Il Comandante Strategico Operativo dell’esercito venezuelano, Domingo Hernandez Larez, ha annunciato sui suoi social che l’esercito venezuelano (FANB) è entrato nel territorio dell’Essequibo. Si tratta di una regione contesa con la Guyana e al centro di una crisi riaccesasi negli ultimi mesi.
L’Essequibo è un’area di 160 mila km2, ricoperta per lo più da foreste, che è contesa sin dall’epoca delle spartizioni coloniali. Il confine attuale venne definito nel 1899, senza riconoscimento di Caracas, e la diatriba è continuata anche dopo l’indipendenza della Guyana, nel 1966.
Sotto il suolo dell’Essequibo vi sono ricchi giacimenti di petrolio, oro e altri materiali preziosi, che rendono la zona di straordinaria importanza economica. Nei media occidentali, è con la rapacità del governo Maduro che viene spiegata l'azione azione venezuelana, quando in realtà è innanzitutto occidentale l’interesse per la regione.
Ovviamente Caracas non è indifferente alle ricchezze della regione, ma è la politica aggressiva di esplorazione di risorse ad aver riacceso la questione. Negli ultimi dieci anni chi ha governato a Georgetown, capitale guyanese, ha rilasciato varie concessioni per la ricerca di idrocarburi nel fondale delle acque contese tra i due paesi.
È stato valutato che tra il 2015 e oggi, con le riserve scoperte nell’Essequibo, la Guyana è entrato tra i 20 paesi più ricchi al mondo di petrolio. In prima linea nella scoperta dei nuovi giacimenti vi è stata la multinazionale statunitense ExxonMobil.
La situazione è precipitata nel settembre 2023, quando Georgetown ha autorizzato sei compagnie straniere ad iniziare attività di trivellazione in acque rivendicate da Caracas. Maduro ha indetto subito dopo un referendum consultivo rispetto a come il governo si sarebbe dovuto comportare.
Il 3 dicembre la quasi totalità degli oltre 10 milioni di votanti ha approvato l’inglobamento effettivo dell’Essequibo come 24esimo stato federale della Repubblica venezuelana. Qualche giorno fa Caracas si è infine mossa concretamente in questa direzione.
Tramite una nota pubblicata dal ministro degli Esteri Yvan Gil, il Venezuela respinge la condanna della Comunità dei Caraibi e critica la Guyana per “le continue azioni guerrafondaie, attraverso alleanze con entità militari e di intelligence come il Comando Sud Usa e la Cia”.
“Cedendo la sua sovranità all’appetito vorace della ExxonMobil”, la Guyana “promuove l’instabilità regionale”. Il governo del Nicaragua, guidato da Daniel Ortega, si è schierato con Maduro, che “difende il diritto di preservare la propria sovranità e integrità territoriale, contro gli appetiti avidi e voraci degli imperialisti della Terra”.
Il governo brasiliano ha spostato nella regione di confine del Roraima truppe ed equipaggiamenti, per controllare possibili sconfinamenti, mentre il presidente Lula si è impegnato a fare da mediatore. La volontà è quella di evitare un conflitto regionale, che ad ogni modo coinvolgerebbe tutta la comunità sudamericana e gli Stati Uniti, in varie forme.
Di sicuro, la dirigenza bolivariana di Caracas non vuole permettere il perpetrarsi della logica estrattiva del colonialismo occidentale, e può trovare diversi alleati. Entro un certo grado, anche lo stesso Lula.
La situazione va osservata da vicino, perché i risvolti potrebbero significare un’ulteriore ritirata dell’imperialismo di Washington dal proprio ‘cortile di casa’.
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