di Michele Paris
Il Dipartimento
della Difesa americano ha pubblicato questa settimana la nuova
Strategia Militare per fronteggiare le “minacce” presenti e future con
cui gli Stati Uniti sono chiamati a confrontarsi su scala globale. Il
documento di 24 pagine è stato redatto dal capo di Stato Maggiore
uscente, generale Martin Dempsey, e prospetta il possibile utilizzo di
tutto il potenziale distruttivo a disposizione dei militari USA per
contrastare qualsiasi resistenza alla propria egemonia nel pianeta.
Già
dall’introduzione al rapporto appare evidente il cambiamento di
prospettiva adottato dal Pentagono e dalla classe dirigente americana,
dopo oltre un decennio speso a propagandare l’integralismo islamico come
principale nemico da combattere. Il documento strategico diffuso
mercoledì, pur continuando a riconoscere la minaccia rappresentata dalle
cosiddette “organizzazioni estremiste violente”, individua rischi
ancora maggiori derivanti da “stati potenzialmente avversari”.
Il
rapporto propone un’assurda suddivisione del mondo tra quegli stati,
che costituiscono la maggioranza, “sostenitori delle istituzioni
costituite e dei processi dedicati alla prevenzione dei conflitti, che
rispettano la sovranità e promuovono i diritti umani”, e gli altri che,
al contrario, “cercano di modificare aspetti chiave dell’ordine
internazionale e agiscono in modo tale da minacciare gli interessi della
nostra sicurezza nazionale”.
Contrariamente a quanto
suggeriscono la logica e la realtà storica, gli Stati Uniti si
auto-includono nella prima delle due categorie. Washington calpesta
infatti regolarmente ogni norma del diritto internazionale, viola la
sovranità di vari paesi e agisce nel totale disprezzo dei diritti umani
se ciò è necessario per il perseguimento dei propri interessi.
Anche
se non sono impegnati in occupazioni o guerre, a finire nella seconda
categoria sono invece altri paesi, come Russia, Iran, Corea del Nord e
Cina, il cui crimine è soltanto quello di non piegarsi al volere e agli
interessi della prima potenza mondiale.
Leggendo le colpe di cui
si sarebbero macchiati questi quattro paesi è impossibile mancare
l’ironia involontaria del Pentagono, il quale assegna a ognuno dei suoi
principali rivali comportamenti illegali o da condannare attribuibili in
misura ben maggiore proprio agli Stati Uniti.
Così, ad esempio, i
vertici militari di un paese che ha operato un lunghissimo elenco di
invasioni illegali, sostengono che la Russia “non rispetta la sovranità
dei suoi vicini ed è disposta a ricorrere all’uso della forza per
raggiungere i propri obiettivi”. Washington, ovvero di gran lunga la
prima forza destabilizzatrice del pianeta, condanna inoltre Mosca per
avere “compromesso la sicurezza regionale” e “violato numerosi trattati…
internazionali”.
Il paese che detiene il maggior numero di armi
nucleari e da tre decenni utilizza il fondamentalismo jihadista come
prolungamento della propria politica estera critica poi l’Iran per avere
condotto ricerche su armi atomiche in violazione di risoluzioni ONU e
sponsorizzato gruppi terroristi in vari paesi.
L’accusa di avere
lavorato alla costruzione di ordigni nucleari è rivolta anche alla Corea
del Nord, paese costantemente sotto la minaccia militare americana,
mentre in relazione alla Cina l’approccio del Pentagono è parzialmente
diverso. Nonostante gli USA sostengano di incoraggiarne la crescita e di
volerne fare un “partner per la sicurezza internazionale”, la Cina è
colpevole di creare tensioni in Estremo Oriente. Il riferimento
americano è in particolare alle rivendicazioni territoriali nel Mar
Cinese Meridionale, dove la stessa amministrazione Obama sta manovrando
con vari paesi alleati per alzare il livello dello scontro con Pechino.
