Questo contributo di analisi si inquadra nel contesto del ciclo di incontri, dibattiti, iniziative e proiezioni che abbiamo organizzato in occasione del Centenario della Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e che vedrà il prossimo appuntamento sabato 25 novembre, alle 18.00 al Cpa fi-sud, con Ferdinando Dubla assieme al quale affronteremo la questione della pedagogia sovietica.
Quando abbiamo iniziato a discutere del programma di queste iniziative abbiamo pensato che fosse importante farlo fuori da ogni retorica cercando di organizzare momenti in cui si potesse valorizzare quell’esperienza storica agli occhi di chi ancora oggi lotta per cambiare il sistema di cose presenti e di modo che questo bagaglio e lo stimolo politico andasse nella direzione di rimettere qualche attrezzo nella cassetta.
Noi riteniamo che ancora oggi il socialismo rappresenti una necessità e l’unica possibilità di riscatto per il proletariato: le condizioni e il contesto che portò i contadini, i soldati e gli operai russi a prendere il potere nelle proprie mani non ha fatto altro che procedere nella direzione che i comunisti avevano indicato con sempre maggiori discriminazioni e disuguaglianza, un sempre più forte sfruttamento della forza lavora e sempre più efferate guerre e crisi.
Ai nostri detrattori, che provocatoriamente spesso ci chiedono come si possa essere comunisti nel 2017 additandoci come “anacronistici” noi rispondiamo ribaltando la domanda e chiedendo loro come si possa avere ancora fiducia in un sistema che genera tutto ciò che dicevamo poco fa.
Anche per questo pensiamo sia importante recuperare la logica e gli insegnamenti sia pratici sia teorici che la Rivoluzione d’Ottobre e il marxismo-leninismo ci hanno lasciato per sapere leggere la realtà che abbiamo davanti per meglio potervi intervenire.
Proprio di questo abbiamo parlato con Francesco Piccioni nell’iniziativa del 28 ottobre scorso su “Le Tesi d’Aprile”. Piccioni metteva in evidenza come non fosse tanto importante leggere quelle tesi come se fossero un programma scolpito nella pietra ma saperne cogliere e recuperare la logica: esiste un oggettività della realtà in cui viviamo ed è indubbio che questa oggettività debba esser conosciuta e approfondita. Solo attraverso questa consapevolezza la soggettività può individuare le fessure e gli spiragli lasciati dalla controparte per intervenire e trasformarli in crepe: quello che in due parole potremmo definire un “processo di rottura” che non necessariamente è di per se rivoluzionario, ma che sicuramente può rappresentare un passo in avanti per la classe poiché mette in essere un processo di trasformazione all’interno del quale gli equilibri preesistenti vengono messi in discussione e si aprono nuovi spazi di agibilità.
Con questo contributo vorremmo cercare di stimolare il dibattito nella direzione di una maggiore comprensione del contesto oggettivo in cui viviamo parlando di Unione Europea.
Cos’è l’Unione Europea? La Ue è un’organizzazione politica ed economica basata sulla sottoscrizione e rispetto di determinati patti e trattati da parte degli Stati che la compongono.
Questa organizzazione di Stati si poggia su istituzioni proprie: il Parlamento Europeo, la Commissione Europea, il Consiglio dell’Unione Europea, il Consiglio Europeo e la Banca Centrale Europea.
L’unica di queste istituzioni ad essere eletta a suffragio universale è il Parlamento Europeo composto da 751 deputati: formalmente sarebbe l’istituzione depositaria del potere legislativo.
Un gradino sopra a questo, sempre nel ramo legislativo, si colloca il Consiglio dell’Unione Europea che coordina le politiche comunitarie e in determinati casi può impegnare i governi degli Stati membri: tutto ciò tenendo presente che il potere legislativo rimane in realtà una prerogativa degli Stati e dei loro Parlamenti al netto del processo di accentramento dei poteri e del processo di esecutivizzazione in atto, non a caso il Consiglio dell’Unione Europea essendo formato dai ministri degli Stati membri è un ramo del potere legislativo europeo gestito direttamente dall’espressione del potere esecutivo degli stati stessi.
