Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

15/04/2016

Renzi e Napolitano temono il voto di domenica

“Pretestuoso”. L’ex presidente della Repubblica, il Peggiore di tutti, ha scovato un aggettivo insulso per consigliare di andare al mare, domenica, invece di votare al referendum contro il prolungamento delle concessioni alle trivelle petrolifere, che ha tra l’altro lo scopo di conservare un po’ meglio il nostro mare.

“Pretestuoso” vorrebbe significare qualcosa come “il problema è un altro”, frase tipica con cui – da decenni – si prova a troncare una discussione sgradita. Non a caso, l’allievo prediletto della peggiore classe dirigente italica, attualmente investito della carica di premier, si è subito coperto con l’intervento di Giorgio Napolitano, ovviamente definito “magistrale” (si sa, a Renzi piacciono solo gli aggettivi tendenzialmente superlativi rispetto alle cose che fa...).

Un animo golpista, incostituzionale e anticostituzionale, si vede anche da queste cose. Che a una votazione si possa andare oppure no, è evidentemente un diritto di ogni cittadino. Noi stessi polemizziamo aspramente, quasi ogni giorno, con i residui della sinistra radicale che fanno delle urne l’alfa e l’omega della loro permanenza in vita politica. Non tutte le votazioni sono però uguali lo Statuto dei Lavoratori, e i referendum sono qualcosa di profondamente diverso. Chi ricorda quelli sul divorzio, l’aborto, l’art. 19, ecc, sa quale impatto – positivo o negativo – possono avere sull’evoluzione di un paese.

Ma un premier e un ex presidente non si possono permettere di consigliare ai cittadini l’astensionismo. Per il semplice fatto che loro due – più di tutti gli altri scadenti componenti della classe politica – non sono “normali cittadini”. Sono invece, purtroppo per noi, due punti centrali dell’architettura istituzionale che si regge – nella democrazia liberale – sull’esercizio del voto. Quindi, nel momento in cui sconsigliano di andare a votare, commettono quasi un reato, perché sviliscono la partecipazione come elemento fondante della democrazia.

Banalità da liceali, lo ammettiamo subito. Sono formulazioni che si studiano nelle sintesi di educazione civica o come si chiama adesso... Ma se uno asserisce di essere un “sincero democratico”, o un “vero liberale”, tutto può fare meno che svalutare il voto popolare.

Renzi e Napolitano vanno capiti: loro hanno paura. Non tanto di perdere in questo referendum (il quorum del 50% non sarebbe mai stato neanche avvicinabile, se l’ex ministra Federica Guidi non si fosse così impegnata a far passare un emendamento pro familia sua, per un subappalto Total; e, ovviamente, se non lo avesse annunciato per telefono all’avido convivente), quanto di avviare ufficialmente il percorso a ostacoli verso il vero traguardo: il plebiscito sulle riforme.

Fin qui il loro piano di battaglia prevedeva che il referendum sulle trivelle fosse poco più di una giornata da passare serenamente, in preparazione di una ben più impegnativa – e, secondo tutte le previsioni, negativa – tornata di elezioni amministrative, in giugno. Poi ventre a terra, sorvolando in relativa tranquillità l’estate, per il referendum di ottobre, con il supporto totalitario di tutte le televisioni e della stampa mainstream, martellando sull’abusato giochino retorico del “nuovo” contro il “vecchio”, tanto più che nessuno – a partire da noi – può rimpiangere questo Senato.

Ragionamento completamente diverso sull’Italicum – la nuova legge elettorale – e il combinato disposto che crea: una sola Camera, con i due terzi di “nominati” dai capi partito e con la maggioranza blindata garantita a chi vince il ballottaggio, sia pure di un solo voto. Un modo per esautorare totalmente il Parlamento, privarlo di ogni dialettica interna – nel fare le leggi! – con i deputati a schiacciare bottoni per cinque anni senza porsi mai una domanda diversa dal “sarò stato abbastanza servile da venir rieletto dal mio capo?”.

Ecco il loro problema. I votanti, domenica, saranno quasi tutti ai seggi per votare “sì”. Questo è scontato. Il problema è la percentuale dei votanti. Se invece del previsto 25% – fino ad un mese fa –  fossero il 40%, o addirittura di più, pur senza raggiungere il quorum, sarebbe difficile metabolizzare senza traumi una sconfessione così piena del governo da parte di una quota tanto rilevante di popolazione.

Bisogna infatti tener presente che alle ultime scadenze elettorali ha partecipato poco più del 50% degli aventi diritto. E se una quota del genere può esser considerata legittima per attribuire tutto il potere a una minoranza (chiunque vinca al ballottaggio, nelle elezioni politiche con l’Italicum, avrà al massimo un quarto dei voti dell’intero paese, il 25%, appunto), sarebbe politicamente un suicidio considerare “ininfluente” il 40%.

Lo scandalo Total-Guidi-Tempa Rossa ha costretto Renzi a politicizzare al massimo questo referendum. Contro i suoi programmi.

E’ bene dunque, quorum o no, trasformare questa scadenza “pretestuosa” in un primo, consistente, inciampo verso la fine della parentesi renziana. Con Napolitano sottobraccio, verso il giusto inferno che dovrebbe attendere gli ingiusti.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento