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07/06/2016

USA-Cina, tensioni senza fine

di Michele Paris

Per il governo americano, qualsiasi palcoscenico internazionale in Asia orientale è diventato ormai l’occasione per sollevare la questione delle contese territoriali nei mari che bagnano la Cina e per moltiplicare polemiche e tensioni nei confronti di Pechino. Questo stesso copione si è ripetuto a Singapore e nella capitale cinese, dove sono andati in scena due attesi eventi annuali, rispettivamente il cosiddetto “Dialogo Shangri-La”, organizzato dall’Istituto Internazionale per gli Studi Strategici britannico, e il “Dialogo Strategico ed Economico” tra le prime due potenze economiche del pianeta.

Il primo appuntamento ha riunito nel fine settimana vari ministri di paesi asiatici, europei e del continente americano. Durante il summit si è assistito alla definizione delle rispettive posizioni di USA e Cina sulle dispute sempre più accese nel Mar Cinese Meridionale. Il clima minaccioso osservato a Singapore è stato in qualche modo amplificato dalla consapevolezza dell’imminenza di un verdetto molto delicato di un tribunale ONU con sede a L’Aia, in Olanda, sulla legittimità delle rivendicazioni cinesi sulle isole Spratly, nel Mar Cinese Meridionale.

La causa è stata intentata dal governo delle Filippine, il quale rivendica queste stesse isole, in seguito alle pressioni di Washington e l’esito dovrebbe essere quasi certamente sfavorevole a Pechino. Il governo cinese ha già fatto sapere di non avere alcuna intenzione di riconoscere il risultato di un procedimento la cui legittimità non ha mai riconosciuto.

A Singapore erano comunque presenti per gli Stati Uniti il segretario alla Difesa, Ashton Carter, e il comandante delle forze armate USA nel Pacifico, ammiraglio Harry Harris. Sabato, il “falco” Carter è stato protagonista di un discorso provocatorio che ha ricordato il massiccio dispiegamento di armamenti americani nella regione “Asia-Pacifico”.

Il capo del Pentagono ha anche elencato una serie di paesi alleati, a cominciare da Australia e Giappone, o con cui gli USA hanno siglato accordi di partnership militare. In maniera assurda, Carter ha assicurato che le manovre del suo paese in Estremo Oriente “non sono dirette contro nessun paese in particolare”, salvo contraddirsi subito dopo nel ricordare le “ansie crescenti... per le attività della Cina nei mari, nel cyberspazio e nei cieli della regione”.

Carter ha infine proposto nel suo intervento un’immagine ampiamente riportata dalla stampa internazionale riguardo alla Cina, la quale rischierebbe di “erigere una Grande Muraglia di auto-isolamento”. Ferma restando la discutibilità di questa asserzione, viste le relazioni economico-commerciali fittissime intrattenute da Pechino praticamente con tutti i propri vicini, le parole del segretario alla Difesa USA hanno evocato scenari di guerra, a cui lo stesso Carter ha fatto riferimento esplicito nel corso di altri eventi della due giorni di Singapore.

In particolare, Carter ha affermato che un eventuale impulso all’attività di costruzione da parte di Pechino sulle isole oggetto del prossimo verdetto del tribunale de L’Aia potrebbe spingere gli USA e altri paesi nella regione ad “agire” in un modo che farebbe aumentare le tensioni e l’isolamento della Cina. L’ammiraglio Harris, invece, ha parlato della presunta volontà americana di collaborare con la Cina, assicurando tuttavia che il suo paese “deve essere pronto al confronto militare, nel caso fosse necessario”.

La risposta del governo cinese alle provocazioni degli Stati Uniti è stata altrettanto minacciosa e con ogni probabilità irrobustita dall’irritazione per le iniziative di Washington nei mesi scorsi, come il ripetuto invio di imbarcazioni da guerra al largo delle isole contese e controllate da Pechino in missioni ufficialmente destinate ad affermare il principio della “libertà di navigazione” nel Mar Cinese Meridionale.

Il vice-capo di Stato Maggiore cinese, ammiraglio Sun Jianguo, ha ricordato come “alcuni paesi con ambizioni egemoniche hanno fatto in modo che paesi più piccoli si sentano autorizzati a provocare quelli più grandi”. La Cina, ha proseguito l’alto ufficiale di Pechino, “non tollererà le conseguenze né consentirà intrusioni nella propria sovranità e nella propria sicurezza, o rimarrà indifferente nei confronti dei paesi che intendono alimentare il caos nel Mar Cinese Meridionale”.