Ma se vogliamo comprendere dove risieda il potere dell’Unione Europea dobbiamo spostarci sul ramo esecutivo e precisamente sulla Commissione Europea che custodisce i Trattati e vigila sulla loro applicazione.
Parlando di Trattati pensiamo sia necessario soffermarsi su quelli di natura economica: il Trattato di Maastricht del 1993 attraverso i cui parametri è stabilito quali siano le prerogative che deve rispondere uno Stato per entrare a far parte dell’Unione Europea, il Patto di Crescita e stabilità del 1997 che dotava l’Unione Europea degli strumenti per inviare avvertimenti e disporre sanzioni ai paesi che non rispettavano i parametri di Maastricht e il più recente Trattato sulla stabilità che prevede l'obbligo del pareggio di bilancio, la riduzione del rapporto tra debito e PIL e il coordinamento delle politiche di riduzione del debito pubblico con il Consiglio e la Commissione Europea.
Soffermarsi sui passeggi che portarono all’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione italiana è sicuramente utile per capire quale sia il funzionamento di determinati meccanismi.
Nel pieno della crisi e dell’attacco speculativo dei mercati al debito pubblico italiano nel settembre 2011, Tremonti propose al Consiglio dei Ministri un disegno di legge costituzionale per l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione.
Il testo fu esaminato e licenziato dalle varie commissioni circa due mesi dopo, pochi giorni prima delle dimissioni di Berlusconi.
Non appena nominato Monti Presidente del Consiglio, il disegno di legge proseguì il suo iter e fu votato da più dei due terzi del Parlamento italiano evitando così il referendum.
Nel maggio del 2012 il disegno fu legge. Questa legge seguì un iter parallelo al Trattato sulla stabilità di cui parlavamo poco fa che, entrando in vigore dopo esser stato a lungo caldeggiato dalla BCE, generalizzò un provvedimento che il governo e il parlamento italiano avevano già previsto nella propria legislazione.
La BCE, istituita proprio con il Trattato di Maastricht, è il fulcro del meccanismo di vigilanza sulle banche degli stati membri dell’Ue. Il suo Consiglio direttivo è composto dai sei membri del Comitato Esecutivo e dai governatori delle varie banche degli stati membri.
Il rafforzamento delle istituzioni dell’Unione Europea è un processo in divenire.
In questo processo gli Stati membri cedono una parte della propria sovranità alle istituzioni comunitarie, di cui fanno parte secondo una precisa gerarchia, mantenendo intatti i propri poteri ma all’interno di precisi paletti che ne condizionano le politiche.
Questi passaggi evidenziano uno scontro interno alla stessa borghesia. Il governo Berlusconi era espressione degli interessi particolari della borghesia nazionale italiana.
Questo non significa che in Italia il governo Berlusconi fosse ostile alla Ue e non esistesse una borghesia europeista con interessi altri, ma che questa non riusciva in tutto e per tutto a dispiegare la propria politica.
L’attacco speculativo al debito italiano è stato l’arma, e non a caso usiamo questo termine, attraverso cui la borghesia europea ha preso in mano il controllo della situazione e l’ha gestita direttamente.
Potremmo interpretare la proposta di Tremonti sul pareggio di bilancio come un tentativo in extremis di restituire al governo Berlusconi una legittimità agli occhi della classe dominante europea, ma i giochi erano già fatti, tanto che sono bastate le dimissioni di Berlusconi e la nomina di Monti nel giro di due giorni a vedere lo spread, il famoso spread, invertire la sua tendenza.
Quindi un vero e proprio atto di guerra economica che abbiamo visto ripetersi in altre circostanze come in Grecia.
In questo senso è necessario chiarire l’esistenza di una dialettica centro-periferia.
Quando parliamo del fatto che all’interno della Ue esiste una gerarchia tra Stati intendiamo dire che esiste un nucleo forte che impone la propria politica.
