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20/11/2016

Il mondo degli affari voterà SI. Il “popolo” voterà no. Il referendum delinea interessi antagonisti


Mancano ormai due settimane al referendum del 4 dicembre. Renzi ormai è in preda al furore e accusa il fronte del NO di essere un “accozzaglia”. Come in tutti i referendum, le opzioni politiche dei vari partiti si schierano in base alle proprie valutazioni, incluse quelle di opportunità. Ma è sul piano degli interessi materiali, gli interessi di classe dovremo dire, che è importante vedere quali sono gli schieramenti. E qui appare in tutta evidenza che chi sostiene il Si e Renzi, sono esattamente le forze che hanno rovinato e stanno rovinando la vita a milioni di persone, soprattutto lavoratori, disoccupati e pensionati. Lo fanno in base alla loro collocazione sociale e a interessi materiali ben definiti. Renzi “è stato messo lì da loro” come ha detto Marchionne un paio d’anni fa. E sono queste forze ad avere interesse che prevalga il Si in un referendum che destruttura l’assetto costituzionale esattamente come richiesto dalla banca d’affari JP Morgan.

La Repubblica riporta che, secondo un sondaggio condotto dall'agenzia di stampa Bloomberg, su 42 top manager di grandi aziende italiane, ben 41 intendono approvare il referendum fortemente voluto dal premier Matteo Renzi. Bloomberg ha inoltre raccolto le posizioni di 100 tra presidenti e amministratori delegati delle principali aziende italiane: anche in questo caso la maggioranza a favore del sì è schiacciante. Esattamente il contrario di quanto sta invece emergendo nel resto della società dove il No sarebbe in testa.

Banche d’affari, multinazionali e affaristi puntano alla vittoria di Renzi. Il capo economista della Deutsche Bank afferma ad esempio che “un’Italia senza riforme starebbe meglio fuori dall’euro” (magari diremmo noi). Il si al referendum, scrive invece un rapporto della Morgan Stanley, “sarebbe una precondizione importante per continuare il processo di riforme italiane”.

Contemporaneamente però gli stessi apparati finanziari – diversamente dalla strumentale analisi della Banca d’Italia – diffondono previsioni rassicuranti in caso di vittoria del NO al referendum. “La sconfitta di Renzi sarebbe un risultato negativo ma gestibile” sostiene la Morgan Stanley. Mentre per il Credit Suisse “ci sarebbe volatilità dei mercati (stessa categoria usata da Banca d’Italia) ma non problemi sistemici”. Prudenza o sufficienza dei cosiddetti mercati? No. Il problema è che dopo la Brexit britannica, dove gli interessi di classe dei due schieramenti coincidono con quelli in campo in Italia nel referendum, non possono negare che dopo la vittoria del “leave” in Gran Bretagna, l’economia non è affatto crollata come minacciavano allora gli araldi del capitale finanziario e i giornali liberaldemocratici. Anzi.

Anche in Italia, dunque, da una parte sono schierate le banche, i comitati d’affari, la Confindustria, i grandi giornali, dall’altra ci sono lavoratori, disoccupati, strati popolari. Con una divergenza così, non c’è alcun dubbio su dove schierarsi. Così come in Gran Bretagna ci saremmo schierati per la Brexit, oggi occorre fare tutto il possibile per far vincere il NO al referendum controcostituzionale del 4 dicembre, e fare in modo che sia soprattutto un NO Sociale. Un No di popolo dunque, ma dentro a questo occorre ormai riportare alla luce interessi di classe definiti e ricomporli in una alleanza politica e sociale antagonista agli interessi del big business.

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