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17/02/2025

A Parigi il vertice degli eliminati

Presto, un vertice europeo per “dare una risposta Trump”! Ma in pochi, altrimenti si rischia di non arrivare a nessuna decisione dopo giorni di discussioni...

Oggi pomeriggio ci sarà insomma la finalina per il terzo e quarto posto – se vogliamo usare una metafora da campionati di calcio – mentre domani in Arabia Saudita ci saranno i due “campioni” che si giocano il primo posto, Usa e Russia.

Dopo la catastrofe della Conferenza di Monaco, dove l’“Occidente collettivo” si è spaccato come una mela tra le due sponde dell’Atlantico, i “pezzi grossi” dell’Unione Europea provano ad assumere una posizione comune che restituisce loro un ruolo nelle prossime “trattative di pace” per l’Ucraina.

Ma già il “formato” del vertice è un problema. Da Macron sono stati infatti invitati i capi di governo di Germania, Regno Unito (che però è “Brexit”), Italia, Polonia, Spagna, Paesi Bassi e Danimarca. Al tavolo, pro forma, anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio Europeo, Antònio Costa.

La presenza della Danimarca – un paese, prospero, ma certamente “non grande” – sembra proprio una sorta di patetico altolà europeo alla pretesa di Trump di “acquistare” la Groenlandia.

In secondo luogo, fa quasi ridere la presenza di Rutte, segretario generale della Nato, ovvero di una alleanza militare il cui azionista di stragrande maggioranza – gli Stati Uniti – ha appena dichiarato di non sentirsi affatto vincolato agli obblighi che il trattato istitutivo prevede.

Il resto non è migliore. Il padrone di casa, Macron, non ha una maggioranza in Parlamento ed è costretto – tramite il premier Bayrou, a cercarsene una su ogni provvedimento, barattando a volte con i fascisti di Le Pen, altre con i “socialisti” di Hollande e Glucksmann. Anatra zoppa in casa, difficile fare l’aquila in trasferta...

Il tedesco Scholz non conta in questo momento più nulla. In Germania si vota domenica prossima, è prevista la vittoria dei democristinani di destra (Friedrich Merz) con i neonazisti sponsorizzati dagli Usa al secondo posto. Sapremo perciò cosa vuol fare il “baricentro d’Europa” solo dopo la faticosa formazione di un nuovo governo (forse tra qualche mese).

Gli invasati guerrafondai polacchi, guidati ora da un “europeista” come Tusk, devono ancora metabolizzare il passaggio dell’alleato americano dall’“avanti fino alla vittoria” al “facciamo la pace subito”. Chissà che hanno in testa...

Giorgia Meloni, che si era proposta audacemente come “ponte” tra la UE e Trump, si ritrova invece come il futuribile ponte sullo Stretto dopo un terremoto devastante. Non può mostrarsi troppo trumpiana, come forse vorrebbe, ma non può neanche mollare l’ormeggio europeo dopo aver fatto di tutto per essere sdoganata (anche perché la tenuta del debito pubblico dipende dal rapporto con Bruxelles). E quindi parte per Parigi sussurrando che forse il “formato ristretto” del vertice non è quello migliore, e sbilanciandosi fino a “condividere le parole di Vance” sulla “libertà” di esprimere opinioni nazifasciste.

Ma cosa dovrebbe decidere questo summit? Bella domanda... Intanto la formazione di una “squadra di comando” continentale in grado di prender decisioni in tempo reale, evitando le lungaggini e i veti reciproci del formato a 27. Per lo meno, questa è l’intenzione dichiarata da Macron, “il summit di Parigi sarà il primo di diversi incontri informali per agire rapidamente come un attore geopolitico coeso senza farsi sopraffare dagli eventi”.

In secondo luogo deve scegliere tra prendere iniziativa per ottenere un posto al tavolo delle trattative di pace oppure spingere ancora per la guerra in solitaria, senza gli Stati Uniti. Già solo il fatto che sia possibile concepire la pace come “un rischio” la dice lunga sul grado di impazzimento delle leadership continentali. Il margine è però obiettivamente molto stretto.

È vero che la junta nazigolpista di Kiev sta soffrendo maledettamente l’improvvisa giravolta degli Usa, che addirittura non se li portano dietro in Arabia Saudita per le prime consultazioni su un futuro che li riguarda in prima persona. Ma è anche verissimo che stanno militarmente raschiando il fondo del barile, sia in fatto di armi che, soprattutto, di uomini. E non c’è generale minimamente esperto che possa pensare di “compensare” il possibile venir meno degli aiuti militari Usa (in primo luogo l’assistenza satellitare) con quelli europei.

Le alternative belliciste, per gli europei, consisterebbero – il condizionale è d’obbligo – nell’aumento vertiginoso e immediato delle spese militari (cosa che stanno effettivamente decidendo, se pur con comprensibili problemi di debito pubblico) e nell’invio di proprie “forze di peacekeeping” direttamente in Ucraina.

Due alternative del diavolo, però. L’aumento della spesa militare si può tradurre, concretamente, solo in un aumento degli acquisti di armi... americane. Perché, banalmente, i sistemi d’arma europei non sono all’altezza del conflitto in atto (dove si stanno sperimentando nuove tattiche, con un uso smodato di differenti tipi di droni e di missili guidati tramite dati satellitari) e non è realistico pensare di produrne in proprio prima di qualche anno.

Anche l’invio di militari europei sull’attuale linea del fronte, in funzione di “pacificatori”, è per un verso velleitaria (le prime stime parlano di non più di 25.000 soldati per turno, in una rotazione che ne può coinvolgere fino a 120.000), per l’altro estremamente rischiosa. La nuova amministrazione Usa – tramite Vance e il ministro della difesa Hegseth – ha già chiarito che che in quel caso non rispetterebbe l’art. 5 della Nato e quindi non interverrebbe a difendere gli “alleati”. Un imbarazzante “cavoli vostri” che non lascia molto spazio a sogni guerrieri...

Con questa realtà oggettiva davanti il vertice di Parigi non parte con buone premesse. Tutti, a cominciare da Macron, si dicono pronti a “fare di più”. Il problema è “cosa?”

Stanziare fondi per gli armamenti, certo, stralciando questa spesa dai vincoli del “patto di stabilità” europeo (ma creando egualmente la necessità di tagliare ulteriormente la spesa sociale interna, con possibili o prevedibili tensioni sociali conseguenti). Ma per acquistare quali armi e da chi? E per armare quale esercito, visto che quello europeo è di là da venire (i problemi tecnici, politici, linguistici, sono innumerevoli quanto gli standard differenti in fatto di armi disponibili)?

I nodi stanno arrivando al pettine tutti insieme per le tecnoburocrazie europee che pensavano bastasse un “pilota automatico” fatto di regole finanziarie e un “ombrello nucleare” gratuito per prosperare vita natural durante.

Lo storico asservimento strategico all’imperialismo Usa sta presentando loro, adesso, il conto. I governicchi europei, gonfi di “tecnici” e furbetti acchiappavoti, si trovano ora stretti tra una pace che non vogliono e una guerra che non possono fare.

Auguri...

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