Questa dinamica è stata uno dei presupposti della nascita della Ue e fu in qualche modo fotografata sin da subito dal regime dei cambi fissi tra le vecchie monete nazionali e l’Euro.
La dinamica è diventata ancor più evidente rispetto alla questione del debito e al tasso di interesse applicato ai titoli emessi dalle banche centrali: siamo arrivati al punto che dalle stesse istituzioni europee si levano sempre più insistentemente voci di “Europa a due velocità” o di “sviluppo duale”.
Se questo è vero all’interno dei confini della Fortezza Europa, verso l’esterno la Ue agisce come il centro di quella che considera la propria periferia: il Nordafrica, i paesi dell’est europeo non ancora integrati e il Medioriente. Queste sono le aree dove vediamo materializzarsi lo scontro imperialistico caratterizzato da alleanze asimmetriche e sempre meno durature rispetto al passato.
Come nucleo forte dell’Unione Europea identifichiamo Francia e Germania che, pur non rappresentando un vero e proprio asse visto l’insorgenza di reciproche contraddizioni, hanno caratteristiche complementari: da una parte la potenza economica tedesca e dall’altra la capacità militare francese.
Ciò che vorremmo precisare è che questo tipo di dialettica non è una prerogativa della Ue ma una dinamica che si è sviluppata con il Capitale.
Non a caso lo sviluppo ineguale tra territori e regioni, nord e sud o est e ovest è propria anche degli Stati: una strategia ben oliata per frammentare e differenziare da una parte, e meglio gestire il potere dall’altra.
Se quello che abbiamo descritto corrisponde ad uno scenario fatto di sopraffazione, controllo, sfere di influenza, gerarchie e guerra anche se combattuta senza carri armati e bombardieri, almeno per ora, a tutto ciò non può che corrispondere un adeguato livello repressivo.
Non a caso il Trattato sulla stabilità coesiste con il Patto per la sicurezza recepito dalla Commissione Europea su richiesta di Hollande all’indomani degli attenti di Parigi.
Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza in Francia le istituzioni dell’Unione Europea, con benedizione della Troika, organo informale composto da Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea, hanno stabilito che le spese per la sicurezza, siano esse per le missioni internazionali o sul fronte interno, non devono essere conteggiate nel quadro del Trattato sulla stabilità: questo per sottolineare il carattere imperialista e repressivo dell’Unione Europea.
Per quanto riguarda la legislazione antiter e la ristrutturazione del sistema carcerario queste si ridefiniscono continuamente adeguandosi anch’esse alla fase in atto ma sono una prerogative dei singoli Stati membri.
Abbiamo visto come, facendo continuamente leva sulla categoria dell’emergenza, anche in Italia si sia sviluppato il quadro che abbiamo davanti: da una parte il 41bis, l’elevata vigilanza, l’alta sicurezza, dall’altra l’ampliamento dell’art.270 fino al sexies che definisce quali siano le condotte terroristiche per lo Stato, l’inasprimento di determinati reati di piazza come quello di “devastazione e saccheggio”, il travisamento, l’accensione di torce e fumogeni fino all’arresto in differita e l’applicazione di una serie di misure extragiudiziali tese ad escludere determinati soggetti e figure sociali da altrettanto specifici contesti.
Da questo punto di vista l’Unione Europea agisce tramite Europol, un’agenzia prevista sin dal Trattato di Maastricht ma attiva dal 1998 con sede all’Aia.
Europol è priva di poteri esecutivi ma promuove la cooperazione dalle forze di polizia degli Stati membri gestendo un sistema computerizzato per la raccolta di informazioni relative a soggetti sospetti o condannati.
A Europol si affianca Eurojust, organo di cooperazione giudiziaria della Ue istituito nel 2002, che ha il compito di rafforzare il rapporto tra i ministeri competenti agevolando indagini internazionali, richiedendo esso stesso l’avvio di indagini e agevolando le richieste di estradizione.
