Al convegno USB “Dall’industria all’overtourism” è emerso come nel corso degli anni ’10 Livorno e provincia abbiano visto un netto calo della forza lavoro industriale (-18%) a favore di quella nel settore turistico (+22%). Questa crescita numerica della forza lavoro, per un complessivo -1% di disoccupazione tra il 2012 e 2023, si è accompagnata però a una sensibile riduzione del potere di acquisto dei nostri territori: -8% in dodici anni per il lavoro industriale e -20%, un quinto del salario, per il lavoro del settore turistico. Il tutto entro una attuale media di salario mensile, per Livorno e provincia, di 1500 euro al mese a fronte di 1800 euro di media nazionale di un paese che, secondo il Corriere della Sera, risulta inferiore alle media europea dei salari del 15%. Quali sono i motivi di questo scarto netto tra Livorno e media italiana che pongono i nostri territori in una dimensione di downgrade economico e sociale?
Dal punto di vista della composizione della forza lavoro la spiegazione sta nel fatto che Livorno e provincia sono economie a basso valore aggiunto ovvero il valore che emerge dalla produzione e distribuzione di beni e servizi grazie ai fattori produttivi adoperati. Nell’industria in declino il valore aggiunto del prodotto è basso, nel turismo è basso quello dei servizi erogati per cui, non a caso, il salario mensile è inferiore alla media nazionale: è la condizione per realizzare profitti sui nostri territori. Quello che manca a Livorno e provincia è il lavoro ad alto valore aggiunto, il lavoro cognitivo, in grado di far lievitare il valore di prodotti, salari e profitti. E qui emerge la questione, drammatica, dei nostri territori: nel corso del decennio 2014-2024 è avvenuto un vero e proprio crollo della presenza del lavoro cognitivo a favore di quello a basso valore aggiunto e precario di cui il turismo rappresenta solo uno degli aspetti.
Tra il 2014 e il 2024, Livorno e la sua provincia hanno vissuto infatti trasformazioni significative nel mercato del lavoro, caratterizzate da una riduzione della forza lavoro cognitiva (legata a lauree e diplomi) e una crescita del lavoro precario, soprattutto nel turismo e nella gig economy. Di seguito, una scheda di questi fenomeni per inquadrare concettualmente il fenomeno.
1. Perdita di forza lavoro cognitiva
Emigrazione giovanile
- Dati indiretti: nonostante l’assenza di statistiche dirette sull’emigrazione, i dati demografici e occupazionali suggeriscono una fuga di giovani qualificati verso altre regioni o paesi. Il saldo positivo di nuove imprese (+316 nel 2024) è concentrato in settori a bassa specializzazione, mentre la creazione di società di capitale (tipiche di attività ad alto valore aggiunto) è limitata.
- Disallineamento formativo: il 48% delle imprese livornesi segnala difficoltà nel reperire profili qualificati, indicando che molti giovani formati potrebbero aver lasciato il territorio per opportunità altrove.
- Sottoutilizzo delle competenze: tra il 2021 e il 2023, è emerso un sottoutilizzo della forza lavoro, con individui che lavorano meno ore rispetto alle aspettative, spesso in ruoli fortemente incoerenti con il loro livello di istruzione.
- Esempio: laureati impiegati in posizioni non specializzate nel turismo o nel commercio, settori che nel 2024 assorbivano il 76% delle nuove assunzioni, prevalentemente in servizi a bassa qualifica.
Inattività
- Disoccupazione strutturale: l’aumento dei costi energetici (+30% previsto nel 2025) e la carenza di reali politiche attive per l’occupazione hanno aggravato l’inattività, soprattutto tra i giovani under 30, che rappresentano il 28% delle nuove assunzioni ma con contratti spesso temporanei.
2. Crescita del lavoro precario: turismo e gig economy
Turismo
- Espansione del settore: il turismo è diventato un pilastro economico, con presenze alberghiere in aumento del 3-5% nel 2024 e picchi stagionali al “tutto esaurito” . Tuttavia, il 76% delle nuove assunzioni nel settore dei servizi (dicembre 2024) riguarda ruoli stagionali o part-time, spesso senza stabilità contrattuale.
- Destagionalizzazione fallita: nonostante gli sforzi per promuovere il turismo fuori stagione, la domanda lavorativa rimane concentrata nei periodi estivi, alimentando precarietà.
Gig economy
- Impatto nazionale e locale: in Italia, il 14% della forza lavoro è coinvolto in attività gig, con settori come consegne, trasporti e turismo in prima linea. A Livorno, la crescita del turismo ha favorito l’ascesa di lavoratori autonomi senza tutele (es. rider, addetti alle pulizie stagionali).
- Esempi concreti: lavoratori senza contratti formali
nel settore alberghiero o legati a piattaforme digitali, privi di
assicurazioni e previdenza sociale.
3. Tra perdite cognitive e crescita precaria, dieci anni a confronto
4. Fattori chiave delle dinamiche
- Mancata diversificazione economica: l’economia livornese rimane legata a settori tradizionali (turismo, commercio), con investimenti molto scarsi in innovazione e alta tecnologia.
- Crisi energetica e costi: l’aumento del 30% delle bollette ha limitato la capacità delle PMI di assumere stabilmente, spingendo verso contratti flessibili.
- Scarsa formazione professionale: Il 48% delle imprese segnala un mismatch tra competenze richieste e offerte, aggravato da politiche formative inefficaci.
Conclusioni
Tra il 2014 e il 2024, Livorno ha visto un dualismo entropico nel mercato del lavoro:
riduzione della forza lavoro cognitiva (-20% stimato) e crescita del
precariato (+25%). Senza interventi strutturali, non all’orizzonte, il
rischio è un ulteriore impoverimento del capitale umano, con ricadute
negative sulla qualità della vita territoriale e il rischio di serie patologie sociali.
Emigrazione giovanile – per cui il sistema Livorno e provincia esporta
il sapere che produce senza saldo positivo – e demansionamento sono
riflessi di un tessuto produttivo non in grado di utilizzare lavoro ad
alto valore aggiunto (a causa di scarsi se non nulli investimenti).
In
sostanza, nel corso di oltre un quindicennio, il sistema Livorno ha
risposto alla grave crisi del 2008-2009, certificata come tale da Irpet,
adattandosi all’utilizzo di forza lavoro a basso valore aggiunto,
decrescente nell’industria e crescente nel turismo. In mezzo la crisi
del lavoro cognitivo, l’incapacità sistemica di impiegarla sui nostri
territori, che spiega la media di bassi salari presente a Livorno e
provincia. Considerando che la rivoluzione fatta di IA e robotica
nei processi produttivi e nei servizi aggredisce il lavoro a basso
valore aggiunto e persino quello ad alto valore, ma non in grado di
adattarvisi, Livorno si sta preparando all’economia dei prossimi dieci anni con serie criticità
nella composizione della sua forza lavoro, soprattutto nella sua
capacità di estrarre reddito sufficiente dalle proprie attività
lavorative.
Nessun commento:
Posta un commento