reale processo di pace, di riconciliazione nazionale e di normalizzazione dei rapporti con la Federazione Russa.
La presa del presidente Volodymyr Zelenskij sul Paese vacilla: benché le autorità cerchino di sottacere e far passare in sordina la situazione con cui il Paese fa i conti, le gravi problematiche interne restano irrisolte. Recentemente anche i dati del Fondo monetario internazionale hanno ufficializzato il fatto che l’Ucraina sia diventata il Paese più povero d’Europa, con un reddito pro capite medio inferiore ai 3.000 dollari annui. La violenza dilaga: non di rado quella criminale si soprappone e si confonde con la violenza politica. Il disarmo delle organizzazioni neofasciste, seppur cominciato, sembra condotto con scarsa convinzione e tra la disillusione degli apparati ucraini.
Se il presidente russo Vladimir Putin si è detto soddisfatto delle discussioni parigine, durante il vertice il suo omologo ucraino Zelenskij è apparso assai nervoso, forse perché preoccupato per la probabile reazione della compagine oltranzista con cui si troverà a fare i conti sin da subito e che probabilmente sarà tutt’altro che pacata e composta.
I punti sottoscritti da Zelenskij travalicano infatti la “linea rossa” delle condizioni a lui dettate da personalità come l’ex presidente Petro Porošenko e l’ex primo ministro Julija Tymošenko, oltre che da organizzazioni paramilitari come il C-14 e il Corpo nazionale: una tutt’altro che improbabile convergenza tra le componenti politiche avverse ad una politica realista ‒ ergo più conciliante ‒ con Mosca potrebbe rivelarsi assai pericolosa per i precari equilibri ucraini, e di conseguenza anche per quelli della vecchia Europa.
Gli Stati Uniti in questa fase sembrano guardare all’Ucraina quasi soltanto per le proprie vicende interne, vicende che potrebbero addirittura comportare la messa in stato di accusa del presidente Donald Trump: dal canto suo, alcuni mesi fa, il presidente statunitense aveva suggerito a Volodymyr Zelenskij di mostrarsi conciliante con Mosca, palesando un atteggiamento in netta controtendenza con quello del suo predecessore Barack Obama, e quasi un certo disinteresse per la questione ucraina.
Resta irrisolto il problema delle sanzioni antirusse: sanzioni che hanno dimostrato in questi anni tutta la loro inefficacia. Da una parte non hanno in alcun modo smosso il Cremlino dalle proprie posizioni; dall’altra hanno danneggiato seriamente alcune economie, come quella italiana.
Oltre al superamento delle sanzioni, uno dei presupposti necessari allo sblocco dell’impasse ucraina sembra dunque relativo alla volontà di Francia e Germania di inaugurare un nuovo corso strategico con Mosca: rispetto a questo la volontà italiana appare sfuggente e timorosa di compiere qualsiasi scelta significativa senza il benestare di Washington.
Buoni propositi a parte, gli esiti del vertice di Parigi potranno misurarsi solamente nella concretezza dei fatti, ed in particolare nelle reali intenzioni francesi e tedesche. Se, come dichiarato a più riprese da Macron, il vincolo atlantico è «cerebralmente morto», sembra non rimanga che dimostrarlo. E comportarsi di conseguenza.
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