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25/02/2025

L’inflazione ricomincia a salire, dubbi sulle prossime mosse della BCE

La stima flash appena pubblicata dall’Eurostat conferma che la dinamica inflazionistica torna a scaldarsi. Tra ottobre e gennaio, ultimo mese su cui l’istituto europeo ha reso disponibili i dati, l’inflazione ha infatti ricominciato a salire, lentamente, ma inesorabilmente, come in molti avevano già presagito.

Il tasso annuale, all’inizio del 2025, è passato a un +2,5% dal +2,4% di dicembre 2024 per l’area euro, mentre a +2,8% da +2,7% per l’intera UE. Si tratta ancora di incrementi di piccola entità, che risentono soprattutto degli alti livelli di alcuni paesi orientali (Ungheria, Romania e Croazia).

Ma se l’Italia è tra i paesi in cui l’inflazione, anche se in rialzo, si è mantenuta sotto il +2% considerato come soglia ottimale, non significa che la situazione sia rosea. I dati preliminari diffusi dall’Istat pochi giorni fa hanno segnalato il peso crescente dei beni energetici (quelli regolamentati sono passati da +12,7% a +27,5%, quelli non regolamentati hanno ridotto la flessione da -4,2% a -3,0%).

Inoltre, sono aumentati anche i prezzi dei beni ad alta frequenza di acquisto che, oltre ai generi alimentari e alle bevande, comprendono anche prodotti non durevoli per la casa, carburanti e trasporti urbani, spese di assistenza: insomma, spese di tutti i giorni che gravano in misura maggiore sui redditi più bassi.

Massimiliano Donà, presidente dell’Unione Nazionale dei Consumatori, ha espresso preoccupazione proprio per il balzo in avanti dei costi energetici, che si ripercuoterà sulle bollette, e anche per il rialzo degli alimentari. “Per una coppia con un figlio – ha detto – la spesa aggiuntiva annua è pari a 471 euro, ma 170 euro sono soltanto per cibo e bevande e 190 per i beni alimentari, per la cura della casa e della persona”.

Il governo ha promesso un nuovo intervento per alleviare il peso delle bollette, ma sembra di essere tornati al 2022: solo misure tampone, che non affrontano il vero problema, ovvero che è l’instabilità politica alimentata in prima battuta proprio dalla UE ad aver spinto al rialzo i prezzi energetici.

La guerra a tutti i costi condotta contro la Russia, conducendo alla chiusura del corridoio del gas che passava attraverso l’Ucraina, ne è la prima causa. La BCE ha cercato di supplire con le misure previste in qualsiasi manuale neoliberista: rialzo dei tassi di interesse per raffreddare l’economia e poi progressivo ritorno alla normalità.

Ma se questo ha fatto stringere la cinghia a chi aveva un mutuo da pagare, non ha assolutamente risolto i problemi di fondo del modello europeo, che sono strutturali e legati alla logica mercantilista che gli dà forma. Lo stesso governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, ha reso in maniera molto chiara come il nodo centrale sia l’asfittica domanda interna.

Senza domanda interna, e nella frammentazione del mercato globale, le aziende non investono perché non vedono ritorni sicuri, e perciò la dinamica del credito non è ripartita quando i tassi sono stati abbassati. Ora in molti scommettono su di un altro taglio a marzo, che li dovrebbe portare al 2,50%, ma le voci contrarie cominciano a farsi più forti.

Non solo la tedesca Isabel Schnabel, che siede nel direttivo della BCE, ma anche Pierre Wunsch, governatore della Banca del Belgio, ha detto in un’intervista al Financial Times che “l’Eurozona rischia di comportarsi da ‘sonnambula’ nel percorso di taglio dei tassi e deve invece essere pronta a fermarsi”.

A maggior ragione perché il differenziale con l’altra sponda dell’Atlantico rischia di far defluire velocemente capitali verso gli Stati Uniti, dove gli alti interessi permettono guadagni maggiori. E poi perché sanno bene che gli effetti che si possono ormai raggiungere con queste misure sono minimi.

Se a marzo ci sarà quest’ulteriore taglio, mancheranno solo 0,25 punti percentuali al tasso considerato neutrale, cioè né espansivo né restrittivo della dinamica economica. Ad ogni modo, siamo probabilmente vicini a un cambio di indirizzo da parte della BCE.

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