Dopo la conferenza stampa dei giorni scorsi dei genitori di Giulio Regeni,
martedì 5 dovrebbero giungere a Roma i rappresentanti della polizia
egiziana che promettono di portare finalmente la verità sul caso Regeni.
Non sappiamo se fanno sul serio (ne dubitiamo) o verranno a raccontare
chissà quale altra bufala (come fortemente sospettiamo). Di una cosa
siamo sicuri: questa volta bisogna passare ai fatti.
Ragioniamo: lo stato italiano, anche per
un minimo di rispetto di sé stesso, non può incassare l’assassinio di
Stato di un suo cittadino senza reagire adeguatamente. Non può farlo,
prima di tutto per rispetto dei diritti dei suoi cittadini cui deve
giustizia e, di debiti di giustizia per i propri delitti di Stato, la
Repubblica ne ha già troppi almeno per quelli attribuibili ad altri
Stati, magari, non allunghiamo la lista.
Perché questo è un delitto di Stato
(non essendoci alcuna altra ipotesi plausibile) e lo conferma
l’impossibilità di dare spiegazioni e la serie di spudorate menzogne di
questi due mesi che aggravano l’offesa.
In secondo luogo è una questione di dignità:
non siamo la Repubblica delle banane e non è ammissibile subire un
affronto del genere senza rispondere al livello che le nostre forze ci
consentono e che la durezza del caso richiede. Il governo egiziano
non può pensare di comportarsi come un branco di selvaggi criminali
(quale è, peraltro) senza subirne le conseguenze.
Se il nostro governo non avesse preso la
cosa sotto gamba, sin dal primo momento sarebbe ricorso ai metodi
usuali nel mondo dell’intelligence: i nostri servizi avrebbero prelevato
qualche agente della Mukhabarat a Roma (e ce ne sono) e fatto sapere
che l’avrebbe rilasciato solo quando Regeni fosse stato liberato. E
tutto in silenzio perfetto. Illegale? Si, ma questa sarebbe stata una
mossa in difesa e ci sono i casi in cui il segreto di Stato va usato. Se
Regeni fosse stato un uomo dei servizi segreti italiani, questa prassi
sarebbe scattata automaticamente, siccome era solo un comune cittadini
lo si è lasciato andare al macello.
Ora, però, è il momento di far qualcosa e
bisogna fare male seriamente all’Egitto. Ovviamente non ce l’ho affatto
con il popolo egiziano, che apprezzo e verso il quale nutro sentimenti
fraterni, anche perché è il primo a subire questo regime che ha già
fatto rapire e scomparire 300 suoi cittadini.
Ce l’ho con il regime in questione. E, dunque, se l’ultimo round non
dovesse essere pienamente soddisfacente sul piano della verità,
occorrerà:
1) richiamare l’ambasciatore italiano al Cairo;
2) invitare tutti gli italiani lì presenti a rimpatriare immediatamente, dato il rischio di rappresaglie;
3) inserire l’Egitto nella black list dei paesi pericolosi, in cui è sconsigliato o proibito ai propri cittadini recarsi, sia per turismo che altro;
4) porre la questione in sede Ue chiedendo una nota di protesta dell’Unione;
5) proporre all’Unione ed a tutti i suoi paesi di inserire l’Egitto nella summenzionata blacklist;
6) porre la questione della sistematica violazione dei diritti umani in Egitto in tutte le sedi internazionali, a cominciare dall’Onu, chiedendo sanzioni (e questo andrebbe fatto anche a prescindere dal caso Regeni);
7) sostenere con l’azione diplomatica e di intelligence l’opposizione al regime e favorirne con ogni mezzo la destabilizzazione.
Ovviamente, ad ogni ulteriore azione offensiva dell’Egitto occorrerebbe rispondere a livello corrispondente.
Sono sempre stato contrario (e lo sono ancora oggi, sia chiaro) ad ogni atto imperialistico contro i paesi “deboli” dell’ex terzo mondo, ma questo non significa che si debba subire qualsiasi insulto senza reagire adeguatamente. Ripeto: adeguatamente.
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