“Repubblica” di Lunedì 30 Maggio pubblica i risultati di un’indagine di Demos – Coop, l’istituto diretto da Ilvo Diamanti, sul tema (quanto mai delicato e complesso) della percezione di “status” da parte delle cittadine e dei cittadini in Italia.
Anzi l’autore grafico che illustra i dati usa una dizione davvero d’antan: “La percezione di classe”.
L’esito è quello di un generalizzato pessimismo: l’incertezza per il futuro è salita a quota 66 (si collocava a 54 nel 2008); nelle varie categorie sale la sensazione di sentirsi dalla parte dei poveri.
Lo pensano il 65% degli operai, il 42% dei lavoratori autonomi e degli imprenditori, il 66% delle casalinghe, il 55% dei pensionati, il 31% degli studenti.
Si tratta appunto di “percezioni”: perché l’indagine non mette in evidenza alcuna cifra complessiva circa lo spostamento in questi anni della massa di ricchezza.
Non viene infatti affrontato e classificato il dato di relatività, su basi scientifiche, della condizione di povertà e il livello effettivo di diseguaglianza tra i diversi settori di reddito.
Quel che è certo, però, è che i diversi provvedimenti assunti dal governo e vantati come “riforme” non abbiano ottenuto effetti concreti sul piano della condizione materiale di vita: pesano elementi molto complessi da valutare insieme, come la disoccupazione, la sottrazione di welfare, la difficoltà complessiva nella possibilità di usufruire di servizi pubblici anche a livello minimo.
L’indagine si conclude con due affermazioni molto nette: operai, pensionati, casalinghe si sentono più poveri, lontani dai livelli del ceto medio e contemporaneamente chi si riteneva, fino a qualche anno fa, componente proprio del ceto medio avverte nel concreto un dato di vero e proprio arretramento sociale.
L’altro punto conclusivo di analisi fa giustizia del can-can mediatico messo su in queste settimane dai “protagonisti” del mercato dell’autonomia del politico: non saranno certo gli esiti delle elezioni amministrative e poi del referendum costituzionale a determinare un mutamento in quella che viene definita come frattura di classe, che resterà comunque immutata.
Un segnale di sfiducia nella politica che deriva dall’omologazione tra le diverse forze, la sparizione del concetto di appartenenza, l’unilateralità sociale dei provvedimenti, la sostanziale reciproca disaffezione tra ceto politico vieppiù autoreferenziale e resto della società: inutili appaiono anche i tentativi di colmare il gap da parte di populismi vari (intesi per la gran parte come interni al sistema) e/o civismi di varia natura.
Si tratta di una tendenza diffusa che però altrove trova ancora forza e spazio per il conflitto sociale, come sta accadendo in Francia per la “Loi du Travail”.
Un’Italia svuotata, con le classi sociali abbandonate a loro stesse, prive di rappresentanza, di organizzazione politica e sociale: un’Italia tra l’altro descritta all’ingrosso, in quest’occasione, perché mancano le suddivisioni territoriali della condizione economico – sociale (il divario Nord – Sud tanto per intenderci e quanto pesa questa situazione sul modello “fabbrichetta” e specializzazione produttiva del Nord – Est) .
Mancano anche le valutazioni al riguardo del peso, nell’insieme dell’economia, della criminalità organizzata rispetto a gangli fondamentali della vita quotidiana, in particolare nelle grandi concentrazioni urbane (commercio, ambiente, raccolta dei rifiuti, gestione delle abitazioni) e del valore del lavoro nero svolto in gran parte da immigrati.
Tutti fattori che sfuggono alle statistiche ordinarie, ma che pesano molto sul complesso delle vicende economico – sociali.
Un’Italia che si inserisce con grande difficoltà in un quadro europeo dove emerge l’incapacità di affrontare le stridenti contraddizioni dell’oggi derivanti dalla condizione di guerra globale.
La condizione di guerra esistente su diversi scenari, fondamentali per gli equilibri complessivi della scena internazionale e dalla quale derivano i grandi fenomeni sociali cui stiamo assistendo, a partire da quello dei migranti non pare affrontata con piena consapevolezza sia dai gruppi dirigenti delle grandi potenze e in particolare degli USA, sia dai “facitori” dell’opinione pubblica (web, televisione, giornali).
Una considerazione finale: la “politica” si muove esclusivamente sollecitando l’individualismo ed esaltando marginalità neo – corporative; manca totalmente l’idea del collettivo, della spinta sociale, del recupero di funzioni vitali da parte del pubblico.
Nasce così la sensazione dell’abbandono.
L’abbandono di un paese sfibrato, da tempo pronto ad abbandonarsi nelle braccia di una post – democrazia autoritaria di stampo nazionalista e populista, illustrata nella sua narrazione da un demagogo: questo lo scenario inquietante che questo Governo presenta alla insensibilità apparente di gran parte dell’opinione pubblica in previsione di importanti scadenze, anche elettorali.
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