Lo sciame acefalo dell’informazione occidentale, specie italiana, insegue ogni giorno l’ultima dichiarazione del politico di turno. Ma mai come in queste settimane è attirata come una mosca da ogni battuta di Donald Trump, specie se riferita all’Ucraina e al suo ormai ex capo carismatico, Zelenskij.
In questo modo sfugge completamente quale sia la strategia che l’amministrazione più reazionaria degli ultimi decenni sta impostando. Tanto meno si possono capire o studiare le motivazioni reali di un comportamento che appare altrimenti “lunatico”, contraddittorio, violento (lo è sicuramente, ma il bon ton non c’entra nulla), devastante e “immotivato”.
Ma, come dovrebbe esser noto, nella politica internazionale non ci sono “matti”, bensì solo soggetti che hanno obiettivi magari nascosti così bene da risultare incomprensibili.
Proviamo perciò a smarcarci dalla folla dei chiacchieroni e andiamo a guardare quel che avviene negli States, lontano dai riflettori, magari nel capitolo principale che supporta la potenza della superpotenza: la spesa militare.
Ci si potrebbe aspettare che, dato l’improvviso strappo prodotto nelle relazioni diplomatiche più consolidate e gli obiettivi ambiziosi dichiarati più volte (annettere il Canada, la Groenlandia, il canale di Panama, la striscia di Gaza per farne una “riviera” per riccastri, ecc.), il budget della Difesa statunitense stia decollando nello spazio siderale.
Sorpresa! Il Segretario alla Difesa Pete Hegseth – quella bestia con i tatuaggi da Ku Klux Klan, che tira asce come un ‘impedito’ – sta invece ordinando alle agenzie del Pentagono e alle forze armate di ridurre i bilanci dell’8% già nel 2025, nell’ambito di una drastica riallocazione della spesa per la difesa, al fine di affrontare le priorità del presidente Donald Trump, come la protezione del confine e la modernizzazione della forza nucleare.
Non è l’unica notizia-bomba inserita in un promemoria ottenuto da diversi media, tra cui POLITICO (una testata finanziata da UsAid, quindi comprensibilmente incazzata con Trump), il Pentagono ridurrà i comandi militari in Europa e Medio Oriente, oltre a diversi programmi da tempo considerati “critici“, mentre manterrà o aumenterà la spesa in 17 aree prioritarie, tra cui la sicurezza dei confini.
L’entità e la velocità dei tagli ammontano a circa 50 miliardi di dollari, non bruscolini, e segnano un cambiamento radicale nella politica di difesa degli Stati Uniti. Una sorpresa vera, visto che al Congresso i Repubblicani avevano pianificato di aumentare la spesa per il Pentagono come parte di un pacchetto volto a realizzare l’agenda più ampia di Trump.
Il documento – riferisce chi ne ha avuto copia – non protegge lo sviluppo di alcuni sistemi d’arma, tra cui i sottomarini della “classe Columbia”, destinati a entrare in servizio nel prossimo decennio, i sistemi spaziali, diversi velivoli con equipaggio e le missioni di truppe in varie regioni, tra cui Europa e Medio Oriente.
L’elenco completo delle priorità esentate dai tagli include invece sottomarini “classe Virginia”, sistemi senza equipaggio e il programma emergente dell’Aeronautica per caccia senza pilota, navi di superficie, sicurezza informatica, munizioni ed esplosivi, e la “difesa missilistica della patria”, probabilmente in previsione della spinta di Trump per un sistema simile all’Iron Dome israeliano.
Il senatore Chris Coons, membro di spicco della Sottocommissione per gli stanziamenti alla difesa del Senato, ha lanciato l’allarme: “Questi tagli non riguardano semplicemente ‘elementi di basso impatto’, ma influenzeranno la prontezza operativa delle truppe, la ricerca e lo sviluppo di sistemi d’arma all’avanguardia, e abbandoneranno al loro destino le nostre forze speciali, tutto perché il presidente Trump vuole finanziare il suo inutile programma di difesa missilistica ‘Star Wars’. I Repubblicani stanno tagliando la spesa per la difesa fino all’osso, e [Vladimir] Putin e Xi [Jinping] stanno festeggiando”.
Il Segretario alla Difesa ad interim, Robert Salesses, ha invece dichiarato che l’elenco dei tagli del Pentagono per finanziare le nuove priorità è stato ricavato dal progetto di bilancio dell’amministrazione Biden per l’anno fiscale 2026.
“Per raggiungere il nostro mandato dal presidente Trump, siamo guidati dalle sue priorità, tra cui la sicurezza dei confini, la costruzione dell’Iron Dome per l’America e l’eliminazione dei programmi radicali e dispendiosi di DEI (Diversità, Equità e Inclusione) e delle preferenze”, ha affermato Salesses.
Questo, comunque la si pensi, segnala un significativo cambiamento nell’uso dei fondi militari, allontanandosi dalle missioni di difesa tradizionali.
Sembra di capire che molti comandi siano destinati a subire tagli. Il Comando Indo-Pacifico degli Stati Uniti e i suoi sforzi per costruire basi nella regione sembrano essere protetti, confermando come sia la Cina il nuovo vero “nemico” degli Stati Uniti. Mentre altri comandi regionali chiave, come il Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM) e il Comando Europeo degli Stati Uniti (EUCOM), non sembrano essere esentati dai tagli.
