Le previsioni che parlavano di un esito incerto, e diluito nel tempo, delle presidenziali americane sono state premiate:
tra conteggi e ricorsi il vincitore delle elezioni 2020 potrebbe essere
nominato nei prossimi giorni oppure nelle prossime settimane o,
addirittura, tra un paio di mesi. È comunque una situazione già sperimentata , quella del novembre 2020, tanto
che le borse non solo non sono crollate ma, in alcuni settori e nonostante la volatilità, si sono mostrate in sensibile crescita.
Il punto è che la natura particolare di leggi elettorali e regolamenti
di voto in USA è ancora legata non solo ad un senso delle autonomie
federali che non lascia facile sintesi a livello complessivo ma anche, e
sopratutto, alla loro concezione tipica di un periodo in cui era il
solo treno a vapore a unire la nazione. Basti pensare che
l’insediamento a gennaio, dopo il voto a novembre, del presidente degli
Stati Uniti fu istituito proprio per permettere al presidente eletto e
al suo staff di organizzarsi, negli spostamenti in treno per preparare
il nuovo establishment, in un paese dove vi sono diversi fusi orari.
Che si trattasse di un modello elettorale soggetto a difetti e conflitti di interpretazione gli americani lo sperimentarono già alla sesta presidenza, quella del 1826
quando John Quincy Adams si candidò alle elezioni presidenziali contro
Andrew Jackson: nessuno dei due candidati ottenne né la maggioranza dei
voti popolari né quella assoluta dei Grandi Elettori, come previsto dal
XII emendamento della Costituzione USA e fu la Camera dei
Rappresentanti a dover scegliere il nuovo capo dello Stato – non senza
polemiche, trattative e colpi di mano – che fu identificato in John
Quincy Adams, un candidato della grande finanza della costa Est.
Il suo successore proprio Andrew Jackson, nemico storico delle grandi
concentrazioni bancarie, fu il primo presidente vittima di un attentato
nella storia degli Stati Uniti.
Anche l’elezione del 1876
mostrò criticità simili e in un contesto di timori di ritorno della
guerra civile: Tilden contro Hayes fu una elezione che ebbe un
risultato, a livello di delegati che eleggono il presidente così
controverso che lo stesso Hayes, una volta nominato presidente, ammise di non aver mai capito di se avesse effettivamente ottenuto la maggioranza o meno.
Il Congresso fu quindi chiamato a decidere sull’elezione ed elesse il
repubblicano Hayes. Come contropartita, i democratici ottennero la
smilitarizzazione del Sud, occupato dall’esercito federale e in buona
parte sotto il comando di governi-fantoccio repubblicani. Questo accordo
viene definito “Compromesso del 1877”, considerato però alla radice
della segregazione razziale negli Stati del Sud, dove alla guida dei
governi dei singoli Stati andarono poi i democratici razzisti locali.
Un’altra grande crisi in un contesto particolare: Hayes, nel suo
discorso alla Nazione, quando fu rieletto per il mandato successivo proclamò
la sua volontà di riformare questo sistema elettorale che però, come si
vede, è ancora attivo nella sua pericolosa complessità.
Particolare,
anche se non contestata, fu l’elezione del 1888 quando il democratico
Cleveland prese, a livello nazionale, circa 90.000 voti in più del
repubblicano Harrison mentre, a livello di delegati, stravinse Harrison
con oltre 70 delegati di scarto. Molto più conosciuta, perché
storicamente più recente, fu l’elezione di Bush Jr. nel 2000 quando lo
sfidante fu Al Gore. Tutta la contestazione sull’esito elettorale si
focalizzò sul conteggio dei voti in Florida, definito all’epoca molto
controverso, e la vittoria a Bush fu assegnata solo con una sentenza della corte suprema americana del 12 dicembre 2000.
Non si esclude, per la vicenda Trump-Biden un esito simile tenendo
magari conto che la corte suprema americana, proprio recentemente, ha
cambiato “maggioranza” orientandosi verso i conservatori.
Come abbiamo visto, ai numerosi conflitti che esprime la società americana
(razziali, geografici, generazionali, di reddito e legati all’accesso
all’educazione) anche nel 2020 si sovrappone un sistema elettorale,
politico e giuridico complesso e controverso. Il risultato è questo braccio di ferro tra Trump e Biden
che mantiene la società americana in un contesto centrifugo e di
crescita delle diseguaglianze. Oltretutto, ben aldilà delle previsioni
ufficiali, Trump ha mostrato di saper mantenere una grossa base
elettorale, pronta, in ogni caso, ad essere trasmessa alla figlia Ivanka
per le elezioni successive. Del resto, come abbiamo visto con i Bush, i
Kennedy e i Clinton l’altra particolarità delle elezioni presidenziali è quella di produrre dinastie.
Così gli USA navigano nel 21esimo secolo come navigavano nei
precedenti: dinastie basate sul denaro, conflitti di potere che si
giocano anche sul filo dello stato d’eccezione, società spaccata
verticalmente e confusione sulle prospettive. Con la borsa, come sempre,
come ai tempi di Andrew Jackson, che mantiene il proprio ruolo di
sovrano in ultima istanza.
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