La situazione internazionale sta cambiando ad una velocità tale che nel tempo necessario a scrivere un articolo si accumulano notizie sufficienti a buttar via tutto e scriverne un altro. Quando questo uragano si fermerà avremo davanti un paesaggio piuttosto diverso e solo allora tutti saranno costretti a riconoscerlo.
Alcune linee fondamentali sono però sufficientemente chiare per chi non si è mai fatto catturare dalle “spiegazioni” della propaganda liberaldemocratica euroatlantica o da quelle “nazionaliste servili”.
Ma andiamo con ordine.
I fatti
1) Alti funzionari dell’amministrazione Trump si stanno recando in Arabia Saudita per avviare colloqui di pace con i negoziatori russi. Le prime voci da Washington davano per certa anche la partecipazione di una delegazione ucraina (complicato fare trattative di pace senza uno dei due belligeranti...), ma un funzionario ucraino ha dichiarato che Kyiv non è stata informata e non prevede, per il momento, di partecipare.
Il compito della delegazione Usa è ancora quello di preparare il terreno per l’inizio delle trattative vere e proprie, quando il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz si unirà al segretario di Stato Marco Rubio e all’inviato presidenziale per il Medio Oriente Steve Witkoff, nei prossimi giorni. L’inviato Usa alla Conferenza di Monaco, Keith Kellogg, ha confermato che gli Stati Uniti stanno conducendo un approccio “a doppio binario” con Russia e Ucraina e stanno avendo colloqui separati con Mosca e Kiev.
Secondo il britannico Guardian, un incontro in Arabia Saudita tra i presidenti di Usa e Russia, Donald Trump e Vladimir Putin, potrebbe svolgersi già entro la fine del mese.
È stato detto in tutte le lingue che non è prevista alcuna partecipazione degli “alleati” europei, che restano così tagliati fuori dalla possibile soluzione di un conflitto che da tre anni si svolge alle porte di casa e in cui hanno stupidamente gettato risorse finanziarie, armamenti e persino qualche centinaio di “consiglieri” rapidamente declassati post mortem a “contractor” o mercenari.
Lo stesso Kellogg ha peraltro confermato che l’Europa potrebbe “non essere fisicamente presente” al tavolo dei colloqui di pace, ma che “gli interessi europei saranno presi in considerazione”. Ovvero “rappresentati” dagli Usa che contemporaneamente hanno preso una lunga serie di decisioni – dai dazi all’uso delle stablecoin – miranti a traferire capitali dall’Europa a Washington.
2) Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha convocato a Parigi un vertice europeo a livello di capi di Stato e di governo, alla luce di quanto emerso alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco sul tema del sostegno all’Ucraina. Ma c’è grande confusione e forse bisognerebbe usare il condizionale.
Nel riferirlo alla stampa, a margine dei lavori del summit, il ministro degli Esteri polacco, Radosaw Sikorski, aveva affermato che il vertice era previsto per oggi. “A me risulta che sia lunedì”, ha detto invece il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani.
Se persino chi dovrebbe partecipare da protagonista non è sicuro neanche della data, capirete che la solidità dell’iniziativa non è al massimo...
Cosa indicano i fatti
Un alto diplomatico dell’UE presente alla COnferenza di Monaco, pretendendo l’anonimato, ha dichiarato a diversi media: “Ora abbiamo un’alleanza tra un presidente russo che vuole distruggere l’Europa e un presidente americano che vuole anch'esso distruggere l’Europa”. Per concludere infine con un lapidario “L’alleanza transatlantica è finita”.
La Nato, insomma, sarebbe sul punto di sciogliersi. Come del resto sia il vicepresidente Usa, J.D.Vance, sia il bruto nominato ministro della difesa, Peter Hegseth, avevano detto in termini più “tecnici” come “Non ci deve essere una Minsk III in Ucraina. Robuste garanzie di sicurezza devono essere date per far sì che non inizi di nuovo una guerra, ma devono essere assicurate da truppe europee e non europee e se ci sarà una missione di mantenimento della pace non deve essere una missione della Nato e non ci deve essere la copertura dell’articolo 5”.
Un’alleanza militare che non prevede assistenza reciproca (l’art. 5, appunto) non è più un’alleanza militare, ma un insieme che si accorda oppure no a seconda delle occasioni e degli interessi dei singoli paesi.
In particolare questo “disimpegno” Usa elimina la principale “garanzia di sicurezza” entro cui l’Europa occidentale – e a maggior ragione i paesi ex Patto di Varsavia o addirittura ex-URSS, come i baltici – aveva vissuto nel secondo dopoguerra: l’ombrello nucleare statunitense.
La possibile disgregazione della Nato, in effetti, è un cambiamento enorme per questa parte del mondo. E che sia “il problema” da affrontare è ammesso anche dai più fanatici sostenitori dell’alleanza.
Stamattina, per esempio, il Corriere affida all’incrollabile Rampini – che è anche cittadino statunitense, ma bideniano – il pensoso pezzo intitolato in modo un po’ criptico (sulla versione cartacea) “Il pugno di Vance all’Occidente”. Ma che nella versione online diventa un chiarissimo “È solo una crisi o la fine dell’amicizia tra Usa ed Europa?”. La velocità del cambiamento sorprende anche l’establishment, pare...
