Ora possiamo tentare una riflessione più meditata e complessiva sul voto di domenica, con una premessa. In primo luogo, è bene chiarire che queste sono state elezioni amministrative ma solo di nome: è stato un voto altamente politico.
Certamente, le elezioni amministrative hanno un valore politico ridotto
dall’incidenza dei fattori locali, dalle singole candidature eccetera,
ma questo non è sempre vero, non sempre si vota per il sindaco e basta.
Ci sono tornate che possono avere
effetti politici complessivi: le comunali spagnole del 1931 fecero
cadere la monarchia e proclamare la Repubblica, le regionali italiane
del 1975 preannunciarono l’avanzata comunista di un anno dopo, le
elezioni provinciali francesi del 1956-7 aprirono la strada a De Gaulle
ed al crollo della Quarta repubblica.
La politica non è solo matematica ma
anche chimica: gli effetti dipendono da come si combinano gli elementi
e se chiami la gente a votare per le comunali avendo già in prospettiva
la riforma costituzionale del paese, non puoi pensare che il voto
prescinda da questo. La gente non pensa che prima parliamo del comune e
basta, poi parliamo della Costituzione, dopo di che fa Renzi ed, infine
delle elezioni politiche. Quanto queste scadenze sono così ravvicinate
il voto è insieme tutto questo, per cui queste amministrative sono state
l’aperitivo del referendum che, a sua volta, sarà la premessa delle
elezioni politiche.
Sulla base di queste
considerazioni, queste comunali, pensate dal governo come l’ingresso
trionfale del nuovo regime politico immaginato, sono diventate un test
politico generale che, al contrario delle aspettative, ha aperto una
transizione verso nuovi equilibri.
Il senso complessivo del voto è questo:
l’inizio di una fase molto delicata di cambiamento, scombussolando tutti
i principali raggruppamenti politici attuali. E veniamo al merito.
In primo luogo, questo voto sancisce definitivamente una cosa: che il nostro sistema politico non è più bipolare e nemmeno tripolare, ma quadri polare.
Infatti, accanto a centro sinistra, centro destra e M5s c’è il polo
dell’astensionismo che non è affatto un’area silente ed estranea al
sistema politico. Gli astenuti non sono cittadini morti ma cittadini che
non trovano una risposta soddisfacente alla propria domanda politica e
si ritirano momentaneamente nell’”area muta” dell’astensione, ma che, da
un momento all’altro possono rientrare provocando effetti devastanti ed
imprevisti, non appena trovino un punto di aggregazione.
Otto anni di crisi non potevano non
avere un riflesso anche sul piano politico ed il “polo muto” è il
sedimento di rancori, rabbia, senso di rivolta che sta covando in fasce
sempre più numerose di elettorato e che, prima o poi, si manifesterà nel
più violento dei temporali. E non è detto che debba necessariamente
essere un temporale elettorale, potremmo trovarci di fronte ad una
rivolta di piazza impossibile ora da qualificare se di destra o di
sinistra. Teniamone sempre conto.
In secondo luogo, questo voto è la prima seria sconfitta politica del pd renziano e del suo incipiente “partito della nazione”.
Le regionali dell’anno scorso ridimensionarono il leggendario 41% delle
europee, ma confermando un valore superiore al 33% del Pd. Oggi il Pd è
al 17% a Napoli (dove è escluso anche dal ballottaggio) e sotto il 30% a
Torino e Roma (dove rischia molto seriamente per il secondo turno). A
Bologna il Pd è rimasto 11 punti al di sotto delle previsioni che lo
volevano vincente al primo turno. In tutti i comuni minori, perde voti
rispetto all’anno scorso e, in qualche caso, rispetto alle politiche del
2013.
Una sconfitta secca e senza appello che si intuisce destinata ad ingigantirsi nel secondo turno:
– a Roma la battaglia è persa senza appello con un distacco di 10
punti di partenza e con la probabile confluenza di buona parte dei voti
della Meloni sulla Raggi, mentre Giacchetti forse godrà dell’appoggio ben
meno pesante di Marchini e di pochissimi voti della sinistra di
Fassina. Direi che non c’è storia;
– a Milano il distacco fra Sala (quello che a gennaio era dato oltre
il 50%) e Parisi è praticamente nullo ed è convinzione diffusa che i
5stelle in gran parte si asterranno, ma quelli che voteranno daranno la
preferenza a Parisi molto più spesso che a Sala che, forse, rubacchierà
qualche voto (ma nemmeno tanti) dalla sinistra di Rizzo. Qui la
battaglia non è decisa ma è più compromessa per Sala che per Parisi.
