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04/04/2016

Caso Regeni: è il momento di tirare le somme

Dopo la conferenza stampa dei giorni scorsi dei genitori di Giulio Regeni, martedì 5 dovrebbero giungere a Roma i rappresentanti della polizia egiziana che promettono di portare finalmente la verità sul caso Regeni. Non sappiamo se fanno sul serio (ne dubitiamo) o verranno a raccontare chissà quale altra bufala (come fortemente sospettiamo). Di una cosa siamo sicuri: questa volta bisogna passare ai fatti.

Ragioniamo: lo stato italiano, anche per un minimo di rispetto di sé stesso, non può incassare l’assassinio di Stato di un suo cittadino senza reagire adeguatamente. Non può farlo, prima di tutto per rispetto dei diritti dei suoi cittadini cui deve giustizia e, di debiti di giustizia per i propri delitti di Stato, la Repubblica ne ha già troppi almeno per quelli attribuibili ad altri Stati, magari, non allunghiamo la lista.

Perché questo è un delitto di Stato (non essendoci alcuna altra ipotesi plausibile) e lo conferma l’impossibilità di dare spiegazioni e la serie di spudorate menzogne di questi due mesi che aggravano l’offesa.

In secondo luogo è una questione di dignità: non siamo la Repubblica delle banane e non è ammissibile subire un affronto del genere senza rispondere al livello che le nostre forze ci consentono e che la durezza del caso richiede. Il governo egiziano non può pensare di comportarsi come un branco di selvaggi criminali (quale è, peraltro) senza subirne le conseguenze.

Se il nostro governo non avesse preso la cosa sotto gamba, sin dal primo momento sarebbe ricorso ai metodi usuali nel mondo dell’intelligence: i nostri servizi avrebbero prelevato qualche agente della Mukhabarat a Roma (e ce ne sono) e fatto sapere che l’avrebbe rilasciato solo quando Regeni fosse stato liberato. E tutto in silenzio perfetto. Illegale? Si, ma questa sarebbe stata una mossa in difesa e ci sono i casi in cui il segreto di Stato va usato. Se Regeni fosse stato un uomo dei servizi segreti italiani, questa prassi sarebbe scattata automaticamente, siccome era solo un comune cittadini lo si è lasciato andare al macello.

Ora, però, è il momento di far qualcosa e bisogna fare male seriamente all’Egitto. Ovviamente non ce l’ho affatto con il popolo egiziano, che apprezzo e verso il quale nutro sentimenti fraterni, anche perché è il primo a subire questo regime che ha già fatto rapire e scomparire 300 suoi cittadini. Ce l’ho con il regime in questione. E, dunque, se l’ultimo round non dovesse essere pienamente soddisfacente sul piano della verità, occorrerà:

1) richiamare l’ambasciatore italiano al Cairo;

2) invitare tutti gli italiani lì presenti a rimpatriare immediatamente, dato il rischio di rappresaglie;

3) inserire l’Egitto nella black list dei paesi pericolosi, in cui è sconsigliato o proibito ai propri cittadini recarsi, sia per turismo che altro;

4) porre la questione in sede Ue chiedendo una nota di protesta dell’Unione;

5) proporre all’Unione ed a tutti i suoi paesi di inserire l’Egitto nella summenzionata blacklist;

6) porre la questione della sistematica violazione dei diritti umani in Egitto in tutte le sedi internazionali, a cominciare dall’Onu, chiedendo sanzioni (e questo andrebbe fatto anche a prescindere dal caso Regeni);

7) sostenere con l’azione diplomatica e di intelligence l’opposizione al regime e favorirne con ogni mezzo la destabilizzazione.

Ovviamente, ad ogni ulteriore azione offensiva dell’Egitto occorrerebbe rispondere a livello corrispondente.

Sono sempre stato contrario (e lo sono ancora oggi, sia chiaro) ad ogni atto imperialistico contro i paesi “deboli” dell’ex terzo mondo, ma questo non significa che si debba subire qualsiasi insulto senza reagire adeguatamente. Ripeto: adeguatamente.

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