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26/02/2025

Gli Usa verso un mondo di tagli alla spesa

La Camera degli Stati Uniti ha approvato ieri sera una struttura del bilancio federale che dovrebbe permettere di realizzare l’ampia agenda di politica interna del presidente Donald Trump.

Si tratta, complessivamente, della più grande sforbiciata alla spesa pubblica decisa da molti decenni a questa parte. Migliaia di miliardi di dollari tagli un po’ a tutte le voci di bilancio, dal Pentagono alla pur esile sanità pubblica.

Non è stata una giornata semplice. Diversi deputati repubblicani degli Stati “in bilico” – quelli in cui la maggioranza può facilmente variare da un’elezione all’altra – hanno esitato e mercanteggiato a lungo nel timore di perdere il sostegno di larghi settori del proprio elettorato. Solo una telefonata personale di Trump ad ognuno di loro, presumibilmente gonfia di promesse e soprattutto minacce, ha consentito di ridurre il numero dei dissidenti a uno soltanto, Thomas Massie del Kentucky.

Proprio quel che era necessario per far passare il testo con una maggioranza risicatissima: 217 a 215.

Non è l’unico problema, comunque. Anche il Senato nei giorni scorsi ha approvato un disegno di bilancio federale, ma molto diverso da quello passato alla Camera. Non è strano, anzi avviene quasi ogni anno, perché la struttura della spesa degli Stati Uniti comprende migliaia di capitoli, ed anche le variazioni possibili del budget dedicato ad ognuno di esse sono praticamente infinite.

Toccherà ora ai “pontieri” repubblicani far convergere i due testi verso una soluzione che possa ricevere l’approvazione in entrambi i rami del Congresso.

La direzione presa è comunque chiarissima. Gli Stati Uniti hanno ormai un debito pubblico di 36milia miliardi di dollari. Oltre il 120% rispetto al Pil yankee, ossia il 33% di quello mondiale. Una spesa che aumenta ogni anno in media di altri 2.000 miliardi per spese fatte in deficit (negli ultimi anni hanno pesato soprattutto gli “aiuti” militari e finanziari inviati ad Ucraina e Israele) e che comporta una spesa annuale per interessi di oltre 1.000 miliardi dollari. Un incubo contabile senza freni...

E per fortuna che i “rendimenti” dei bond americani – i Treasury – sono generalmente molto bassi, visto che sono considerati dai “mercati” i più sicuri al mondo. Un qualsiasi rialzo, ovviamente, si tradurrebbe in una spesa supplementare al momento incalcolabile.

La linea dell’amministrazione Trump vuole però mettere insieme obiettivi molto contraddittori, come ad esempio la riduzione delle tasse per i ricchissimi (dal 21 al 15%) e la riduzione complessiva del debito per migliaia di miliardi, che naturalmente implica una forte contrazione delle possibilità statunitense di “agire” nel mondo, oltre che sul fronte interno.

Questa situazione finanziaria è alla base del radicale cambiamento di strategia – e di ruolo – che la nuova amministrazione reazionaria sta provando ad attuare. Quella precedente, tutto sommato “storica”, prevedeva un “ordine mondiale basato su regole” comunque decise unilateralmente dagli Stati Uniti, ma fatte accettare come norma condivisa all’interno di una “comunità internazionale” rigidamente limitata al solo “Occidente collettivo”.

Era una strategia di “governo globale” molto costosa in termini militari e finanziari, perché prevedeva un esercito disperso in ogni angolo del mondo e di dimensioni tali da poter rapidamente entrare in azione come “proiezione” della forza di Washington. E in più il finanziamento di “alleati” – Stati o anche semplici movimenti – che altrimenti non sarebbero stati in piedi da soli.

La lunga storia dell’UsAid, ora improvvisamente chiusa, sta lì ad indicare che le “rivoluzioni colorate” o le “primavere arabe” avevano bisogno di uno sponsor ricco e disposto a spendere. Avete fatto caso, per esempio, al fatto che dopo il blocco di UsAid sono improvvisamente terminate le manifestazioni contro i governi giudicati “filorussi”, dalla Georgia in giù?

Quella strategia prevedeva anche un costoso “ombrello nucleare” sull’Europa, fatto di basi militari, depositi, rampe di lancio missilistiche, batterie antimissile, ecc., mentre magari l’Unione Europea poteva ambire a diventare un “concorrente” globale risparmiando proprio sulla spesa militare.

La crisi economica e finanziaria Usa, prima o poi, non poteva non comportare anche una revisione strategica delle ambizioni egemoniche. Che restano intatte, ma affidate ad altri metodi e a diverse priorità.

In fondo – si sono detti nel mondo “Maga”, gli europei non possono e non vogliono andare da nessun’altra parte, sono odiati nel mondo quanto gli Usa, che hanno sempre seguito fedelmente. Si può dunque scaricare su di loro una serie di costi (riarmo, ricostruzione futura dell’Ucraina, ecc.) e magari anche provare a risucchiare il loro risparmio privato tramite stablecoin e dazi. E concentrare le energie sul “cortile di casa” (Canada e America Latina), oltre che sul vero competitor globale, la Cina.

Il gioco è comunque rischioso. Gli immensi tagli alla spesa interna, l’attacco frontale contro l’amministrazione federale (il deep state dei complottisti Maga) e quel poco di spesa sociale apre conflittualità interne che si andranno a sommare con quelle antiche (il razzismo profondo dell’America “wasp”, la crescita della popolazione espulsa dal circuito del benessere, le riemergenti tensioni di classe, ecc). Specie se tutti quei tagli vanno a riempire le tasche dei multi-miliardari esentasse...

Dimezzare la spesa del Pentagono, come si è cominciato a fare progettando cinque tagli annuali da 80 miliardi dollari (il bilancio della difesa sfiora attualmente i 900 miliardi) significa inevitabilmente accorciare di molto la portata operativa del “braccio” militare e la “deterrenza” verso concorrenti o “nemici” fin qui costretti alla prudenza.

Ma del resto “non esistono pasti gratis”... Gli Stati Uniti hanno per decenni “vissuto al di sopra delle proprie possibilità”, sfruttando il privilegio del dollaro – unica moneta nazionale utilizzata per i pagamenti internazionali, come “riserva”, ecc. – e la potenza militare per pagare con “perline” le merci importate.

Quel gioco sta finendo da anni, lentamente. Ma ora si vanno tirando le somme.

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