Nell’edificazione dell’attuale società autoritaria di mercato, la fabbricazione del consenso si rende sempre più necessaria mano a mano che le opportunità si fanno più evanescenti e le giovani generazioni cominciano a intravedere un futuro sempre più nero. In questo contesto, l’opera di “riforma” della scuola diventerà via via più strategica e insostituibile: il suo compito sarà la costruzione di un senso comune in grado di inculcare nei giovani una serie di principi funzionali al modo di produzione vigente e al potere politico che ne è espressione.
Il salto di qualità e l’accelerazione impressa al mondo dell’istruzione con la legge 107 – meglio nota come “Buona scuola” – è uno dei segni più evidenti, se mai ce ne fosse bisogno, della stretta autoritaria in atto nella UE e della dimensione sempre più ipertrofica e totalizzante assunta dal capitalismo neoliberista.
Uno degli obiettivi prioritari della legge consiste nella “valorizzazione della scuola intesa come comunità attiva, aperta al territorio e in grado di sviluppare e aumentare l’interazione con le famiglie e con la comunità locale, comprese le organizzazioni del terzo settore e le imprese”. Tradotto in parole più semplici, la scuola deve diventare una comunità produttiva che passa dallo studio del sapere all’esercizio del fare o, meglio, del produrre. Non si tratta solo di prezioso lavoro gratuito regalato alle imprese e a un mondo del terzo settore, sempre più organico e onnivoro in epoca di dismissione del welfare: la posta in gioco è molto più alta e la manipolazione educativa molto più ambiziosa e profonda.
Siamo di fronte a una scuola che deve modellare lo studente a una serie di principi neoliberali coerenti e assoluti: la percezione di sé come soggetto al dovere di produzione e non come aspirante al diritto universale al lavoro; l’introiezione di un ruolo sempre più organico al processo di produzione–accumulazione–investimento; la messa a valore delle competenze sul mercato del lavoro mediante autopromozione e formazione continua; la percezione di sé come manodopera più o meno pregiata; l’indigenza formativa, ossia la percezione di sé come lavoratore eternamente incompiuto e sempre bisognoso di formazione.
Obiettivi prioritari della legge sono, infatti, il “potenziamento delle conoscenze in materia giuridica ed economico-finanziaria”, l’educazione “all’autoimprenditorialità” e, ancora, lo “sviluppo delle competenze digitali [...] con particolare riguardo al pensiero computazionale [...] alla produzione e ai legami con il mondo del lavoro”.
Coerentemente con tale impianto normativo, la scuola sarà sempre più impegnata a diventare, nei prossimi anni, un enorme collettore di formazione e selezione di manodopera diversificata a servizio degli operatori economici. Attraverso la stesura del profilo dello studente, infatti, gli istituti di secondo grado attueranno una mappatura a tutto tondo dello stesso, apponendo di fatto una sorta di “bollino” recante indicazioni concernenti ciò che la “merce” in uscita potrà offrire al mercato del lavoro. Le parole del testo di legge sono molto eloquenti al riguardo: “Tali insegnamenti [...] sono parte del percorso dello studente e sono inseriti nel curriculum dello studente, che ne individua il profilo associandolo a un’identità digitale e raccoglie tutti i dati utili anche ai fini dell’orientamento e dell’accesso al mondo del lavoro, relativi al percorso degli studi, alle competenze acquisite, alle eventuali scelte degli insegnamenti opzionali, alle esperienze formative anche in alternanza scuola-lavoro e alle attività culturali, artistiche, di pratiche musicali, sportive e di volontariato, svolte in ambito extrascolastico”.
In poche parole, lo studente esce dalla scuola con un documento che lo accompagna, che spiega cosa sa fare e, in base a ciò, quello che ci si può attendere da lui. In tal modo, l’operatore economico otterrà una mole di preziose informazioni per decidere se assumere o meno il soggetto e per destinarlo a un reparto piuttosto che a un altro. Sarà anche in grado di dedurre quanto potrà spremere il nuovo assunto o, ancora, se questi è incline a lavorare senza protestare, a sottomettersi, a obbedire oppure a ribellarsi.
Dalla scuola della conoscenza e dei diritti a quella della produzione e della “servitù volontaria” il passo non è breve, ma, in Italia, è già stato fatto e portato a termine con la “Buona scuola”.
È ora necessario opporsi a questa legge con tutte le forze e a ogni livello, sia esso sindacale, politico, culturale o giuridico. Se non riusciremo a bloccare gli effetti della legge 107, ci troveremo presto di fronte a una generazione di schiavi del lavoro forzato e sottopagato, convinti di essere imprenditori di se stessi, in costante competizione al ribasso con i propri simili e alla perenne ricerca di nuove competenze da acquisire per scalare gradini di un’erta infinita, illusi, infine, da un mondo di opportunità che sorride solo a pochissimi privilegiati, ingannando tutti gli altri.
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