La seconda fase del piano “Industria 4.0” – che il governo ha ridefinito come “Impresa 4.0” – ha confermato l’enorme mole di finanziamenti alle imprese tramite le proroghe per “iper” e superammortamento. A questi va aggiunta una novità: il credito d’imposta per la formazione in attività “4.0”. Una montagna di soldi per l’automazione delle fabbriche ma che, oltre ai profitti aziendali, produrranno maggiore disoccupazione tecnologica. E qui si apre una questione decisiva.
Il prolungamento dei benefici fiscali vigenti sull’acquisto o il leasing di macchine utensili e impianti vede un impegno stimato per lo Stato di circa 8,2 miliardi spalmato però in 10 anni in termini di cassa. I primi effetti relativi agli investimenti effettuati nel 2018 si faranno sentire nel 2019, per 903 milioni totali tra iperammortamento al 250% per i beni tecnologici, superammortamento al 140% per i software (sempre che l’acquirente abbia effettuato anche un investimento coperto dall’«iper»), superammortamento ridotto al 130% per tutte gli altri beni strumentali “tradizionali”. La relazione tecnica stima poi un effetto finanziario di 1,7 miliardi nel 2020, 1,5 miliardi nel 2021, 1,3 miliardi nel 2022 e altrettanti nel 2023, 848 milioni nel 2024, 341 milioni nel 2025, 54 milioni nel 2026, 139 milioni nel 2027, 39 milioni nel 2028. In totale saranno 17 miliardi di euro.
Le stime si basano su una ricognizione degli investimenti annui che potrebbero essere effettuati: circa 16,8 miliardi in beni tecnologici, 3,3 miliardi in software e 93,5 miliardi in altri beni strumentali. Occorre rammentare che per i beni tecnologici e i software la proroga riguarda gli investimenti effettuati nel 2018, con coda al 31 dicembre 2019 per la consegna dei beni se entro il 31 dicembre 2018 l’ordine risulta accettato ed è stato versato un acconto di almeno il 20 per cento. Per i beni tradizionali la proroga si ferma alle consegne da effettuare entro il 30 giugno 2019
Vengono estesi anche i tempi per usufruire della cosiddetta “Nuova Sabatini”, la misura che attraverso contributi statali abbatte gli interessi su finanziamenti per l’acquisto di macchinari. Lo strumento viene rifinanziato con 330 milioni tra il 2018 e il 2023 e di conseguenza i termini per la concessione dei finanziamenti delle banche sono prorogati fino all’esaurimento delle risorse disponibili. Almeno il 30% dei fondi sarà riservato a investimenti che ricadono nella definizione e nel perimetro tecnologico di “Industria 4.0”.
Infine, ma non per importanza, ci sono 250 milioni, limitati a un anno, dello stanziamento di risorse pubbliche per il nuovo credito d’imposta per la formazione in attività legate a “Industria 4.0”, risorse un po’ al di sotto rispetto alle ambizioni iniziali del governo. Il beneficio fiscale sarà del 40% (e non del 50%), fino ad un importo massimo annuale di 300mila euro (si puntava ad 1 milione) e sarà usufruibile solo per il periodo di imposta 2018 (si pensava a un arco triennale). Per il capitolo “competenze” di “Industria 4.0” la legge di bilancio mette in campo anche un rifinanziamento per l’attività degli Istituti tecnici superiori, cioè le scuole di tecnologie post diploma: 5 milioni per il 2018, 15 milioni per il 2019 e 30 milioni a decorrere dal 2020 (fonte Sole 24 Ore del 1/11).
Dunque per sostenere l’automazione delle imprese, il governo attuale e quello che emergerà dalle elezioni del 2018, hanno già impegnato risorse consistenti, oltre quelle già previste nella Legge di Stabilità. Completamente rimosse però sono le conseguenze occupazionali e sociali dell’automazione. Più robot al lavoro significa meno uomini e donne in carne ed ossa al lavoro, e siccome di riduzione dell’orario di lavoro non si sente parlare da nessuna parte (se non tra gli obiettivi dello sciopero generale del 10 novembre), ciò significherà un aumento della disoccupazione tecnologica. A fronte dell'aumento di quella che Marx definiva la composizione organica del capitale, non appare affatto scontato che ciò significhi maggior lavoro in settore connessi o diversi da quello automatizzato, anzi.
I nuovi manuali degli istituti ispirati al neo o all’ordoliberismo, consegnano il problema alla gestione dei sistemi di welfare che sempre più somigliano a circuiti allucinanti di criminalizzazione dei disoccupati e degli espulsi dal mercato del lavoro. Se perdono o non trovano un lavoro è colpa loro e del loro deficit di capacità nel trovarsene uno nuovo. Ragione per cui il sistema interviene solo attraverso il lavoro coatto. Scenari distopici e dispotici allo stesso tempo ma estremamente reali. Una catena da spezzare, come quella delle vecchie e delle nuove schiavitù su cui si va definendo il mercato del lavoro 4.0.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento