La “coop rossa” per eccellenza che guida appalti e lavori per la Torino-Lione scaricava fanghi e rifiuti senza autorizzazioni. Un’inchiesta che conferma l’allarme dei No Tav sulla destinazione dello scavato di Chiomonte.
I reati attribuiti al presidente di Cmc Massimo Matteucci all’ex ad Dario Foschini, oltre che a tre vicepresidenti del colosso delle costruzioni che si sono succeduti dal 2005 ad oggi: Maurizio Fucchi, Alfredo Fioretti e Guido Leoni (le cui posizioni appaiono più defilate), e a dirigenti dell’Autorità portuale e della Sapir, sono “smaltimento di rifiuti in mancanza di autorizzazione” e “creazione di discarica non autorizzata” (articolo 256 del cosiddetto “decreto Ronchi”).
Sono accusati di aver movimentato una “montagna di fanghi”: per l’esattezza 3 milioni e 154mila metri cubi di detriti derivati dalle operazioni di scavo dei fondali del Candiano dal 2008 al 2015. Fanghi riversati in otto casse di colmata. In quella denominata “Centro Direzionale” ne sono finiti 600.000 metri cubi, alla “Nadep Trieste” 250.000, alla “Nadep Centrale Interna” 400.000, in quelle “Trattaroli 1”, “Trattaroli 2” e “Trattaroli 3”, 600.000 a testa, nell’ “Avamporto Porto Corsini” 104.000. Secondo gli inquirenti quei detriti – considerati “rifiuti speciali non pericolosi” – una volta scadute le autorizzazioni sarebbero dovuti essere avviati a un “processo di recupero” entro un anno. Ma così non è stato e ciò avrebbe creato “un deposito incontrollato di rifiuti”. Il fatto che quel deposito si sarebbe protratto per oltre tre anni avrebbe successivamente portato – sempre secondo l’accusa – alla «realizzazione di una discarica avente caratteristiche di definitività». Le autorizzazioni mancanti dovevano essere fornite dalla Provincia, mentre i terreni erano di proprietà sia della Cmc che della Sapir. Ad aver chiesto i lavori di scavo alla Cmc era stata invece l’Autorità portuale.
La vicenda non può che mettere sotto i riflettori il sistema delle imprese di costruzioni, destinatarie della maggior parete dei lavori alle Grandi Opere, per risolvere i problemi creati dalla complessità e dalla estensione proprio di quei Grandi lavori. Quelli “assolutamente necessari“, quelli che “ci chiede l’Europa” ma che prevedono complicazioni altrettanto enormi per la loro realizzazione. Ma l’importante è incassare, con l’inquinamento e la devastazione ambientale se la vedranno i nostri figli e nipoti nella società malata e impoverita che li attende…
Da mesi in Val Susa vige l’allarme per le destinazioni dello scavato di Chiomonte, raccolto in cumuli ormai quasi impossibili da tenere nel cantiere-fortino. Prima o poi si ritiene che dovranno smuoverlo. Sotto osservazione sono le cave di Caprie, quelle di Caselette, le discariche di Torrazza e Chivasso, sotto pressione popolare i sindaci delle aree di possibile destinazione. Negli stessi materiali, tecnici e medici, denunciano la presenza di elementi inquinanti come uranio, amianto e polveri sottili ma sul tema l’Arpa Piemonte fa il pesce in barile perchè ha autorizzato Telt (la società che governa il progetto Tav) a automonitorarsi e di Telt – si direbbe – si fida ciecamente. Peccato che – apprendiamo oggi – anche in Basilicata, dove opera l’Eni col suo centro di smistamento rifiuti illegali al centro dell’inchiesta che coinvolge la ministra Guidi, il suo fidanzato e indirettamente la ministra Boschi, l’Arpa sosteneva di avere tutto sotto controllo.
Una ragione in più per convincersi che toccherà ai cittadini farsi custodi della propria salute ostacolando ogni tentativo di inquinare il territorio. Anche cosi si ferma la Grande Opera.
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