Ieri sera la giudice Carmen Lamela, del Tribunale Speciale antiterrorismo ereditato dalla dittatura franchista, ha ordinato l’arresto di Jordi Sanchez e di Jordi Cuixart, rispettivamente a capo dell’Assemblea Nazionale Catalana e di Omnium Cultural, le principali associazioni indipendentiste catalane, accusati del reato di “sedizione” punibile con condanne dai 15 ai 25 anni di carcere. “Sono sereno, sono tranquillo. Siamo stati in clandestinità sotto Franco, siamo disposti a tornarci se necessario, siamo coscienti del momento storico che stiamo vivendo: ci hanno detto che non possiamo? Lo faremo!” aveva detto Cuixart in un video girato qualche ora prima dell’arresto.
Per anni il “regime del '78”, frutto dell’autoriforma del regime franchista, ha riempito le carceri spagnole di prigionieri politici baschi – non solo legati alla lotta armata, ma anche leader politici e sindacali, intellettuali, giornalisti, esponenti della cultura e dell’associazionismo – ma ora tocca ai leader delle due più influenti associazioni indipendentiste catalane, accusati di aver sobillato alla resistenza popolare contro la repressione di Madrid dopo gli arresti del 20 settembre. E molti altri arresti potrebbero far parte della strategia repressiva di uno stato che quanto più è debole e delegittimato tanto più ricorre alla forza piuttosto che alla ragione.
Così la magistratura e il governo hanno risposto all’invito al dialogo lanciato ieri dal President Carles Puigdemont, subito respinto da Rajoy che ha dato fino a giovedì al Govern per chiarire se ha proclamato o meno l’indipendenza e, in caso affermativo, pagarne le conseguenze sul piano repressivo.
Oggi l’Anc, Omnium e le comunità catalane all’estero hanno convocato manifestazioni in tutta Europa, comprese molte città italiane, in contemporanea con la mobilitazione prevista a Barcellona e in decine di altre località.
Tutti i partiti catalani hanno condannato gli arresti tranne quelli della destra nazionalista spagnola, cioè PP e Ciudadanos. Anche per i socialisti, pronti a votare la sospensione dell’autonomia catalana prevista dall’articolo 155 della Costituzione scritta dai franchisti nel 1978, Cuixart e Sanchez non sarebbero prigionieri politici. Il governo Rajoy scherza con le parole, definendoli “politici prigionieri” e non prigionieri politici.
Intanto il capo del PP catalano Albiol e il dirigente spagnolo del partito postfranchista Casado pretendono lo scioglimento e la messa fuori legge dei partiti indipendentisti catalani e l’imposizione di nuove elezioni in Catalogna. Un modo drastico per togliere di mezzo gli avversari in una società in cui il nazionalismo spagnolo è fortemente minoritario.
Nessuna reazione finora da parte dell’Unione Europea di fronte agli arresti politici, se non il consueto pieno sostegno a Madrid già espresso dopo gli arresti dei funzionari del governo catalano del 20 settembre, la chiusura di centinaia di siti web indipendentisti prima del voto e i pestaggi di massa degli elettori nei seggi il primo ottobre.
Mentre la sinistra indipendentista (Cup e altre realtà di movimento) propone di convocare subito uno sciopero generale a tempo indeterminato fino alla liberazione di Sanchez e Cuixart, stamattina la polizia spagnola ha compiuto un blitz nella sede dei servizi di emergenza catalani – il 112 – alla ricerca di filmati e audio inerenti le operazioni elettorali del Primo Ottobre. Secondo alcuni media la Guardia Civil è a caccia delle registrazioni delle conversazioni tra gli ufficiali dei Mossos d’Esquadra che si sono rifiutati di attaccare i seggi e impedire il voto. Conversazioni ritenute incriminanti che potrebbero servire alla magistratura per mandare a processo alcuni ufficiali dei Mossos dopo che ieri il capo della polizia autonoma Trapero e la sua attendente sono stati condannati ad alcune misure cautelari pur senza arresto.
Nel frattempo il numero di imprese catalane che hanno abbandonato la regione o trasferito la loro sede sociale negli ultimi giorni per tentare di bloccare una possibile scelta indipendentista del Govern alla quale la Confindustria catalana si oppone è arrivato a 700. La borghesia catalana volta nettamente le spalle al partito che ne ha rappresentato gli interessi per decenni – Convergenza Democratica, recentemente rifondatosi come PDeCat – lasciando Puigdemont orfano di un blocco sociale di riferimento ed in mezzo al guado.
La scelta da parte di Madrid di andare allo scontro frontale, rifiutando la sponda negoziale aperta da Puigdemont, potrebbe ora rinvigorire il movimento popolare rimasto frustrato dal discorso del capo del governo catalano del 10 ottobre e riconfermato nella lettera di ieri a Rajoy. Il negoziato non può che svolgersi tra due parti, ma la controparte non ha alcuna intenzione di aprire una trattativa.
Se mai verrà, l’indipendenza della Catalogna non potrà che essere la conseguenza di una rottura netta operata a partire dalla mobilitazione e dall’organizzazione popolare, investendo quindi anche gli attuali equilibri sociali ed economici oltre che nazionali, e non certo sulla base dei tatticismi dell’attuale classe dirigente catalanista che spera ancora in un inesistente sostegno internazionale. E sicuramente non sarà indolore, come continuano a sperare in buona fede molti indipendentisti la cui visione idealistica sull’Unione Europea e sulla democrazia formale deve ora fare i conti con una realtà dei fatti ben diversa.
Che annovera, ad esempio, la pesante censura operata dalla direzione del quotidiano ‘progressista’ spagnolo El Pais: negli ultimi giorni sette importanti firme hanno abbandonato la testata dopo esser state licenziate o censurate a causa delle proprie prese di posizione critiche nei confronti della linea del governo e del giornale.
Paradossalmente, proprio mentre i primi due prigionieri politici d’eccellenza facevano il loro ingresso nelle reali galere di Madrid, l’Assemblea Generale dell’Onu inseriva lo Stato Spagnolo – insieme al regime golpista e sciovinista ucraino – tra i 15 nuovi membri del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.
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