Rispetto a ciò una specifica dobbiamo farla sul mandato di arresto europeo: istituito anch’esso nel 2002, è un provvedimento giudiziario emesso da uno Stato membro per procedere all’arresto e alla consegna di un determinato soggetto da parte di un altro Stato membro.
La procedura di consegna si suddivide in tre fasi: la prima fase prevede che il mandato venga spiccato dall’autorità emittente e comunicato all’autorità dello Stato in cui si trova la persona ricercata.
Nella fase d’attuazione l’autorità dello Stato che riceve la comunicazione deve eseguire l’arresto o rifiutarsi nei casi previsti dall’accordo quadro.
A quel punto la persona arrestata può opporsi all’estradizione e presentarsi davanti all’autorità giudiziaria dello Stato dove è stato fermato che giudicherà secondo il rispetto delle proprie norme.
In Italia abbiamo avuto esempi lampanti di come le relazioni diplomatiche tra gli Stati possano scavalcare anche casi in cui l’accordo quadro prevederebbe la possibilità di rifiuto dell’estradizione: è il caso di Lander che viveva ormai da anni stabilmente a Roma, arrestato per un fatto che in Italia non potrebbe consentire l’estradizione ma ugualmente consegnato a Madrid. È il caso di altri militanti baschi che il tribunale di Roma ha consegnato a Madrid nonostante lo stesso procuratore generale avesse espresso parere contrario dato che la documentazione inviata dalla Spagna era parziale e poco chiara.
Per la prima volta, però, ora l’Ue si trova ad affrontare la situazione in cui sul banco degli imputati si trova un leader politico di estrazione liberale e moderato come Puigdemont: un terreno inesplorato che potrebbe far emergere contraddizioni non da poco vista anche l’esposizione mediatica del caso.
L’impianto repressivo che abbiamo descritto e su cui molto altro potremmo aggiungere si caratterizza per la sua essenza controrivoluzionaria.
Ma visto che in questo caso stiamo parlando “del nemico” ci preme sottolineare come il caso della Catalogna, con l’arresto di alcuni ministri catalani e il mandato di cattura per gli altri, dimostri che in termini di controllo e gestione del potere la classe dominante possa rivolgere quei dispositivi anche contro spezzoni di borghesia che rappresentano interessi diversi dai propri.
Se, come abbiamo visto gli Stati cedono parte della loro sovranità alle istituzioni europee, dobbiamo anche chiederci perché questo avvenga e quali siano i motivi e le tappe che hanno portato l’Unione Europea ad essere ciò che è oggi.
Marx ci insegna che all’interno del processo materiale che è la storia dobbiamo distinguere le forze produttive e i rapporti di produzione che assieme costituiscono la base economica su cui si muove la società: la struttura. Su questa sorgono le istituzioni politiche e giuridiche: la sovrastruttura.
Sotto il modo di produzione capitalista e nella fase imperialista l’Unione Europea non può che essere una sovrastruttura del Capitale e per capirne a fondo l’essenza dobbiamo capire a quale fase del Capitale corrisponda, che espressione sia di questo e come si collochi dentro lo scontro globale in atto.
La nascita del polo imperialista europeo risponde proprio alla necessità del capitale di dispiegare il processo di accumulazione a livello internazionale. La libera circolazione delle merce e dei capitali all’interno dell’area europea ne è il presupposto.
L’UE nasce attorno a precisi presupposti maturati nella fasi precedenti.
Le condizioni storiche e lo sviluppo delle forze produttive non permettono che il capitale europeo sopravviva alla competizione globale e allo scontro imperialista in atto se non in questa forma.
Per approfondire questo tema consigliamo la lettura di un lavoro del Centro di Documentazione Wacatanca di Milano intitolato “Fuori dall’Unione Europea o fuori dal Capitale?” che potrete trovare presso la Libreria Majakovskij del Cpa fi-sud.
Il titolo del lavoro è una domanda aperta, un punto fondamentale di un dibattito in divenire.
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