di Chiara Cruciati
L’ampio fronte militare
tra Siria e Iraq sembra diventato una guerra unica. O meglio, lo è da
tempo: il progetto transnazionale dello Stato Islamico ha avuto fin da
subito come obiettivo il dissolvimento dei confini per la creazione di
un califfato a cavallo dei due paesi. L’ingombrante interferenza
regionale ha fatto il resto: di certo l’accordo appena siglato tra
Teheran e Occidente avrà degli effetti politici e militari nella lotta
all’Isis.
Perché sul terreno, sia in Iraq che in Siria, a condurre il
gioco è l’asse sciita guidato dall’Iran: a Baghdad attraverso i 20mila
miliziani sciiti impegnati nella ripresa della provincia di Anbar
(dopo la vittoria a Tikrit) e attraverso la presenza di comandanti
militari delle Guardie Rivoluzionarie che gestiscono le truppe sul
terreno; a Damasco attraverso l’esercito governativo del
presidente Assad, i combattenti libanesi di Hezbollah e – anche qui –
uomini mandati direttamente da Teheran.
In tale contesto si sta svolgendo la battaglia per la riconquista
della provincia sunnita di Anbar, del suo capoluogo Ramadi e della
strategica città di Fallujah. Una provincia fondamentale, sia perché a
maggioranza sunnita e da anni focolaio delle ribellioni sunnite contro
il nuovo governo sciita, ma anche perché confinante con Siria, Giordania
e Arabia Saudita e a pochi chilometri dal cuore del paese, la capitale
Baghdad.
Il governo iracheno ha lanciato l’operazione lunedì: gli
scontri sono in corso, ieri l’esercito iracheno e le milizie sciite
hanno attaccato da più posizioni i miliziani dell’Isis intorno Ramadi. “L’esercito e le Hashed al-Shaabi [le unità popolari volontarie sciite, ndr]
stanno attaccando lo Stato Islamico con missili e mortai da est, sud e
ovest di Ramadi”, ha detto ieri un ufficiale governativo.
In realtà è ormai da un anno che Baghdad tenta di riprendersi la
provincia, parte della quale era stata occupata a dicembre del 2013, sei
mesi prima il lancio dell’offensiva islamista su Mosul e sul resto
dell’Iraq (oggi l’Isis controllerebbe l’85% del suo territorio). La
battaglia, da allora, è stata continua, con avanzamenti e ritirate. Fino
alla metà di maggio di quest’anno quando Ramadi è definitivamente
caduta in mano all’Isis, a seguito del diktat di Washington che aveva
imposto al governo iracheno di ritirare dalla prima linea le milizie
sciite legate all’Iran.
Ora sono di nuovo in prima fila, nella nuova operazione per Anbar. L’obiettivo
– attraverso gli attacchi all’Isis a Ramadi – è isolare Fallujah, a
metà strada tra il capoluogo e Baghdad e impedire così l’arrivo nella
città di aiuti e rinforzi agli islamisti là asserragliati e
pericolosamente vicini alla capitale. Secondo il portavoce del
Ministero della Difesa iracheno, Yahia Rasoul, l’attacco su tre
direttrici a Ramadi e l’accerchiamento di Fallujah hanno permesso
l’apertura di un corridoio per la fuga dei civili, per metterli in salvo
da futuri scontri tra soldati e miliziani islamisti.
Non solo: secondo il vice presidente della provincia di Anbar, Faleh
al-Issawi, avrebbero provocato anche la fuga dei leader stranieri
dell’Isis dalla città di Fallujah: “Fallujah è completamente assediata e
isolata dal resto di Anbar – ha detto in conferenza stampa – Tutte le
linee per i rinforzi sono state tagliate e i leader stranieri dello
Stato islamico sono fuggiti. Quelli locali hanno preso contatti [con
Baghdad] chiedendo l’amnistia”.
In Siria, Assad vince e perde
Dall’altra parte del confine, anche l’esercito governativo siriano combatte su diversi fronti. A
nord est l’Isis è riuscito a guadagnare ulteriore territorio nella
città di Hasakah, nel cosiddetto triangolo tra Turchia, Siria e Iraq.
Sono ormai tre settimane che vanno avanti gli scontri tra Damasco e
Isis, violenze che hanno provocato almeno 170 vittime civili e 100 morti
tra i soldati siriani: alla fine di giugno gli islamisti hanno preso
d’assalto la città (prima controllata per metà da Assad e per metà dalle
forze di difesa kurde delle Ypg) occupando due quartieri a sud. Da
allora, l’Isis si è allargato prendendo altri quartieri a sud, al-Zuhur,
Ghrawayran e l’entrata meridionale alla città.
Sull’altro fronte, quello al confine con il Libano, è invece
Damasco insieme a Hezbollah a prevalere. Ieri l’esercito di Assad e i
combattenti libanesi hanno occupato un’altra zona residenziale della
città siriana di Zabadani, al confine con il Libano, dalla
scorsa settimana target congiunto sciita perché strategica: sulla
direttrice dell’autostrada Beirut-Damasco, garantisce il controllo della
frontiera e della regione di Qalamoun, impedendo così agli islamisti
di strabordare in Libano.
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