Il giorno dopo l’Election Day non ha regalato i risultati finali del voto presidenziale.
È avanti Biden con 264 “grandi elettori”, a un soffio dalla quota di eletti pari a 270 tra senatori e deputati del Congresso che gli permetterebbero “teoricamente” di essere eletto, contro gli attuali 213 di Trump.
Il primo, come fu per la Clinton 4 anni, fa sembra aver vinto la sfida del voto popolare con poco più di 72 milioni e 100 mila preferenze contro i poco più di 68 milioni e 600 mila voti di Trump: circa 3 milioni e mezzo di voti di differenza, ma con The orange man che ha preso ben 5 milioni di voti in più delle scorse elezioni.
L’attuale presidente ha quindi aumentato il suo consenso, specie nelle aeree rurali e nei piccoli centri, e ha catalizzato i voti di chi è più preoccupato per la crisi economica che per quella sanitaria, anche se negli States in un solo giorno – ed è un nuovo record – ci sono stati ben più di 100 mila nuovi contagiati, in una situazione in cui i test sono insufficienti.
Dalle simulazioni dei possibili scenari di vittoria, Biden, essendosi aggiudicato ben tre dei due Stati del Midwest che aveva perso la Clinton nel 2016 (Wisconsin e Michigan), ha la strada spianata e potrebbe vincere in ventisette modi diversi a differenza di Trump che ha solo quattro possibilità.
Se Biden vince in Pennsylvania, che assegna 20 “grandi elettori”, è fatta, se perde lì, ha varie combinazioni di vittoria possibili, grosso modo si sintetizza con una vittoria in due altri Stati (Georgia e North Carolina, o la prima e l’Arizona ecc).
Trump in pratica deve vincere in quattro Stati su cinque. Arduo, ma non impossibile.
Il conteggio dei voti postali contro cui si stanno scagliando i supporter di Trump è fondamentale e potrebbe rimettere, come sembra, il suo successo transitorio in Georgia, che con i 16 elettori e il 96% delle schede scrutinate, lo vede avanti con meno di 20mila voti di scarto rispetto a Biden.
Il voto Dem si è concentrato soprattutto nei maggiori centri urbani: Atlanta, Augusta e Columbus con un differenziale lungo “la linea del colore” – gli afroamericani hanno votato in massa per Biden – e le fasce d’età con gli over 65 che sono i maggiori elettori dello sfidante democratico.
In Arizona, con l’86% delle schede scrutinate, Biden ha un margine per ora abbastanza sicuro perché ha circa 70mila voti in più e un solido 50,8%, contro un 48,1% dell’attuale presidente. Anche qui i due grandi centri cittadini – Phoenix e Tucson – hanno premiato Biden, con un voto giovanile di massa per lui (più del 60%) e la catalizzazione del voto latinos, il 63% contro il 33% a Trump, prima minoranza etnica dello Stato, poco meno di un quinto della popolazione totale.
In Nevada (6 “grandi elettori”), con l’86% delle schede scrutinate vince Biden di un risicato 0,6%, in North Carolina invece Trump con il 95% di voti esaminati, con un 50,6% contro il 48,1% dello sfidante democratico, ma il voto postale tende a premiare Biden.
In Pennsylvania, che ha scrutinato poco meno dei 9/10 delle schede totali, l’attuale vantaggio di The Donald con il 50,7% potrebbe essere minacciato dal voto per corrispondenza, considerato che Biden è al 48,1%.
Come abbiamo scritto più volte, anche una vittoria di Biden non significherebbe una sconfitta di Trump: a certificarlo sono i numeri dei voti, gli equilibri nelle due Camere, la composizione dei senatori non più proni al centrismo del Gop ma più “trumpiani di Trump” – tra cui due aperti sostenitori di Qanon – e la maggioranza solida e duratura nella Corte Suprema.
Si allontana il “miraggio” di un minimum wage e del ripristino di una tassazione progressiva, visti gli equilibri. Forse cambierebbe qualcosa nella gestione della pandemia, ma dentro la cornice dei limiti strutturali del modello sanitario statunitense e delle pressioni del big business, se vincesse Biden.
Una buona parte dell’Amerika è trumpiana, lo è senz’altro quella rurale e quella “profonda”, poco istruita, maschile, ma non con una differenza sostanziale, come pronosticavano i sondaggi: profondamente ostile al movimento “Black lives matter”.
Nonostante i soldi, l’appoggio dei media mainstream e della Corporate America, Biden non ha vinto politicamente, al massimo può guadagnare le elezioni ed essere quel “Lame duck” di cui parla il “Financial Times”.
Come sempre, la sinistra, anche radicale, è caduta vittima di un miraggio senza capire le basi strutturali del “fascismo americano” come nocciolo duro di una parte consistente della working class, non solo bianca, e la natura di Stato fallito degli Stati Uniti.
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