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01/02/2018

Di Maio cala le brache e “rassicura” la grande finanza globale

In tutte le vicende puzzolenti c’è un odore nauseabondo che gira per ogni dove e un materiale tossico che qualcuno cerca di occultare tenacemente.

Ai buoni analisti, in questi casi, viene raccomandato di distinguere con chiarezza ciò che è certo da ciò che sembra. E proviamo a fare questa sacrosanta opera di chiarificazione con la vicenda del prode Luigi Di Maio, lanciatosi con sprezzo del pericolo tra i peggiori squali della finanza globale, riunitisi in un riservatissimo club di Knightsbridge, a Londra, soltanto per sentire i suoi progetti per l’Italia. In fondo il Movimento 5 Stelle rischia di essere il primo partito, alle elezioni del 4 marzo, dunque è “normale” che i più forti tra i poteri forti – i gestori dei fondi di investimento – si preoccupino di “testare” i candidati più accreditati. Meno normale, ovviamente, che un “capo politico” di una forza nata come “antisistema” si presti al rito più antico della prostituzione politica.

L’incontro c’è stato, viene ammesso dallo stesso Di Maio. E questa è l’unica certezza. Quel che si sono detti è invece materia oscura, visto che la Reuters – agenzia di stampa piuttosto ben introdotta nell’ambiente della finanza internazionale – dà conto di una fonte presente all’incontro che riferisce quanto segue: “Di Maio ha detto ripetutamente che se non avrà seggi sufficienti per governare da solo, vede la probabilità di un governo sostenuto da tutti i principali partiti, inclusi i 5 stelle”. E ancora più chiaramente: “Ha detto chiaramente che, se le elezioni porteranno ad uno stallo politico, prevede una maggioranza di governo a quattro costituita da M5s, Pd, Forza Italia e Lega”.

Il sobbalzo è d’obbligo, anche per chi ha sempre visto nell’incravattatissimo “personaggetto” la milionesima reincarnazione del democristiano fatto, calzato e finito.

Passare infatti dal M5S che “non fa accordi con nessuno” a un governissimo con tutti dentro (mancano i bersaniani, si vede che Renzi ha posto il veto...) è davvero un’inversione ad U, 180 gradi puliti puliti, dalla “rivoluzione” alla “complicità”. Dal “vaffanculo” al “prego, prima lei”, senza neanche passare per una stagione “riformista”.

Preoccupato dell’impatto che la notizia poteva avere sugli elettori Di Maio ha fatto twittare una precisazione che è un’ammissione di colpevolezza, più che una smentita: “Quanto riportato dall’agenzia Reuters non corrisponde al vero. Agli investitori internazionali incontrati oggi a Londra ho ribadito ciò che ho sempre detto: che il giorno dopo le elezioni, se non dovessimo avere la maggioranza dei seggi, farò un appello pubblico a tutte le forze politiche invitandole a convergere sui temi e sulla nostra squadra di governo, senza alcun tipo di alleanze, inciuci o scambi di poltrone di governo”.

Qual è la versione vera? A noi non sembra ci siano grandi differenze. Il malessere raccolto per qualche anno dai pentastellati era radicale (“vaffanculo”, per l’appunto). Coinvolgeva tutte le forze politiche presenti in Parlamento, tutti i “poteri forti” (qualunque cosa si intenda con quel luogo comune), in generale una gestione del potere economico e politico fatto di interessi privati, rapporti affaristico-massonici, scambi di favore extra legem, appropriazione privata dei beni comuni o pubblici, ecc.

La versione “dimaiesca” può sembrare vera solo ai cretini, non certo a chi maneggia centinaia di miliardi di dollari (è stato lo stesso giovincello di Pomigliano a dire – impressionato – che i presenti detengono complessivamente più del debito pubblico italiano). L’idea di un governo monocolore grillino, necessariamente di minoranza, sostenuto “dall’esterno” da altri partiti o coalizioni, a seconda del tema oggetto di decisione, è un po’ troppo balzana e incerta per “rassicurare” investitori abituati a ben altra solidità di equilibri.

La versione “vera” ci sembra perciò decisamente quella offerta dalla Reuters: i “nuovi cinquestelle” di Di Maio sono pronti a fare o partecipare a un supergovernissimo benedetto dalla Troika e dai mercati finanziari internazionali, a digerire ogni trattato europeo che promettevano di stracciare o ridiscutere, a mettere come ministro delle finanze un “esperto” nominato dal Fmi o istituzioni similari (come Padoan, Monti, Grilli o Siniscalco, insomma), ad approvare ogni manovra dettata dalla Commissione Europea. Del resto sanno tutti che a maggio ci dovrà essere una robusta “manovra correttiva” e, contemporaneamente, bisognerà cominciare a scrivere sotto dettatura una legge di stabilità per il 2019 che recepisca il Fiscal Compact e dunque il taglio del debito pubblico pari al 5% annuo (circa 50 miliardi).

Stabilito questo, in cosa potrà esprimersi la “diversità” grillina? Poca roba, crediamo. E quasi tutta giocata sulla comunicazione (“i vitalizi!, i vitalizi!”), più che sulle misure di governo. Renzi e Berlusconi hanno fatto scuola, in materia...

La svolta di Di Maio semplifica radicalmente il quadro politico chiarendo che tutti i concorrenti principali – M5S, Forza Italia, Pd e Lega – sono assolutamente indistinguibili uno dall’altro. Pronti ad obbedir tacendo e a distruggere ciò che resta del “modello sociale” italiano. Una notizia tremenda per i bersaniani, che facevano calcoli astratti credendosi appetibili per il Pd in alternativa ai grillini o viceversa. Chiederanno di partecipare a quel governissimo, chiaramente, perché cinque anni sui banchi dell’opposizione proprio non li possono pensare.

Una notizia ottima per Potere al Popolo, che si vede così consegnare il ruolo di unica opposizione politica reale in questo paese (i mazzieri fascisti, da Casapound a Forza Nuova, sono costitutivamente massa di manovra del “mondo di sopra”).

L’unica incertezza è questa: riusciranno tutti i partecipanti a questa grandiosa sfida a metabolizzare il fatto che il quadro politico oggi è completamente cambiato? Dai territori in cui siamo più attivi traspare già qualche robusto smottamento dei consensi al “grillismo”, come anche dagli ambienti “Leu-isti”. Sta a noi far sì che diventi valanga da cavalcare, organizzare, motivare. Per far questo, lo diciamo da tempo, bisogna prendere atto che la nostra gente non crede più alle promesse e alle mezze misure.

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