Il rimpasto di governo in Iraq promesso dal premier al-Abadi e
chiesto da parte dei partiti politici del paese è stato realizzato. Il
parlamento è chiamato entro sabato prossimo a votare o meno la fiducia o
a proporre cambiamenti dei candidati ministri. Tra loro un ministro che
piace molto all’Occidente e alle istituzioni finanziarie: Ali
Allawi, sciita educato negli Stati Uniti, è stato nominato ministro
delle Finanze, facendo felice così il Fondo Monetario Internazionale che
ha in ballo un consistente prestito da 15 miliardi di dollari alle
casse irachene.
Le pressioni sul primo ministro si erano fatte molto più forti nel
corso delle ultime settimane, soprattutto da parte del blocco sadrista
al-Ahrar che con sit-in e proteste ha chiesto la formazione di un nuovo
esecutivo di tecnici, incaricato di portare avanti le riforme
anti-corruzione che da agosto languono in parlamento.
La lista presentata da al-Abadi è composta da 16 ministri, 6 in meno
del precedente governo. Tranne i titolari di Interni e Difesa, gli altri
cambiano tutti. C’è chi plaude e chi oppone resistenza. Il
religioso sciita Moqtada al-Sadr ha interrotto il sit-in nella Zona
Verde di Baghdad dopo aver ottenuto quanto richiesto, definito il
rimpasto “coraggioso” e promesso di votare sì alla fiducia. Una
vittoria significativa quella incassata dal movimento sadrista che,
nonostante una presenza limitata in parlamento (34 seggi su 328), fuori
gode di un consenso sempre più ampio, dimostrato dalla partecipazione
alle manifestazioni di protesta cominciate a febbraio e dall’autorità
crescente ricoperta dalle Brigate dalla Pace. Di certo il ruolo sempre
più radicato del religioso modifica almeno in parte gli equilibri
interni, spostando l’asse della bilancia un po’ più lontano dall’Iran,
che sta nella pratica gestendo le operazioni militari in corso nel
paese.
Ma simili reazioni non sono giunte dal resto dello spettro
politico iracheno che teme di perdere l’influenza e l’autorità
guadagnata con politiche clientelari e corruzione. Tra i contrari ci
sono i partiti kurdi che nei giorni scorsi avevano posto come
precondizione alla fiducia almeno il 20% dei ministeri di Baghdad.
Al-Abadi ha scelto proprio un kurdo, il geologo Nzar Saleem Numan, come
ministro del Petrolio, un posto chiave soprattutto alla luce delle
rotture tra Erbil e Baghdad in merito alla vendita del greggio
all’estero e al conseguente blocco dei trasferimenti del budget
nazionale. Eppure Numan ha rifiutato attribuendone la ragione
“all’attuale situazione politica nel paese”: “Non c’è un ampio accordo
politico sulla formazione del nuovo gabinetto iracheno”, ha commentato,
riferimento chiaro alla contrarietà dei partiti kurdi in parlamento.
La strada resta in salita, danneggiando ulteriormente gli sforzi
militari anti-Isis di Baghdad, troppo divisa per riuscire a rispondere
con forza alle sfide che si presentano. A partire dalla ripresa di Mosul
e dalla lotta alla corruzione.
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