Continuano i confronti sulle prospettive di pace in Ucraina, mentre Trump e Macron si sono incontrati a Washington, con i media nostrani che hanno preso l’occasione in cui il presidente francese ha corretto quello statunitense sugli aiuti dati all’Ucraina per rinfocolare una sorta di orgoglio europeista.
Rimane solo questo a una realtà, quella UE, che continua ad agitare la guerra a tutti i costi contro la Russia, ma che nel frattempo sta facendo i conti con un inverno freddo e una profonda crisi industriale peggiorata dagli alti costi dell’energia. La contraddizione è presto servita, perché i fatti – e le necessità economiche – hanno la testa dura.
Infatti, l’istituto finlandese Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA) ha da poco pubblicato uno studio nel quale si evidenzia come, a ridosso del terzo anniversario dell’inizio dell’intervento russo in Ucraina, i paesi UE abbiano speso di più nell’acquisto di combustibili fossili russi che nell’erogazione di aiuti a Kiev.
Sono 21,9 i miliardi di euro spesi in idrocarburi russi, con una riduzione in valore rispetto all’anno precedente del 6% ma solo dell’1% in termini di volume. Per quanto le due grandezze non siano immediatamente comparabili, gli aiuti inviati all’Ucraina ammontano a 18,7 miliardi di euro.
È di certo interessante notare come, stando a un grafico redatto dello stesso CREA, le esportazioni di fonti fossili sono più o meno ancora simili in valore a quelle precedenti il febbraio del 2022. Si sono infatti consolidati i rapporti con paesi non appartenenti alla filiera euroatlantica, ma sostanzialmente anche la UE non ha potuto fare a meno dei combustibili russi.
I ricercatori del CREA puntano il dito contro la ‘flotta fantasma’ di Mosca, attraverso la quale continua ad arrivare petrolio russo sul mercato comunitario, e sottolineano come i ricavi russi del settore potrebbero crollare del 20% se le sanzioni venissero rafforzate e ne venisse aggiustato il tiro.
Ma bisogna intendersi sul fatto che, se si volesse davvero fare a meno di tutti i prodotti petroliferi che sono in un qualche modo legati al Cremlino, significherebbe tagliare rapporti da miliardi di euro con mezzo mondo. Una ‘guerra mondiale’ che è evidente Bruxelles non si può permettere, viste le condizioni attuali in cui versa, già tragiche.
La realtà è che sono gli stessi paesi UE che non possono fare a meno della Russia. Per fare un esempio, l’acquisto di gas liquefatto russo è aumentato del 7% tra il 2023 e il 2024. E il ministro dell’Ambiente italiano Pichetto Fratin ha già detto che “fatta la pace, si può tornare a comprare il gas russo”.
Nello stress test della frammentazione del mercato mondiale, la UE si è definitivamente rivelata il vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro, mostrandosi completamente inadeguata alla nuova fase della competizione globale aperta dalla seconda presidenza Trump, in cui l’Europa non è più l’alleato ad ogni costo degli States.
La guerra a oltranza contro la Russia, che viene ancora agitata sperando di trovare nell’economia bellica un volano di crescita e anche un catalizzatore politico nella centralizzazione delle decisioni, fa ormai a pugni anche con la realtà dei rapporti economici con Mosca, al di là di quel che ne dicano gli oltranzisti delle inutili sanzioni.
Il blocco del gas russo attraverso l’Ucraina ha avuto l’unico effetto di aumentare i prezzi dell’energia, che in questo freddo inverno e nel mezzo di una profonda crisi industriale si stanno ripercuotendo sempre di più sui lavoratori e sulla produzione stessa. Sarebbe il caso che le classi dirigenti europee facciano i conti con la propria piccolezza.
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