Il
documento strategico del Pentagono ammette in ogni caso che nessuno di
questi quattro paesi intende cercare un conflitto militare con gli Stati
Uniti o i loro alleati, anche se “ognuno di essi pone serie
preoccupazioni per la sicurezza” della comunità internazionale.
Ben
lontani dal nutrire inquietudini per la stabilità della comunità
internazionale, gli USA temono in realtà per la propria declinante
superiorità militare ed economica. Più avanti, il documento del
Pentagono asserisce che “gli Stati Uniti sono il paese più potente del
pianeta, godono di vantaggi unici nell’ambito della tecnologia,
dell’energia, delle alleanze e in quello demografico”. Oggi, però,
“questi vantaggi sono minacciati”.
In sostanza, per gli Stati
Uniti la stabilità, il rispetto della democrazia, dei diritti umani e
del diritto internazionale sono concetti che servono a garantire un
ordine planetario in cui è Washington a dettare le regole, mentre
qualsiasi entità che non intende sottomettersi a esso viene identificata
come una “minaccia” alla sicurezza mondiale e quindi esposta al rischio
di trasformarsi in un bersaglio militare.
Sempre da questa
prospettiva deriva poi la strategia delle alleanze, perseguita in
funzione di accerchiamento di paesi come Cina e Russia. Nell’area
“Asia-Pacifico”, in particolare, il Pentagono sanziona la cosiddetta
“svolta” asiatica promossa da Obama, fondata tra l’altro sul
ridispiegamento qui della maggior parte delle forze navali americane e
sul “rafforzamento” dell’alleanza con Australia, Giappone, Corea del
Sud, Filippine e Thailandia, ma anche sulla partnership con Nuova
Zelanda, Singapore, Indonesia, Malaysia, Vietnam e Bangladesh e sul
consolidamento delle relazioni con l’India.
Scenari relativamente
secondari, almeno in prospettiva, sembrano dover diventare quelli di
Europa e Medio Oriente. Nel primo caso, comunque, il pilastro della
strategia USA rimane “il fermo impegno nei confronti degli alleati
NATO”, alla luce della “recente aggressione della Russia” contro
l’Ucraina. In Medio Oriente, invece, il riferimento è sempre Israele e
la garanzia della sua superiorità militare sui vicini. “Partner vitali”
restano anche varie dittature arabe, come Arabia Saudita, Bahrain,
Emirati Arabi e Qatar.
Per il Pentagono, ad ogni modo, “a
tutt’oggi le probabilità di un coinvolgimento degli Stati Uniti in una
guerra con un’altra potenza planetaria sono poche sebbene in crescita”.
Se ciò dovesse però accadere, “le conseguenze sarebbero immense”. Gli
USA sono cioè pronti a scatenare anche una guerra nucleare per cercare
di annientare i propri rivali.
Nel
documento si legge infatti che, “in caso di attacco, le forze armate
americane risponderebbero infliggendo un tale danno da costringere
l’avversario a cessare le ostilità o impedire un’ulteriore aggressione”.
Per questa ragione, e forse anche per il motivo non detto che paesi
come Cina e soprattutto Russia dispongono sempre più di capacità
belliche in grado di competere con quelle americane, “una guerra contro
un avversario potente richiederebbe la mobilitazione totale di tutti gli
strumenti della sicurezza nazionale”.
La Strategia Militare
elaborata dal Pentagono quest’anno, a fronte dell’ostentazione di forza
in essa contenuta, conferma l’inesorabile declino della posizione
internazionale degli Stati Uniti, minacciata precisamente dalla crescita
di alcuni dei paesi individuati come “pericoli” per la sicurezza
globale.
La decadenza dell’impero, riflesso inevitabile della
perdita di influenza del capitalismo a stelle e strisce, non comporta
tuttavia un minore rischio di guerra nelle aree più calde del pianeta.
Anzi, come conferma il documento appena diffuso dal Dipartimento della
Difesa, gli USA sono pronti a mettere a repentaglio la stessa esistenza
dell’umanità per cercare di difendere la propria posizione dominante in
un mondo che tende sempre più al multipolarismo.
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