Il pezzo è come al solito deludente, un compitino tutto ideologico sul “collante politico” tra le due sponde dell’Atlantico che viene meno, e parecchie secchiate di astio sul “bifolco dell’Ohio” (Vance, appunto) venuto a sputare in faccia agli europei.
Il ruolo dell’Europa
Al di là di queste tristi manifestazioni di incompetenza, il cambiamento in atto è di quelli strategici, che cambiano il corso della Storia verso esiti ed equilibri imprevisti e tuttora imprevedibili.
Tutti noi abbiamo infatti vissuti dentro un sistema-mondo in cui l’Europa – il continente in cui ci è capitato di nascere – era la posta in gioco nello scontro tra capitalismo ad egemonia statunitense e socialismo in versione sovietica. Anche la caduta del Muro e dell’URSS, pur quasi cancellando di fatto l’esistenza di forze antagoniste all’imperialismo, non avevano modificato di molto la forma mentis delle classi dirigenti occidentali.
La Russia, anche sotto il controllo di oligarchi che investivano poi a Londra o in Germania, anche quando Putin veniva invitato al G8 (Genova 2001), restava quel mondo incomprensibile condannato a rappresentare una “minaccia esistenziale” per il mondo euro-atlantico.
Lo prova tutta la politica estera imperialista dagli anni ‘90 al 2022, con la continua espansione ad Est della Nato e l’allargamento dell’Unione Europea a praticamente tutti i paesi “ex socialisti”, con due sole eccezioni: Bielorussia e Ucraina. Nella prima la “rivoluzione arancione” (una specialità esclusiva della appena defunta UsAid) ha fallito il colpo; nella seconda è riuscita, con le conseguenze che sappiamo.
Una politica insensata, soprattutto per gli europei, che pure prosperavano grazie a due fattori politici che ne ampliavano la “competitività” produttiva: il risparmio sulle spese militari dovuto all’“ombrello Usa” e le forniture energetiche a basso costo provenienti proprio dalla Russia.
Ma una politica insensata anche per gli yankee, che intanto vedevano crescere altri concorrenti globali, economicamente molto più potenti e “pesanti” di Mosca, come la Cina e, in prospettiva, l’India (insieme, 3 miliardi di persone). Oggi peraltro protagonisti dei Brics+ e che lavorano, tra l’altro, allo sganciamento dal dollaro Usa.
A Washington, insomma, sapevano bene che la Russia di Putin non costituiva più un pericolo egemonico. Troppo debole economicamente, ma anche troppo forte per via di quell’arsenale nucleare fatto di migliaia di testate.
La tentazione di farla definitivamente fuori facendo combattere una guerra convenzionale a dei nazisti stupidi, ma determinati, come il vertice ucraino, si è materializzata con la presidenza di Joe “Sleep” Biden. Ma a distanza di tre anni è chiaro che si tratta di un fallimento clamoroso e forse fatale.
La “svolta” di Trump non è un “merito” o una “colpa” del miliardario truffatore. Da materialisti sappiamo che la Storia non è fatta dai singoli personaggi, ma da forze e interessi oggettivi che si impongono “creando” i personaggi destinati a realizzare i cambiamenti “necessari”.
L’America in declino aveva già inanellato una lunga serie di segnali di debolezza, con il disordinato ritiro dall’Afghanistan in primo piano. La narrazione tossica sulle “democrazie” contrapposte alle “autocrazie” non copriva già più la differenza “tra il dire e il fare”. L’appoggio al genocidio a Gaza ha finito di chiudere il cerchio.
L’America attuale prova a ristrutturarsi per non perire. E lo fa dando spazio al revanscismo reazionario più rozzo e “suprematista”. Un iperliberismo che divora il suo stesso Stato tagliandone funzioni essenziali, comprese quelle militari non più “strategiche” (già annunciato il ritiro di parte delle truppe di stanza in Europa) e lasciando ai “locali” il compito di difendersi da – molto eventuali – minacce.
Il “modello mercantilista e ordoliberista” europeo, tutto orientato alle esportazioni grazie al blocco salariale ultraventennale, è finito così nella tenaglia della “fuga” Usa mentre, per avallarne le scelte folli, si era preclusa la possibilità di mantenere le forniture energetiche e gli sbocchi commerciali verso Russia e Cina. Cornuti e mazziati, come capita sempre ai servi che si credono furbi...
Se ne è accorto persino Mario Draghi, pare, che ha consegnato al Financial Times la solita sentenza ex post: «L’Europa ha posto con successo i dazi su se stessa». Un critica serrata degli errori commessi dall’Unione Europea, ovvero da lui stesso in qualità di presidente della Bce e poi presidente del Consiglio in Italia. Ma senza alcuna autocritica.
Di questa pasta è fatto l’establishment “europeista” che si avvia a seguire Biden verso il dimenticatoio...
Alle forze politiche e sociali popolari tocca innanzitutto capire che questo “doppio colpo” destabilizzante – la crisi dell’alleanza euro-atlantica e la crisi della UE – offre uno spazio strategico prima sostanzialmente precluso. Se la struttura del comando si incrina o si rompe, si può pensare quel che prima era impensabile.
Non basta però aver voglia e capacità di rappresentare gli interessi di classe. È ora di elaborare ed esplicitare un’idea di cambiamento radicale che sia all’altezza dei tempi. Comprensibile per i molti che stanno vivendo la Storia in silenzio, in attesa di cambiamenti che – se non li vedranno protagonisti – li condanneranno ad uno sfruttamento ancora più intenso.
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