Molti ministri presenti a Singapore hanno assecondato la linea americana, puntando il dito sostanzialmente contro la Cina per le tensioni nella regione. Soprattutto il rappresentante del Vietnam, paese recentemente visitato dal presidente Obama, ha usato toni minacciosi nell’ipotizzare un possibile “conflitto militare” se Pechino non dovesse ammorbidire le proprie posizioni.

Il “Dialogo Shangri-La” ha registrato dunque la tendenza all’inasprirsi dello scontro tra USA e Cina in parallelo al procedere delle operazioni americane di accerchiamento ai danni di quest’ultimo paese. Le ragioni dietro la strategia americana hanno a che fare con i tentativi di ostacolare l’ascesa della Cina a potenza in grado di minacciare la supremazia di Washington nel continente asiatico.

Le tensioni esplosive tra i due paesi hanno segnato solo un parziale e apparente allentamento nella prima giornata del vertice bilaterale in programma tra lunedì e martedì a Pechino. La sessione inaugurale del “Dialogo Strategico ed Economico” ha visto la presenza del presidente cinese, Xi Jinping, il quale ha auspicato relazioni basate sulla “fiducia reciproca” tra USA e Cina, in modo da gestire i conflitti ed evitare “errori di valutazione strategici”. Per il numero uno del Partito Comunista Cinese, inoltre, “l’oceano Pacifico dovrebbe essere un teatro di cooperazione” e non un’area nella quale si manifestano le rivalità tra le potenze mondiali.

A ribadire nel concreto la posizione ufficiale cinese sulle contese territoriali è stato il Consigliere di Stato, Yang Jiechi, ovvero uno degli architetti della politica estera di Pechino. Yang ha ricordato la consuetudine di discutere con i paesi del sud-est asiatico le dispute territoriali, seguendo il principio preferito dalla Cina, cioè il perseguimento di trattative bilaterali e senza ingerenze di paesi terzi, con un chiaro riferimento agli Stati Uniti.

Il segretario di Stato USA, John Kerry, sempre dalla capitale cinese ha invece invitato Pechino a non annunciare in maniera “unilaterale” la creazione di una Zona di Identificazione per la Difesa Aerea (ADIZ) nelle aree contese del Mar Cinese Meridionale. L’ADIZ è un’area situata al di fuori dello spazio aereo di un determinato paese e impone ai velivoli che l’attraversano di fornire informazioni sulla loro rotta alle autorità, in modo che esse abbiano tempo a sufficienza per identificare possibili minacce e prendere le misure necessarie a prevenirle. La Cina aveva già adottato questa iniziativa due anni fa nel Mar Cinese Orientale, suscitando le proteste degli Stati Uniti.

Il “Dialogo Strategico ed Economico” tra USA e Cina si tiene annualmente da circa un decennio, ma l’obiettivo di attenuare le tensioni bilaterali e di ridurre la distanza tra le rispettive posizioni sulle questioni più controverse è stato in larga misura mancato sotto la spinta di fattori oggettivi, determinati in sostanza dall’evoluzione degli interessi strategici di Washington.

Il vertice bilaterale in corso questa settimana prevede colloqui incentrati non solo sulle questioni legate alla sicurezza e alla politica estera, ma anche all’economia. Anche su questo fronte i rappresentanti dell’amministrazione Obama hanno fatto pressioni sulle loro controparti cinesi.

Oltre alle solite accuse rivolte a Pechino circa la violazione della proprietà intellettuale di molte aziende americane, il segretario al Tesoro USA, Jack Lew, ha sollevato una questione molto dibattuta negli ultimi mesi negli Stati Uniti e non solo. Lew ha cioè invitato il governo a porre rimedio all’eccesso di produzione che si riscontra in vari settori industriali cinesi.

Soprattutto la produzione in eccesso di acciaio e alluminio cinesi sta inondando i mercati globali di questo materiale, spingendo verso il basso le quotazioni con effetti rovinosi sulle industrie occidentali. Il governo di Pechino, da parte sua, aveva in realtà già annunciato qualche settimana fa iniziative per ridimensionare alcuni settori industriali dominati dai colossi pubblici, con tutte le conseguenze del caso in termini di perdita di posti di lavoro.

La questione si incrocia però con un’altra vicenda delicata, quella del riconoscimento dello status ufficiale di “economia di mercato” da parte di Stati Uniti e Unione Europea. Ciò consentirebbe alla Cina di evitare l’imposizione di dazi doganali punitivi sui propri prodotti destinati alle esportazioni, ma anche in questo caso la decisione finale dipenderà da fattori non solo economici, bensì, in definitiva, dagli sviluppi nell’immediato futuro della rivalità tra Washington e Pechino.

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