– a Torino, Fassino sta messo meglio con un distacco sensibile rispetto all’inseguitrice Appendino che ha ottime probabilità di guadagnare voti tanto da Forza Italia e Lega quanto dall’area di Airaudo che, realisticamente, si dividerà. Battaglia da giocare ma, nella quale, una vittoria della Appendino è tutt’altro che impossibile;
– unica realtà dove la vittoria del Pd appare largamente probabile è Bologna, dove, però, non basterà un magro 53-54% a riscattare la figuraccia iniziale.
Dunque, il Pd rischia seriamente di
perdere in tutte e tre le città italiane con più di un milione di abitanti
(Roma, Milano, Napoli), ed ha qualche probabilità di perdere a Torino. E
se anche qui Renzi dovesse essere sconfitto, potrebbe fare una cosa:
salire sulla Mole, sul punto più alto possibile, e buttarsi di sotto
senza nemmeno aspettare ottobre.
A questo punto credo che le acque
inizieranno ad agitarsi nel Pd dove, forse, la mitica minoranza (forse,
ripeto: forse) troverà il coraggio di dire che al referendum si vota No. Il Partito della Nazione muore prima ancora di nascere
(bell’apporto quello di Verdini a Napoli!) mentre il Pd entra
chiaramente in crisi.
Il secondo polo destabilizzato è la destra che,
pur sconfitta dove si è presentata divisa (Roma e Torino), resiste a
Napoli e Bologna ed ha una forte affermazione a Milano. Forza Italia
scompare a Roma e Torino, ma ha un buon successo a Napoli e Milano.
Sulla carta i derby dove la destra si presentava divisa sono stati vinti
da Salvini, ma che te ne fai di battere Marchini e Napoli se poi resti
escluso dal ballottaggio? Queste elezioni dicono due cose: la destra non
è scomparsa (a Roma, se si fossero presentati uniti, sarebbero andati
al ballottaggio al posto di Giachetti; a Milano, Napoli e Bologna gli
sfidanti sono tutti del centro destra), ma ha speranza di affermarsi
solo se ha il volto moderato dei Parisi, dei Lettieri e delle
Bergonzoni, non dove ha candidati in camicia nera o esagitati come
Salvini che, per di più, non beccano un voto a sud dell’Emilia. Quindi
il giovanotto leghista può dare l’addio ai suoi sogni di essere il
candidato Presidente del Consiglio della destra. Anche Berlusconi è
finito, ma può ancora esercitare un certo ruolo nella formazione del
nuovo centro destra come King Maker.
Anche qui si apre una transizione
tempestosa e che non sappiamo a cosa approderà.
Il M5s ne esce come il vincitore in assoluto,
che ha centrato in pieno i due obiettivi (per lo meno del ballottaggio)
di Roma e Torino con un risultato non eccelso, ma dignitoso, a Bologna e
due pecche gravi a Napoli e Milano che risentono dei pasticci fatti
nella fase della scelta dei candidati (ne avevo scritto con una certa
severità in un pezzo che fece molto arrabbiare il mio amico Roberto che
oggi, forse mi darebbe ragione). Comunque il risultato complessivo è
clamorosamente positivo ed è giusto che i 5stelle ne godano aggi, anche
perché è la prima volta che hanno affrontato la scadenza senza Roberto e
con Beppe un po’ appartato.
Detto questo, anche qui si apre una fase
di travaglio che non sarà uno scherzo: per la prima volta i grillini
sono chiamati a governare e non piccole città di provincia come Parma o
Livorno, ma la città più grande del paese e, forse, anche la quarta e,
se non ce la fanno, questa può essere la tomba del movimento.
Personalmente posso solo fare i miei auguri a Virginia Raggi e Chiara
Appendino.
Del risultato della sinistra diremo nel prossimo pezzo,
qui ci limitiamo a segnalare come si stia aprendo una fase difficile,
aspra, ma molto interessante. Ora vediamo i ballottaggi, ma sempre con
un occhio al referendum e ricordando che è il Pd il nemico che bisogna
battere oggi per porre le premesse della sua sconfitta al referendum.
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