di Roberto Prinzi
Dopo Kirkuk è stato il
turno oggi di Sinjar, nel nord ovest dell’Iraq: il gruppo yazida Lalesh
affiliato alle milizie sciite irachene ha infatti detto di aver preso il
controllo della città rivendicata sia dal governo centrale sia da
quello autonomo curdo.
Anche qui, come è avvenuto ieri nella città petrolifera di
Kirkuk, l’avanzata di forze legate a Baghdad è avvenuta senza lo
spargimento di sangue: Lalesh è riuscito ad estendere il suo
controllo su tutta Sinjar approfittando del ritiro delle forze peshmerga
curde avvenuto nella tarda notte di ieri. Uno scenario ben diverso
rispetto a quanto accaduto lo scorso marzo quando si erano registrati in
città violenti scontri tra le Unità di resistenza del Sinjar (YBS) e
quelle peshmerga, riproposizione locale del più ampio conflitto tra il
governo centrale e quello regionale curdo (Krg).
La perdita del territorio da parte curda è stata confermata
dal sindaco di Sinjar, Mahma Khalil, che ha fatto sapere che le unità di
mobilitazione popolare (Pmu) controllano ora la città. Ma a
essere presenti nell’area restano anche i combattenti del partito dei
lavoratori del Kurdistan (Pkk), tra i protagonisti nel 2015, insieme ai
peshmerga, della sua riconquista dalle mani dell’autoproclamato Stato
Islamico.
Le forze irachene – secondo quanto ha riferito un ufficiale militare
alla Reuters – sono avanzate poi stamane anche nei campi petroliferi di
Bai Hasan e Avana dopo che ieri avevano preso possesso di quelli di Baba
Gurgur, Jambur e Khabbaz. Giacimenti che, affermano da Baghdad,
starebbero già operando regolarmente.
Le recenti ritirate dei peshmerga – che giungono a
distanza di tre settimane dal referendum curdo sull’indipendenza che
includeva anche alcune aree “contese” da Baghdad e il Krg, a partire da
Kirkuk – rappresentano un duro colpo per il presidente della regione curda, Massoud Barzani, che
proprio sul voto referendario aveva puntato tutte le sue carte per
ricompattare la sua popolazione distogliendola dai problemi reali (corruzione, crisi economica, disoccupazione alle stelle).
Una mossa apparsa già allora un azzardo visto che le potenze
regionali e internazionali avevano manifestato sin da subito la loro
netta contrarietà all’indipendenza del Kurdistan iracheno e che, di ora
in ora, sembra essere stata sempre di più un grosso errore politico.
Baghdad, godendo di ampio sostegno, può ora avanzare senza difficoltà in
quei territori che i curdi, dopo averli strappati all’Is con costi
umani ed economici elevati, volevano far rientrare nel loro stato
indipendente.
Sinjar è balzata alle cronache tristemente nell’estate del
2014 perché teatro di una delle più gravi stragi commesse dallo Stato
islamico: ancora oggi non si conosce il numero esatto delle
persone uccise dalla barbarie jihadista (si parla di migliaia di
civili). Senza poi dimenticare le migliaia di donne e ragazze yazide
rapite e trasformate in schiave del sesso dai miliziani. Il dramma
yazida, con i suoi morti, stupri e le sue lunghe file di rifugiati in
fuga disperata dalla città, riuscì a fare breccia per alcuni giorni
sulla stampa occidentale mainstream facendo scoprire al mondo, forse per
la prima volta in questi termini, la crudeltà e la violenza cieca dello
Stato Islamico.
La perdita di un altro pezzo di territorio rivendicato dai
curdi giunge mentre la tensione politica nel Kurdistan iracheno continua
ad essere alta: ieri uno dei partiti storici della regione, il Puk, è stato accusato dal Kdp del presidente Barzani di “tradimento”
per aver ritirato le sue forze di fronte all’avanzata delle truppe
irachene. Il Puk, accusa il Kdp, avrebbe negoziato con l’Iran e il
governo iracheno lo status di Kirkuk, prima del collasso di ogni
possibile dialogo.
Quanto fondamento hanno queste accuse è quanto invece sono
strumentali in vista del voto locale previsto tra due settimane? La
domanda nasce spontanea. Sempre che, sia chiaro, il voto avrà luogo. Una
possibilità su cui non è possibile mettere la mano sul fuoco visto gli
sviluppi delle ultime ore. Elezioni che sembrano sempre più minacciate
anche dalle casse vuote curde a causa della perdita dei giacimenti
petroliferi nel distretto di Kirkuk.
Un dato su tutto: Bai Hassan e Avana producevano da soli la metà dei
600 mila barili giornalieri esportati da Erbil verso l’Europa, via
Turchia.
Ore 15:00 Forze democratiche siriane: “Conquistata tutta Raqqa”
Le forze democratiche siriane (Sdf), sostenute dagli Stati Uniti,
hanno il pieno controllo della città di Raqqa, la “capitale” siriana
dell’autoproclamato Stato Islamico. A riferirlo all’Afp è stato il
portavoce delle Sdf, Talal Sello. “Le operazioni militari – ha detto
Sello – sono terminate, ma sono in corso ora quelle di pulizia volte a
scovare cellule [terroristiche] dormienti e a rimuovere le mine”.
Intervistato dalla Reuters, un residente della città ha raccontato
che i combattenti delle Sdf hanno celebrato la vittoria per strada con
cori e canti. La vittoria a Raqqa, la cui offensiva era iniziata lo
scorso 6 giugno, è il simbolo ormai definitivo della fine, almeno nella
sua forma statuale, del “califfato” islamico.
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