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02/04/2016

La tragicomica operazione neocoloniale libica

L’arrivo del nuovo “premier” Fayez al Serraj a Tripoli: il “governo libico” sul gommone (come da tradizione), con la rassicurante presenza della Marina inglese alla spalle. Tutto come da copione.

Le ultime ore della tragicomica vicenda libica, nonché il racconto che ha trovato posto nei principali media, ci rimanda plasticamente il senso del carattere neocoloniale dell’operazione di “restaurazione nazionale” in corso. Ci hanno detto per mesi pensosi editoriali d’analisi geopolitica che il paese era desideroso di tornare a una sovranità nazionale democratica, coperta e sostenuta dalle nazioni civili, e che dopo mesi di lunghe trattative alla fine era stato partorito il premier adatto e anche il governo giusto, quello che avrebbe messo d’accordo tutte le fazioni “moderate”. Con la copertura dell’Onu, strumento di massima legittimazione democratica, e della cosiddetta “comunità internazionale”, che coincide sempre con l’alleanza occidentale, hanno brigato per mesi per introdurre il governo filo occidentale nel caos libico. Ma, colmo della farsa, non ci sono riusciti! O almeno non come speravano loro…

Hanno incontrato la dura opposizione di tutte le diverse fazioni libiche – gheddafiani, antigheddafiani, islamici, antislamici, moderati, radicali, eccetera – ma gli Usa, la Nato e il governo Renzi non possono proprio aspettare, così come non potevano più aspettare la presenza del dittatore Gheddafi e sono accorsi democraticamente in aiuto del popolo libico. Hanno tentato, come titolo di Repubblica, il “blitz dal mare per tentare di insediare il nuovo governo.” E già questo entra in collisione logica con un legittimo governo di unità nazionale, ma tant’è: nazionale di chi? Per chi? Composto da chi? Perché un “governo legittimo” deve partire dalla Tunisia, scortato dalle Sas britanniche e come un intruso, anche un po’ fantozziano, arrivare su un gommone a Tripoli, accolto a suon di fucilate dopo non essere riuscito ad atterrare con l’aereo perché tutte le varie milizie aspettavano col fucile in mano pronti a dare il benvenuto? Insomma, un arrivo illuminante, svelatore di un progetto ben più ampio e che con la Libia e i libici riguarda assai poco, a meno che per “libici” non intendiamo gli utili idioti al soldo degli interessi Occidentali – europei e americani. In confronto gli uomini fantoccio insediati dall’imperialismo americano in Afghanistan, tipo Hamid Karzai, e in Iraq con la sequela di “governi amici” nemici degli arabi, erano sincere espressioni della democrazia.

Rimane evidente l’opera di intrusione e provocazione che si vuole mettere in atto, utilizzando la pedina Serraj per cambiare gli equilibri in Libia, e il tutto senza neanche più mascherare gli eventi. Ci riusciranno? E’ tutto da vedere. 200.000 uomini armati, le milizie di Is a Sirte, il parlamento di Tobruk ostile a questo insediamento, e l’opposizione interna al Parlamento di Tripoli capeggiata dall’ala islamista, sono lì a fargli cambiare idea. Serviranno certo gli americani, gli inglesi e soprattutto gli italiani a sostenere questo fantoccio che stenta a tenersi al comando con le sue forze. Le cose cambiano velocemente ma una cosa è certa: in Libia il caos durerà a lungo. Questo lo sa bene Scaroni, ex amministratore delegato Eni, oggi vice presidente di Banca Rothschild, che nell’intervista al patriottico Corsera dice più o meno tutto quello che c’è da sapere e le finalità di questa guerra, senza più – lo ribadiamo – camuffamenti ideologici buoni per l’opinione pubblica.

In sostanza afferma: basta con la finzione della Libia, il paese non si riprende, allora spacchettiamolo in tre regioni, in fondo a noi ci interessa la Tripolitania o al limite degli Stati bonsai con cui fare lucrosi affari sui giacimenti. Amen:
«È da mesi, se non da anni, che ci viene ripetuto il refrain: possiamo intervenire in Libia solo se un governo legittimo ce lo chiede. Il punto è che questo governo solido non riusciamo a vederlo. Si succedono aborti di governi, delegittimati nello spazio di poche ore, in conflitto tra di loro[…] La verità è che se guardiamo i libri di storia, si scopre che Cirenaica, Tripolitania e Fezzan sono da poco un Paese. Fummo noi italiani nel 1934 a inventarci la Libia, invenzione coloniale che non è sentita da nessuno. Ora, se invece di cercare di comporre questo puzzle difficilissimo, ci semplificassimo la vita e cercassimo di favorire la nascita di un governo in Tripolitania, che poi facesse appello a forze straniere che lo aiutino a stare in piedi, credo che potremmo risolvere parte dei nostri problemi: i nostri migranti economici non vengono da Bengasi, partono tutti dalla costa tripolina».
La cultura neocoloniale che produce odio e di conseguenza, purtroppo, rifiuto nichilista dell’Occidente, è sempre in azione dunque, salvo poi domandarsi “perché ci odiano” mentre scateniamo la nostra indignazione sui social dopo qualche altro attentato nel cuore della metropoli.

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