Altri analisti, che hanno ricevuto lo stesso promemoria ma non hanno i vincoli di POLITICO, spiegano un po’ più in dettaglio la portata delle riduzioni di spesa per la difesa.
Secondo il Washington Post, per esempio, Hegseth ha ordinato ai dirigenti senior del Dipartimento della Difesa di pianificare tagli che potrebbero ridurre il bilancio del dipartimento dell’8% all’anno, ovvero circa 290 miliardi di dollari entro i prossimi cinque anni. Insomma il 40% dell’attuale budget per il Pentagono.
Va ricordato infatti che l’ex presidente Joe Biden aveva firmato una legge che autorizzava 895 miliardi di dollari di spese per la difesa per l’anno fiscale che termina il 30 settembre.
Del resto Hegseth aveva spiegato già una settimana fa che “Siamo qui oggi [nella base di Rammstein, ndr] anche per esprimere in modo diretto e inequivocabile che le dure realtà strategiche impediscono agli Usa di concentrarsi primariamente sulla sicurezza dell’Europa”, alludendo ad un ritiro delle truppe Usa che potrebbe riguardare tutti i paesi ammessi nella Nato dopo la caduta dell’Unione Sovietica.
Secondo il popolare giornale tedesco Bild, infatti, “Un funzionario dell’Europa orientale ha dichiarato al quotidiano tedesco BILD che sono in corso discussioni in merito al ritiro delle truppe statunitensi da tutti i Paesi in Europa che hanno aderito all’Alleanza NATO dopo il 1990, che si dice sia stato uno degli obiettivi dei recenti negoziati tra Russia e Stati Uniti.
Ciò includerebbe Albania, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Montenegro, Macedonia del Nord, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia.
Inoltre, si dice che siano in corso i preparativi in Italia per il possibile ritiro delle forze statunitensi dal Kosovo”.
Una vera e propria ritirata di grandi dimensioni, che – in accoppiata con il drastico ridimensionamento dei programmi UsAid (da 10.000 a 300 addetti) – mostra un profondo venir meno dell’interesse per un continente che è considerato al tempo stesso come un “alleato senza altre alternative” e un “concorrente scroccone”.
Il problema della difesa dei paesi dell’Est, insomma, deve diventare un “problema europeo”.
Perché?
La domanda a questo punto diventa imperativa: perché gli Usa stanno preparando il quasi dimezzamento della spesa militare (calcolando l’inflazione dei prossimi anni quel 40% attuale diventa certamente il 50%, se non di più) proprio mentre sfidano tutto il mondo a colpi di dazi e di diktat?
Di fatto, e in generale, gli Stati Uniti si ritrovano impossibilitati a mantenere una spesa pubblica delle dimensioni attuali, comprendendo sia i fondi per le politiche interne (già ben poco “sociali”, come si sa), sia quelle per gli interventi internazionali, cuore della loro storica politica imperialista.
Fin qui avevano “compensato” emettendo sempre nuovi titoli di Stato, ossia aumentando il debito pubblico, visto che per definizione i bond statunitensi – i Treasury – erano considerati “sicurissimi” (ovvero esenti dal rischio di fallimento).
Ma, come ormai urlato anche da ex euro-atlantici delusi, le scelte economiche dell’amministrazione Trump, nel loro insieme (dai dazi alle stablecoin, ai titoli “secolari”) rivelano l’aperta intenzione di “spostare il rischio (del debito degli Stati Uniti, ndr) dal contribuente americano ai contribuenti stranieri”, ovvero di “far pagare a noi una quota del debito americano”.
Prefigurando così una situazione, a medio termine, il cui il rifinanziamento del debito e l’incremento del deficit sarà per Washington molto più difficoltoso. La scelta di tagliare drasticamente la spesa, nel frattempo, non ha perciò alternative.
Naturalmente la scelta di quali spese eliminare deve corrispondere alla linea proposta fin qui, eliminando quel poco di “spesa sociale” – tipo il programma Medicaid (un pallido surrogato di “sanità pubblica”) – e incrementando i fondi per “difendere le frontiere” con il Messico.
Ma, come si vede, sotto le forbici è destinata a rimanere anche gran parte – la metà, in cinque anni – della spesa militare, concentrando ciò che resta sul fronte asiatico, in funzione anti-cinese.
Alcuni analisti si spingono a dire che, per riuscire, questa strategia ha bisogno di un accordo con la Russia e la stessa Cina perché anche loro riducano la spesa militare (proprio mentre si impone all’Europa di aumentarla...). Ma non è affatto detto che i “nemici strategici” siano disponibili.
Un problema serio, comunque, potrebbe nascere anche all’interno degli stessi Usa, visto che al Congresso non mancano i Repubblicani abituati a difendere le spese militari che, in fondo, hanno “fatto grande l’America”. Ma, come si dice, anche loro dovranno fare i conti con la realtà attuale, profondamente diversa.
La coperta economica è insomma diventata molto corta anche per Washington. Il “declino” dell’egemonia globale ha solide basi strutturali. Il resto, come l’ideologia, segue...
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